Da Oristano a Ghilarza: tramonto e alba dell’indipendentismo Sardo – Pt. 2
Ci siamo, a quasi 7 anni di distanza, U.R.N. Sardinnya non è più il solo organismo indipendentista a criticare costruttivamente il complesso dei movimenti Sardi.
Lo scorso 25 settembre si sono celebrati due incontri relativi al mondo dell’indipendentismo Sardo: uno ad Oristano, tra i leader indipendentisti, ed uno a Ghilarza, tra membri e liberi simpatizzanti di alcuni movimenti Sardi.
Ricordiamo, la proposta di convergenza nazionale fu proposta nei mesi scorsi da A Manca pro s’Indipendentzia, ma possiamo ricondurre a due documenti le tendenze relative alla necessità di superare l’attuale frammentazione di questo ambito politico.
Il primo riguarda certamente l’analisi fornita da Frantziscu Sanna del ProgReS sui possibili scenari da attuare (PDF), mentre il secondo riguarda le osservazioni emerse dall’incontro di Ghilarza da parte di Giovanni Fara, principale animatore di un malcontento della base indipendentista nei confronti dello stallo politico dei movimenti Sardi (PDF).
Prima di passare ai giudizi su quanto emerso non a Ghilarza ma ad Oristano, bisogna intanto integrare alcuni punti delle osservazioni poste da F. Sanna (peraltro presente a Ghilarza):
1) In Sardegna, tra coloro i quali hanno parlato di “Partito dei Sardi” o “Partito Nazionale Sardo” (come ad es. U.R.N. Sardinnya, Fortza Paris, Riformatori e Sardegna e Libertà del PSD’AZ) non vi era affatto l’idea di costituire un partito unico ma la semplice volontà di ridurre la frammentazione politica, cioè razionalizzare il numero dei movimenti Sardi, passando ad esempio da 11 sigle a massimo 2 o 3. Senza escludere l’ipotesi di alleanze con partiti italiani.
2) Continua a mancare un riferimento preciso all’interlocuzione con la variegata area del sardismo e al superamento di sterili polemiche nei confronti del Partito Sardo d’Azione e dei suoi eredi.
3) L’idea di costituire una federazione politica di movimenti Sardi, che da tempo noi definiamo con la nostra sigla associativa (U.R.N. – Unione per la Responsabilità Natzionale) è inficiata alla base dalla presenza di sigle maggiormente ascrivibili ad un orientamento social-progressista piuttosto che ad uno conservatore e/o liberaldemocratico, circostanza che mina la possibilità di creare un vero pluralismo nell’offerta politica di tali movimenti.
4) I movimenti indipendentisti Sardi, a differenza di quelli sardisti e soprattutto del bipartitismo italiano, non hanno alcun voto strutturato nel territorio ma, fatte salve rare eccezioni, raccolgono con i pochi mezzi a disposizione un semplice voto di opinione, variabile a seconda della tipologia di tornata elettorale che lo consente (Regionali/Amministrative). A riprova della totale assenza di radicamento indipendentista nella società Sarda, a sua volta determinata da fattori storici e culturali.
5) Manca un’approfondita analisi delle “regole del gioco”, ovvero della legge elettorale. Ed eventualmente un obiettivo politico che miri a riformare il tema portandolo al centro dell’attenzione politica. Non si può pensare di risolvere il problema della frammentazione indipendentista senza considerare l’ambiente nel quale queste divisioni si muovono.
6) Manca la considerazione di una sinergia indipendentista con le forze sociali ed economiche del territorio: sindacati ed associazioni di categoria.
7) Dopo decenni di anti-autonomismo, solo nel 2011 nell’indipendentismo tout court ci si rende conto della necessità di riformare per gradi le istituzioni dell’isola e di dover contare sull’apporto di forze che vanno oltre il proprio movimento di riferimento.
Veniamo dunque ad Oristano: quanti e quali di questi temi sono stati trattati? Quale modello di collaborazione si intende portare avanti tra le diverse anime dell’indipendentismo organizzate e non?
Come previsto, dai leader indipendentisti sono emersi i classici toni di magniloquenza che celano l’assenza di prospettive nell’avviare forme ben più coraggiose di convergenza politica che non siano riconducibili alla chiacchiera. Non ha torto Sardigna Natzione quando afferma che la sinergia tra indipendentisti può condurre a sollevare temi che poi vengono puntualmente ripresi dalla politica italiana in Sardegna (pensiamo alla battaglia contro il nucleare), ma dover leggere nelle nota congiunta di SNI, ProgReS, PAR.I.S. e AMPI – seguita all’incontro di Oristano – che si intende coinvolgere nel dibattito “tutte quelle forze ed energie presenti nella società sarda che hanno reale interesse a costruire l’indipendenza”, francamente, denota una posizione che si porta fuori dalla realtà e che serve solo ad aggirare i veri problemi della politica indipendentista.
In Sardegna non esistono forze ed energie interessate all’indipendenza fuorché gli stessi piccoli movimenti indipendentisti che sono privi di validi supporti nel mondo dell’economia, della politica e quindi della società Sarda. Sotto questo profilo dunque siamo all’anno zero.
Non ha torto dunque il movimento IRS a valutare una exit strategy rispetto ad un settarismo che tuttavia proprio IRS (assieme agli attuali dirigenti del ProgReS) per diversi anni ha contribuito a creare. L’indipendentismo del 2011, a prescindere dalla strategia sardista di alleanze con partiti italiani, non è ancora nella posizione per potersi opporre al bipolarismo italiano, men che meno senza neppure occuparsi della legge elettorale. La stessa IRS che l’ha compreso non si trova in una solida posizione negoziale al punto da far ritenere che possa fare meglio del Partito Sardo d’Azione.
Le ultime elezioni di Cagliari hanno dimostrato, se mai ve ne fosse bisogno, che l’unità o la collaborazione a prescindere non bastano. L’indipendentismo deve guardare oltre l’indipendentismo, ma deve anche rendersi conto dei propri limiti organizzativi e dell’ambiente nel quale opera.
Bisogna pertanto avere il coraggio di guardare oltre a delle sigle politiche la cui sola presenza non è più sinonimo di garanzia e pluralismo ma un forte ostacolo all’adozione di una piattaforma politica capace di influenzare le grandi riforme istituzionali.
L’indipendentismo Sardo deve decidere se vuole continuare a ricoprire un ruolo di voce extra-amministrativa oppure se vuole ritagliarsi una seria capacità di governo, con tutto ciò che implica in termini di alleanze, contenuti e razionalizzazione delle attuali sigle politiche. In buona sostanza: è tempo di decidere se l’indipendentismo vuole solo fare da “ditta” per evitare gli sfratti dei pignorati di Equitalia o se vuole partecipare all’amministrazione dell’isola per evitare che le vessazioni al territorio continuino indisturbate.
Per avviare un concreto indipendentismo moderno e rottamare movimenti che affondano ancora le loro radici nella mentalità della guerra fredda e nella cultura dello statalismo italiano, servono una serie di misure che possono apparire alquanto impopolari ma che sono necessarie per ristrutturare l’azione del nazionalismo Sardo:
1) La fusione in un unico soggetto delle sigle indipendentiste le cui politiche includono misure di natura progressista e socialdemocratica, in maggioranza rispetto alle componenti post-marxiste ed alle minoritarie componenti liberali. Senza evitare nel territorio la collaborazione con queste ultime, a seconda dei temi.
2) La rimozione della tara ideologica portata avanti per decenni e determinata da antisardismi ed antiautonomismi strategicamente fallimentari, nonché la completa possibilità di adesione a coalizioni programmatiche con partiti italiani.
3) Comprendere che non esisterà alcuna “convergenza nazionale” fintanto che l’indipendentismo non si aprirà alle componenti dell’autonomismo Sardo ed alle componenti sociali, politiche ed economiche (anche non necessariamente progressiste ma liberali) del tessuto isolano. Solo allora vi sarà convergenza di vedute e si potrà realizzare una politica di Responsabilità Natzionale per tutelare al meglio gli interessi della Sardegna.
4) Comprendere che non vi saranno mai seri collanti programmatici se non si identificherà, ad esempio nella Lingua Sarda e nella fiscalità, il perimetro entro il quale far partire la rivendicazione politica di una minoranza nazionale che intende conquistarsi il diritto alla sovranità.
Dobbiamo fare ordine, è ridicolo che un indipendentismo che ha lavorato per frammentarsi ora riconosca di esserlo.
Da Oristano ne è venuto fuori un solo messaggio politico: la volontà di allearsi nel territorio su determinate tematiche ma di proseguire per vie diverse a seconda della tornata elettorale.
Il tutto condotto con un metodo esclusivamente autoreferenziale e tendente ad evitare le voci interne di dissenso.
Si tratta di una posizione fondamentalmente inutile, lesiva e che continuerà a tenere l’indipendentismo lontano dall’amministrazione del territorio. Sia perché non vi è alcun senso logico nel continuare a parcellizzare le già esigue risorse in periodo elettorale, sia perché tali forze non offrono alcun reale pluralismo nei loro programmi politici.
Nella maggior parte dei casi questi movimenti hanno contenuti pressoché identici e non sono neppure capaci di integrare la politica sardista che da anni occupa alcuni ruoli in seno alle istituzioni regionali.
Il risultato finale di questa mediocre linea esposta dai leader indipendentisti conduce nella stessa medesima direzione nella quale ci troviamo oggi, vale a dire verso nessun risultato pratico.
La Sardegna non ha più bisogno di un indipendentismo capace solo di fare fumo e poco arrosto. A tale proposito nel futuro di questo ambito politico vediamo le primarie come strumento democratico per la nomina dei dirigenti.
I vari Sabino, Cumpostu, Sale, ecc, devono uscire dalla teoria, scrollarsi di dosso il peso di dover condurre una nazione (del quale si sono autoincensati) e telefonare a tutti i principali leader sardisti e dei partiti italiani nell’isola per iniziare ad avviare una serie di dibattiti sui problemi vitali che interessano la cultura, le istituzioni e l’economia Sarda. Solo in questa maniera si riuscirà a costruire una politica più responsabile nel territorio e che possa inglobare anche quelle personalità radicate nelle nostre comunità locali capaci di offrire una dote di voti verso un progetto indipendentista meno frammentato e meno confusionario del presente. Perché la credibilità non riguarda solo il favore dell’elettorato ma anche quello della Pubblica Opinione isolana nel suo complesso, e pertanto anche la possibilità di attirare candidati politicamente spendibili e maggiormente propensi al dialogo piuttosto che all’attacco verbale.
La sinergia con il sardismo è necessaria, ma bisogna altresì comprenderne le dinamiche e la dispersione che riguarda anche questo ambiente politico. Ad esempio oggi da un lato abbiamo i Riformatori Sardi che inseguono in solitaria una vaga idea di “Partito dei Sardi”; abbiamo un Paolo Maninchedda del PSD’AZ che, in linea con la tradizione Popolare da cui proviene, cerca nel proporzionalismo e nell’intermediazione con SEL (Sinistra, Ecologia e Libertà Sardegna) un potenziale alleato con cui scalare l’azionista di maggioranza del centrosinistra rappresentato da Renato Soru presso il PD. Ed abbiamo persino una Fortza Paris che ha la capacità di guardare oltre il bipartitismo per allearsi potenzialmente con un centro di matrice democristiana, come annunciato nella prima parte di questo intervento, augurandoci che il movimento non abbandoni mai la sua linea e che, pur alleandosi, tenga fede al proposito di non fondersi nuovamente con un qualsivoglia partito italiano, anche del centro.
La Sardegna non può essere lasciata nelle mani di forze immature e centraliste che non si occupano dello sviluppo dell’isola. Si tratta di forze supine a Roma che, senza successo, intendevano ridurre il numero dei consiglieri regionali piuttosto che gli stipendi, e senza considerare una nuova legge elettorale che dia dignità alla democrazia Sarda. Ad esempio Malta è estesa per 316 Km quadrati, ha 410.000 abitanti e ha un parlamento di 65 deputati, mentre elegge 5 eurodeputati.
Per darvi una misura della situazione: non possiamo lasciare l’isola nelle mani di forze che, senza essere integrate dai contenuti del nazionalismo Sardo, preferiscono promuovere turisticamente il golf piuttosto che l’ingente patrimonio archeo-ambientalistico dell’isola. Uno dei maggiori del Mediterraneo. Non possiamo lasciare l’isola nella mani di poteri la cui scuola italiana ha completamente cancellato la Sardegna dalla formazione dei nostri giovani, il nostro futuro.
Oggi bisogna capire se l’alba di Ghilarza diventerà uno stimolo per evitare il tramonto della riunione oristanese.
Torneremo sul tema, grazie per l’attenzione.
Di Corda M. e Bomboi A.
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