Il senso di essere liberal-nazionalista
In una società sempre più aperta e globalizzata, nuovi timori si affacciano all’orizzonte, ma anche nuove sfide che non possono non riguardare la linea ed i sentimenti di chi auspica una maggiore libertà ed una robusta sovranità per la sua terra.
Come nello Scottish National Party, nel Bloc Québécois, od in decine di altri esempi nel mondo, anche il nostro essere Sardi deve essere qualificato come liberal-nazionalismo (civic nationalism).
Siamo solidali, inclusivi, pluralisti, rispettosi delle diversità, aperti alle sfide globali ed all’integrazione con le minoranze. Avversiamo i sessismi, i razzismi, gli etnocentrismi, ed ogni forma di totalitarismo ideologico ed istituzionale.
Crediamo nei valori della democrazia e nei diritti fondamentali dell’uomo sanciti dalle Nazioni Unite. Ma abbiamo una qualità che ci distingue dai profeti del “non-nazionalismo”, la cui ideologia non ha alcun serio fondamento metodologico e politologico: come liberali, rispettiamo anche la NOSTRA minoranza. Non facciamo selezioni “eugenetiche” su cosa merita di essere salvato oppure nò. Rispettiamo tutte le bandiere, ripudiando quindi ogni forma di becero nazionalismo tardo-romantico (come quello di matrice Hitleriana) o panarabica (Ba’th) tendente ad imporre e disporre quali siano i principi a cui un Popolo deve attenersi, e classificando lo stesso in “buoni e cattivi”, “coerenti ed incoerenti”. Nel liberalismo ciò non è pensabile.
Ci riconosciamo ancora nella Carta di Oxford, tutt’ora attuale su molti punti e che in Sardegna risulta pressoché sconosciuta o arbitrariamente interpretata come “non-nazionalista”.
Essa rappresenta un’assembramento che raggruppa anche i maggiori partiti liberalnazionalisti dei 5 continenti, siano essi espressione di uno stato-nazione, siano essi espressione di minoranze nazionali e/o linguistiche non riconosciute o completamente legittimate dalla Comunità Internazionale.
Crediamo altresì che organizzazioni come l’UNPO debbano estendersi in un unico fronte contrassegnato dalla condivisione dei medesimi principi di apertura e progresso civile: http://www.unpo.org/
Rispettare la propria minoranza significa rispettare non solo il multiculturalismo ma anche le caratteristiche insite nel proprio Popolo. Ed in quello Sardo, sbaglia infatti chi ritiene che gli elementi costitutivi della nostra identità non debbano far parte di un programma politico.
La lingua Sarda è uno di questi elementi, un frammento del nostro dna identitario che ci consente oggi, assieme a terzi elementi, di tenere vivo il percorso per il riconoscimento e l’affermazione della nostra nazione. Non riconoscere la necessità politica di questa tutela, significa consentire proprio al centralismo di distruggere le nostre caratteristiche: che quindi non si evolvono, rimangono statiche e non offrono capaci chances di interdipendenza e sviluppo socio-economico ai nostri stessi cittadini.
Ma pensiamo inoltre alla palese discriminazione subita dai molti Sardi, che non ritrovano la propria lingua né negli uffici, né nell’informazione, né sul commercio ed ancora meno nella Pubblica Istruzione e nelle attività ludiche.
Chi avversa il nazionalismo è dunque il primo alleato del centralismo: perché confonde la società aperta (Popper) con la società dell’omologazione globale, quella dove le minoranze, succubi dei poteri forti, arrivano ad una totale estinzione che si protrae gradualmente nel tempo.
Per queste ragioni il bilinguismo deve essere il plusvalore della nostra specialità politica e culturale. Un bilinguismo che quindi ci consenta di fare da ponte ad un multiculturalismo in cui non saremo assorbiti ed omologati, perdendo i vivaci colori del nostro essere, ma dove, al contrario, daremo il nostro piccolo ma indispensabile contributo all’umanità.
Evolversi significa infatti difendere politicamente le nostre caratteristiche, perché solo la loro applicazione sociale può consentirne lo sviluppo piuttosto che la fossilizzazione.
Il tutto rispettando la lingua italiana e la maggioranza dei cittadini che la utilizzano.
Ma il nazionalismo ha l’obiettivo-dovere di bilanciare un palese disequilibrio che vede tagliata fuori dalla quotidianità sociale non solo la lingua, ma un’altra serie di elementi propri al territorio: pensiamo all’assenza della storia e della letteratura Sarda (bilingue) nella nostra Pubblica Istruzione. Tutti elementi che, nella loro assenza, contribuiscono a coadiuvare l’azione cannibalizzatrice a danno dell’autocoscienza territoriale che quindi il Popolo non matura compiutamente.
Fenomeno per il quale dunque i cittadini non vanno giudicati, ma accompagnati nella riscoperta del patrimonio umano e materiale del nostro territorio.
Solo così supereremo i nostri timori e saremo meno manovrabili dalla malapianta del politicantismo, del centralismo assistenzialista e di quel diffuso malcostume che perpetua un clima di rassegnazione sociale generalizzata e cristallizzante.
Il “non-nazionalismo” invece è un cane che si morde la coda, perché parla giustamente di processi di identificazione, ma non si rende conto che questi non potranno mai essere attivati in una società dove proprio le peculiarità territoriali (grazie alle quali vi è stato lo start-up per parlare di nazione), sono distrutte dall’omologazione sociale, istituzionale e culturale italiana.
Questi non sono gli USA, nati dal coagulo di principi morali ed interessi economici, ma la Sardegna non è neppure la Scozia, dove esiste un sostrato sociale cosciente della sua univocità nazionale.
Qui, in Sardegna, la difesa ed il rispetto per i nostri elementi costitutivi di Nazione sono l’unico percorso politico possibile per la sua salvaguardia politica.
Ad esempio, favorire l’immigrazione esterna, come ha acconsentito equilibratamente a fare l’SNP scozzese, non significa trovare nello jus soli, piuttosto che nello jus sanguinis, la scusante dietro la quale cancellare la loro nazione. Esisteranno sempre e comune le cosiddette quote di ingresso (testate con successo nell’esperienza anglo-francese del Canada). Bisogna infatti evitare di confondere il nazionalismo di uno stato-nazione con quello della sua eventuale minoranza (circostanza in cui cade spesso il sedicente “non-nazionalismo”). In quest’ultima, persino lo jus soli implica per l’immigrato l’integrazione nella nazione ospitante ed il diritto all’esercizio della sua nazionalità originaria, ma non l’esclusivo “utilizzo sociale” della stessa. Ad esempio, non è pensabile che una Pubblica Istruzione possa realizzare corsi di studio in tutte le lingue esistenti del pianeta a seconda del cittadino che entra nella Nazione ospitante.
Non sarebbe materialmente possibile. La Francia e la Cina in questo hanno dimostrato nella pratica tutta l’invasività del nazionalismo statale in più occasioni, incitando una colonizzazione interna della loro popolazione a danno delle loro minoranze, pensiamo infatti ai cittadini francesi trasferitisi per decenni dalla Francia continentale alla Corsica, od ai nazionalisti cinesi mandati a colonizzare ed abitare i territori del nazionalismo tibetano.
I concetti di jus soli e jus sanguinis perdono dunque qualsiasi efficacia a prescindere nel momento in cui la minoranza non tutela più le sue prerogative e le sue caratteristiche territoriali, lasciando campo libero all’omologazione perpetrata dal competitor più forte. Altri esempi sono quelli drammaticamente osservati in Turchia a danno della minoranza Curda, come in Iran. Ma anche come quelli osservati ai tempi della colonizzazione italiana e francese del nord’Africa.
Per questo, quando ci dichiariamo indipendentisti, sarebbe assurdo definirsi “non-nazionalisti”.
Non si stanno difendendo generiche società dei diritti universali, ma precise caratteristiche territoriali. E si sà, il mondo è bello perché è vario.
Grazie per l’attenzione.
Nota: A seguito di tali considerazioni, alcuni sostenitori del “non-nazionalismo” hanno ripreso a parlare di tutela della lingua Sarda dopo un periodo di singolare distrazione…
Di Bomboi Adriano.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi
D’accordo con quasi tutto.
A rafforzare il ragionamento si può dire che anche un nazionalismo socialista o laburista è possibile ed auspicabile nel confronte fra queste due impostazioni in una nazionalità senza stato che aspira alla autodecisione..appunto nazionale.
A risultato acquisito, non credo che si voglia pensare ad un partito unico o a una sola aspirazione liberale o liberista ( o solo social laburista ) per contendersi con il voto il diritto a governare.
Il fatto è che il non nazionalismo di cui si discute, non durerà più dello spazio utile a comprendere meglio la questione sarda e a confrontarsi con la dura lotta politica necessaria per liberarsi.
Per adesso fatte salve le proprie propensioni ideologiche e in attesa che si veda quale potrebbe prevalere è necessaria un’unità su questioni comuni e di liberazione nazionale.
Naturalmente il nazionalismo in sé può prescindere anche da orientamenti ritenuti conservatori o progressisti.
Nell’articolo che ho pubblicato, abbiamo semplicemente voluto dare un’orientamento di tipologia liberal-progressista in quanto, proprio in questo contesto, le bordate al nazionalismo Sardo (in cui si paventano fossilizzazioni e sedicenti razzismi) non arrivano solo dai cultori dell’italianità ma talvolta anche dall’indipendentismo/autonomismo Sardo stesso.
In verità poi da queste parti si confonde il liberal-progressismo con alcuni canoni strumentali importati direttamente dalla tradizione del comunismo italiano. Per queste ragioni è stata ricordata la Carta di Oxford, che considera ampiamente superata la fase delle società pianificate (e non solo economicamente).
Chiaramente poi sarà il Popolo a decidere su alcune materie attraverso gli strumenti che la democrazia ci offre, come il referendum.
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