Caro Beppe Pisanu, su Cossiga deve essersi distratto

Caro Giuseppe,

Come prevedibile, dopo la morte del nostro Francesco Cossiga, nei mass-media appaiono le più disparate dichiarazioni di galoppini, amici, o presunti tali, che si spendono per ricordare qualche aneddoto del nostro illustre concittadino o per interpretarne il pensiero. Niente di strano in tutto ciò, anch’io ho le mie opinioni.
Ma uno statista può essere un personaggio del quale si può affermare tutto e con completezza in pochi istanti? Politici e storici su questo proseguiranno nel dire la loro.
Mi tornava però alla mente un’intervista concessa da Cossiga all’emittente Euronews nel corso del 2008. Proprio l’anno successivo a quello in cui, segretamente, aveva scritto le famose lettere dedicate alle 4 più alte cariche dello Stato da consegnare all’atto della sua morte. In un frammento di questa intervista poneva la seguente domanda retorica al giornalista che aveva di fronte: “Caravaggio era un grande pittore o un uomo violento che in una rissa uccise un uomo?
Era entrambe le cose. Una cosa non esclude l’altra”.

Ebbene, non ho potuto fare a meno di notare la sua intervista sul quotidiano La Nuova Sardegna del 21 agosto. Riporto le testuali parole da Lei usate a pagina 5 per interpretare il sentimento identitario di Cossiga: “Era anche un convinto autonomista, ma nella visione di Don Sturzo: la Regione nella Nazione, non contro la Nazione e neppure a prescindere dalla Nazione. Alcune sue simpatie, come quelle per il popolo basco e per l’esperienza catalana, hanno alimentato dicerie sul suo estremismo regionalista”.

Certo, Cossiga era un profondo conoscitore delle tesi di Don Sturzo, come di quelle del Rosmini, ma quando si parla di “Regione nella Nazione”, rischiamo di fare lo stesso errore di lettura di Arturo Parisi a dispetto del Nostro complesso statista.
Cossiga non parlava di “Regione nella Nazione” nei termini di un’omogeneizzazione del Popolo Italiano. Cossiga parlava di “Nazione nella Nazione”. E credo che Lei sappia benissimo da dove partì la “diceria” sull’estremismo regionalista: da Cossiga stesso.
Questa “diceria” fu presentata in Senato durante la XV Legislatura e rappresentava un testo organico (di matrice catalanista) di revisione delle istituzioni Sarde. Il disegno di legge costituzionale n. 352.
Debbo dirle, a molti indipendentisti Sardi non piace la dualizzazione identitaria che accompagnò la vita di Cossiga. E neppure post-mortem gli perdonano gli anni della Guerra Fredda, forse poiché ideologicamente allevati nell’allora eccitazione marxista, e nel cui fervore, piuttosto che sopportare Gladio (di cui nulla si sapeva), avrebbero magari preferito un’invasione del regime Sovietico. Eppure, in una forma statuale quale quella del Regno Unito convivono benissimo nazionalismi diversi, talvolta tendenti alla piena indipendenza, talvolta tendenti alla prosecuzione della collaborazione nel quadro di un unico stato.
Nel suo disegno di legge Cossiga affermava: “L’Italia è composta di Regioni, comunità e nazioni senza Stato (quali il Friuli, la Sardegna e la Valle d’Aosta: il problema del Sud Tirolo è un problema di tutt’altra natura) che non hanno comunque tutte eguale senso comune o autocoscienza di specifica individualità”.
Quindi? Quindi caro Pisanu dovremo pur ammettere quanto Cossiga avesse maturato una sua chiara visione della Sardegna e del ruolo che avrebbe potuto ricoprire nel quadro del più ampio assetto istituzionale italiano: Nazione nella Nazione.
Ed è con i 4 Mori accanto al tricolore che sulla bara ha disdegnato i funerali di Stato.
Anche al funerale le sue volontà non richiedevano l’omaggio delle personalità politiche, ma a Sassari queste ci sono andate comunque. “In forma privata” si è detto, ma violando di fatto le sue disposizioni in materia.

Negli anni ’80 salvò il Partito Sardo d’Azione, da poco proclamatosi indipendentista, dal palese tentativo di illegalizzazione ordito da non meglio precisati settori dell’intelligence e della Magistratura Italiana mediante il controverso “complotto separatista”. A fine anni ’80 salvò anche la “Brigata Sassari” da un disegno dei vertici militari di riorganizzazione delle Forze Armate che tentava di omologare definitivamente anche quella poca specialità di corpo e di uniformità territoriale rimasta.
In Sardegna, l’astioso indipendentismo che ancora attraversa diversi settori del Nazionalismo Sardo, non aveva capito (e forse non l’ha capito neppure oggi) che, sebbene alla Sardegna Cossiga poteva interessarsi da tempo, l’ha fatto comunque nel periodo storico maggiormente propizio. Aspetto di cui era pienamente consapevole.
E’ per questo che si avvicinò a Baschi e Catalani, perché con la fine della Guerra Fredda non intuì solo il terremoto della partitocrazia italiana (a cui tangentopoli diede la più grande scossa), ma intuì che ci sarebbero stati ampi margini di manovra anche per tutte le minoranze internazionali senza stato che si battevano per un riconoscimento formale del loro diritto all’esistenza.
In quest’ottica fu dunque lineare e coerente il suo impegno nel corso dell’ultimo decennio affinché anche la Sardegna superasse i ritardi ideologici della sciocca battaglia tra autonomismo ed indipendentismo al fine di riformare le istituzioni Sarde per gradi. Circostanza che avrebbe permesso anche all’indipendentismo di crescere: perché senza autocoscienza territoriale non c’è Nazione. Ma la Sardegna ha avuto ed ha tutti i requisiti per essere riconosciuta come tale. Sono piuttosto i Sardi ad aver volontariamente scelto la patria italiana.
Lo ricordò anche a Sassari, in occasione della sua ultima visita per ricevere all’Università una laurea honoris causa; come in altra occasione affermò analoghi intenti nel Comune di Chiaramonti.

Dobbiamo a Cossiga la ripresa dei dibattiti e la volontà politica trasversale per la riscrittura dello Statuto Sardo.

Caro Pisanu, comprendo i suoi timori verso le populistiche derive radicali prospettate dalla Lega Nord, ma non abbia timore nell’affermare che Cossiga è stato sì un liberale, ma non solo conservatore. Fu infatti anche progressista (in termini riformistici).
E questo progressismo lo ha dimostrato affermando senza timori che in uno stato possono anche convivere diverse nazioni (purché formalmente riconosciute e rispettate), come già avviene in altri stati d’Europa e del mondo.
Per Cossiga dunque i 4 Mori non erano solo il simbolo di un mero regionalismo o di un’Autonomia tutta da riscrivere che teme l’elemento identitario, ma, a differenza di quanto vogliono farci credere oggi alcuni indipendentisti che propongono altri rispettabili simboli, erano e sono il simbolo di una Nazione. Quella del Popolo Sardo, che ha scelto di vivere (almeno in questo passaggio storico) con il resto d’Italia.
Cossiga è stato il Caravaggio della nostra politica. In senso positivo, un figlio del suo tempo.
Ma dal pensiero ancora attuale, e che non ha bisogno di essere mutilato nel suo sentimento di appartenenza alla Sardegna.

Cordiali Saluti,

Bomboi Adriano – Ass.ne U.R.N. Sardinnya

Thiniscole (NU), 21-08-2010.

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Nazionalisti Sardi

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    2 Commenti

    • De Cossiga, arregordu s’impinnu po sa “Zona ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale de Porto Vesme”. No pariri berus, funti passaus casi bint’annus, de candu apu scritu cussa litra a issu ca intzandus fiada presidenti, lqamentendi su fatu ca is parlamentaris sardus a conossentzia de su problema no ianta fatu nudha. Issu po manu’e su nebodi Sergio Berlinguer in duas litras in giru’e unu mesi iat fatu totu po fai arribbai a sa firma de Giulio Andreotti, su primu decretu po s’arriconoscimentu de s’incuinamentu e de is maladias professionalis! Is atrus scioberus cosa sua no m’anti agatau de accordu, nimancu candu at pesau su movimentu de is riformadoris sardus, chi no si portara a nisciunu logu!

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