Storia Sarda o Storia Nazionale Sarda?
L’immaturità politico-culturale dei Sardi.
La Dinastia Tolemaica, succeduta alle imprese di Alessandro Magno in Egitto, lascerà in dono ai posteri il sogno del sapere: L’importanza di dare un luogo alla cultura, di renderlo accessibile e di catalogarvi quante più opere possibili dell’ingegno umano. Dalle arti alla letteratura, dalla storia alla tecnica, dalla religione alla medicina.
Tra migliaia di rotoli e pergamene, non fu il primo spazio archivistico della storia ma certamente rappresentò il polo culturale più celebre e fornito del mondo antico: La Biblioteca di Alessandria, scomparsa lentamente nei secoli (e a più riprese) con il controverso incendio dell’intervento di Cesare e, più tardi, con la definitiva conquista Araba dell’Egitto nel 641 D.C.
Nel corso della sua esistenza, la biblioteca attraversò la storia, e con essa quindi la politica ed i vizi umani del suo tempo. Infatti la storia non è un susseguirsi razionale di eventi, ma il costante sovrapporsi delle opere degli uomini, noti e meno noti, che hanno contribuito e contribuiscono all’evoluzione del genere umano sulla terra. Talvolta senza piani pre-costituiti, come dirà infatti anche Federico II di Prussia nella sua lettera a Voltaire del 1773: “Più si invecchia e più ci si convince che Sua Sacra Maestà il Caso fa i tre quarti del lavoro in questo miserabile universo”.
E nel momento in cui la storia si salda alla politica, finisce inevitabilmente per venirne inquinata, talvolta ridotta al rango di pura mitologia o dispensatrice delle più tetri giustificazioni al crimine umano: Nella storia contemporanea basti ricordare la presunta teoria Ariana del Nazionalsocialismo Hitleriano, teoria a sua volta sorta nell’ottocento. Più recentemente pensiamo ai fatti del Rwanda nel 1994 o al conflitto Balcanico di fine anni ’90.
Persino nella storia della Biblioteca di Alessandria, la discrezionalità con cui sovrani e letterati invadevano quel “flusso degli eventi” chiamato Storia era all’ordine del giorno: Ad esempio quando l’antica città di Pergamo (l’odierna Bergama Turca) divenne sede di una biblioteca rivale…turbe di falsari si affrontavano per incrementare le fortune di questa o quella collezione reale e spuntò addirittura una raccolta delle Filippiche di Demostene con un inedito (poi rivelatosi fasullo).
La Sardegna oggi vive una stagione culturale (oltre che politica) in cui vige il caos:
Sovrintendenze assimilate agli scarni finanziamenti della politica; personalismi; ricercatori isolati e/o in aperta avversione dei loro colleghi. Ma anche politici Sardi scoordinati, figli di un nazionalismo territoriale ancora immaturo nel valutare e pesare l’utilizzo corretto della storia e la sua introduzione nel tessuto sociale. Che cosa intendiamo dire?
Esiste una fascia di Sardi che è cosciente di essere Popolo, benché questi inserito nel sistema socio-istituzionale italiano. Tali Sardi, siano essi intellettuali o politici, si rapportano alla storia in misura disomogenea (come è fisiologico che possa essere) ma ciò costituisce un danno, che nel nostro caso, parte in primis non tanto dagli intellettuali ma dai politici Sardi.
Ma perché parlare di danno? Perché nel momento in cui ci si riferisce al multiforme concetto di “Popolo Sardo” alcuni di questi politici lo identificano semplicemente in base a presupposti linguistici (la specificità per essi arriverebbe dunque solo dalla Lingua Sarda), mentre per altri politici territoriali, la specificità Sarda arriverebbe non solo dalla lingua ma anche dalla storia:
Si tratta dei due emisferi che oggi contraddistinguono buona parte del frammentato nazionalismo Sardo, sia quello di matrice sardista/autonomista, sia quello più propriamente indipendentista.
Intellettuali come Giovanni Lilliu hanno cercato nella concettualità della “Costante Resistenziale” il metro entro il quale trovare una continuità tra la Sardegna antica e quella moderna. Si è cercato quindi nella storia il perno attraverso il quale poter dare l’attributo di Nazione al Popolo Sardo, in linea con gli analoghi processi sorti nell’ottocento con la nascita dello stato-nazione moderno.
Percorso analogo (ma anche conseguente) è servito alla politica di molti Sardisti ed Indipendentisti per giustificare il senso del loro agire.
Il movimento IRS invece dal canto suo rigetta le basi dei canoni di una Sardità ancorata ad elementi rigidi e statici (come da noi introdotto qualche anno fa) e la proietta verso un moderno nazionalismo (che erroneamente definiscono non-nazionalismo, per scongiurare ipotesi massimaliste). Ma essendo il nazionalismo un semplice contenitore sentimentale in cui riversare la politica di difesa e promozione della propria terra, è perfettamente normale che esso abbia assunto diversi volti (positivi e negativi) a seconda della situazione e del contesto storico:
Basti osservare la differenza tra il pacifico nazionalismo di successo della Scozia contemporanea rispetto a quello imperialistico e prevalicatore della Germania nazista.
Nel moderno nazionalismo non vi è la necessità di trovare a tutti i costi delle continuità con il passato per giustificare il proprio assunto politico in rappresentanza del Popolo, come non vi è -per conseguenza- la necessità di cercare un sentimento nazionale nell’opera di eventi e personaggi che ci hanno preceduto. Come sostiene anche il politologo Walker Connor, la nazione non è che un sentimento. Perché le nazioni non nascono esclusivamente da peculiarità (vedasi ad esempio la lingua) ma dai più disparati fattori: Ad esempio gli Stati Uniti d’America non sono venuti al mondo come nazione dalla vittoriosa battaglia di George Washington contro la Corona Britannica (in nome di specificità identitarie che NON c’erano) ma sotto la presidenza Lincoln al termine della guerra civile. Condotta dai vincitori all’insegna dei principi di eguaglianza, di tutela del territorio, della Costituzione e dell’economia che gli stati del nord avevano avviato (rispetto al modello schiavista degli stati confederati del sud). O di quali specificità avrebbe dovuto parlare l’Austria scaturita dalla prima guerra mondiale senza il vecchio impero multietnico e di fianco ad una Germania unita sotto una sola lingua?
Non intendiamo ovviamente sostituirci al lavoro degli storici, ma, domandiamo: Possiamo affermare che la storia Sarda abbia sempre manifestato una chiara propensione popolare nell’attribuirsi i connotati di nazione per la costruzione di uno Stato indipendente?
Probabilmente nò.
Compito e responsabilità dei nazionalisti Sardi oggi non è quello di scrivere o imporre pagine di storia dell’isola poco chiare o inesistenti, ma quello di divulgare la storia dell’isola così come la conosciamo, con tutte le sue contraddizioni.
Dobbiamo quindi guardarci dalla facile tentazione di attribuire l’aggettivo “nazionale” alla storia dell’isola, sebbene l’isola stessa abbia partorito una fascia di cittadini che si sente nazione e si batte per il suo riconoscimento: Dinamica perfettamente lecita.
Dove sta quindi l’errore in chi, da un lato, vorrebbe tutelare nelle scuole solo la lingua ma non la storia? E dove sta l’errore invece in chi, dall’altro lato, vorrebbe entrambe le cose?
Che i primi, sia in nome di un dato storico (giusto o sbagliato), sia in nome di un pericolo verso derive massimaliste, non pongono come prioritaria la battaglia per l’introduzione della storia nella Pubblica Istruzione. I secondi invece, sarebbero anche portati a romanzare o forzare la storia inserendo dettagli o congetture (magari) non idonee a ciò che invece è stato solo un flusso irrazionale di eventi.
I primi dunque sono gli “indifferenti” di Moravia…quelli che mentre tutto crolla, si rifugiano nel silenzio per non urtare gli equilibri consolidati ma mandando così al macero una memoria che comunque è esistita. Infatti:
Se un popolo oggi esiste ma non è mai stato compatto a tutela di se stesso, possiamo fare finta che comunque i fatti che hanno riguardato la sua isola nel passato non esistano?
Ovviamente nò.
I secondi invece sono i “copisti della Biblioteca di Pergamo contro quelli di Alessandria”: Si sentono persino in dovere di inventare passaggi memorabili nella storia di un Popolo pur di trovare un senso al loro operato ed esserne così appagati.
Che la storia influenzi la Pubblica Opinione è un dato di fatto: Non ultimo il caso Polacco, dove la classe dirigente ha prodotto una legge (largamente condivisa) che mette al bando i simboli del comunismo nel Paese. Perché? Perché di recente gli storici hanno fatto luce sui crimini sovietici in Polonia durante la seconda guerra mondiale e nei 50 anni di regime socialista seguiti al crollo del Terzo Reich.
La storia, divulgata, può diventare dunque un forte collante nazionalista nella popolazione interessata dai fatti che hanno riguardato il territorio.
La storia celata invece, come in Sardegna, non solo non aiuta il Popolo a condividere l’operato di quella classe politica identitaria ma contribuisce alla distruzione di quella “Nazione Sarda” che rimane ancorata solo ad una Lingua (che non viene tutelata).
Tutto insomma nel presente è rivolto verso il baratro e verso la piena assimilazione dell’italianità.
Ma perché parliamo di Nazione Sarda quindi con riferimento alla storia se non esiste una storia nazionale?
Perché la storia dell’isola è sempre stata foriera di contraddizioni, basti osservare l’operato dei Parlamenti Sardi del passato descritto dallo studioso Antonio Marongiu nella prima metà del ’900, mentre pochi potranno negare che la coscienza di Popolo in Sardegna ed il variegato pianeta autonomista/indipendentista è sorto dalla consapevolezza dei soprusi subiti dall’alto, dalle autorità di turno che hanno governato l’isola.
Come (ad esempio) oggi ci si lamenta della SARAS per la sua posizione ambientale e fiscale, ieri ci si lamentava della condizione delle miniere, ecc.
E fu nel primo dopoguerra che i padri del Sardismo, in base alle iniquità d’oltremare, avanzavano le prime rivendicazioni politiche per la tutela del Popolo Sardo.
Anche questa è storia. Nasconderemo pure questo dato di fatto? E’ forse un crimine elevare al rango di razionalità politica la porzione di un flusso irrazionale di eventi?
E chi ce lo vieta? Solo questo elemento avrebbe dovuto giustificare una riforma dell’articolo 3 del Partito Sardo d’Azione, estendendo alla storia dell’isola i “valori nazionali”. E questo non significa che ci sia stata o si voglia creare una storia “nazionale” Sarda in stretta continuità dalle ceneri del tempo fino ad oggi. La storia infatti non è un paradigma assoluto ma è composta da tante storie, anche paradossali tra loro.
Il compito del politico Sardo dunque non è quello di nascondere la storia del suo territorio se questa non ha mai mostrato un Popolo coeso, il politico Sardo ha la responsabilità di divulgarla, di introdurla nel tessuto sociale attraverso la Pubblica Istruzione (quindi operando per una riforma del sistema scolastico) che sia obbligatoria e non facoltativa.
Infine, ha la responsabilità di non usare la storia del territorio come clava (laddove ve ne fosse l’occasione) contro l’Italia.
Esempio: Non condividiamo Sardegna e Libertà (area del PSD’AZ) nel momento in cui non pone la storia dell’isola in cima ai suoi programmi culturali, come non condividiamo il nazionalismo della bandiera giudicale di IRS che da un lato la spaccia come simbolo di una civiltà sconfitta nel passato che “avrebbe dovuto riguardare tutti i Sardi” e dall’altro scorda di introdurre comunque la storia di quella civiltà (che non riguardò tutti i Sardi) nella Pubblica Istruzione.
Alla fin fine, entrambi i soggetti politici menzionati contribuiscono a tenere in biblioteca, per se, la storia del territorio, portandosi sullo stesso piano dei patrizi romani criticati in passato da Polibio per le loro immense collezioni private: Li accusava di ostentare semplicemente a livello personale e nella propria elite le rispettive ragioni ma senza divulgarle al Popolo.
Tali comportamenti vanno quindi posti nel piano di uno spettro culturale fine a se stesso, destinato a morire nella cerchia in cui è nato, ma senza divenire di pubblico dominio in maniera che possa essere studiato, assimilato e rielaborato dai cittadini.
Tutto quel sapere verrà ignorato da chi pensa di avere una posizione, infine verrà distrutto dal rogo del tempo e -come successo per le residue opere dell’Alessandria ellenica di fronte all’editto oscurantista* di ‘Omar ibn al-Khattab- tale sapere verrà completamente distrutto dall’ignoranza delle prossime generazioni.
Il politico Sardo che dovrebbe fare quindi con la Storia Sarda? Si limiti ad introdurla nella scuola, non calchi la mano e, possibilmente, finanzi meglio la tutela del patrimonio artistico, letterario ed architettonico dell’isola così come il lavoro dei ricercatori….
Noi non vogliamo una “Storia Nazionale Sarda” nella scuola, il che è un attributo evidentemente politico, noi vogliamo la Storia Sarda. Si eviti di giocare sull’equivoco come scusante per mantenere lo status quo e tenere nell’ignoranza il Popolo sui fatti del suo stesso territorio.
Grazie per la cortese attenzione.
* Tesi storica incerta.
Di Floris M. e B. Adriano.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi
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