Indipendentisti al governo del Québec (Canada). E Barcellona auspica l’indipendenza da Madrid
Un mese fa erano ben 6 milioni gli elettori chiamati alle elezioni che hanno consentito il ritorno degli indipendentisti al potere del Québec dopo 9 anni di amministrazioni liberali. Lo scorso 4 settembre, il Parti Québécois ha ottenuto il successo con 1.393.765 voti (31,95%) ed ora i liberalnazionalisti posseggono 54 dei 125 seggi dell’Assemblea nazionale. Il Parti Québécois ha formato quindi un governo di minoranza, guidato dalla prima premier donna della storia canadese, Pauline Marois.
Alla guida dell’opposizione, collocandosi al secondo posto, con 1.360.965 consensi elettorali (31,20%) e 50 seggi ottenuti, l’ex premier Jean Charest, capo del governo provinciale per tre mandati dal 2003, mentre al terzo posto, con 1.180.261 voti (il 27,05%) e 19 seggi, si è collocato il nuovo partito guidato da Francois Legault, denominato “Coalizione per il futuro del Québec“.
Risultato meno soddisfacente invece è stato del partito “Québec solidaire” di Françoise David e Amir Khadir, che nonostante fosse vicino alle idee del PQ, ha incassato solamente il 6,03% dei consensi, pari a 2 seggi.
Si era arrivati alle consultazioni politiche dopo che in agosto l’ex premier e capo di governo della provincia francofona Jean Charest aveva sciolto il parlamento provinciale, a seguito di dure contestazioni del popolo sulle accuse di corruzione, e dopo diverse manifestazioni studentesche contrarie all’annuncio di aumento del 75% delle tasse universitarie. Il clima di contestazione aveva finito per estendersi a tutti i principali strati sociali e con una numerosa serie di tematiche utilizzate durante la campagna elettorale: dai lavoratori a rischio, dai contrari ai tagli all’energia idroelettrica, dai difensori degli autoctoni locali (per i quali il governo precedente aveva deciso la requisizione di 1,2 milioni di km quadrati di territorio per farne delle concessioni minerarie). Non ultimo, l’onnipresente tema identitario, basato sulla lingua, sulla storia e sulla geografia locale, vera pietra angolare su cui si basa la forza e la penetrazione del consenso ottenuto dagli indipendentisti.
Con l’ultimo grande risultato, il popolo del Québec marcia sempre più unito verso l‘indipendenza della regione francofona, anche se in questa fase l’autodeterminazione non rientra negli ampi programmi amministrativi nazionalisti.
Ma vediamo nel dettaglio i punti generali del programma elettorale presentato dal Parti Québécois:
1) Risanamento e consolidamento delle finanze pubbliche come strumento per realizzare la sovranità del Québec; 2) promozione e protezione della lingua francese; 3) affermazione della propria identità e dei propri valori, in base alla cultura e alla storia nazionale; 4) controllo delle proprie ricchezze naturali, acquisendo la propria autonomia energetica e alimentare; 5) la necessità di dotare il Paese di trasporti pubblici adeguati, sviluppando il Québec settentrionale; 6) lottare contro i cambiamenti climatici e proteggere l’ambiente.
Fra le misure fiscali ed amministrative si segnalano il risanamento delle finanze dei partiti politici e la limitazione del sostegno finanziario per ogni singolo cittadino a soli 100 dollari, senza credito d’imposta; sui costi della politica, la limitazione a due mandati consecutivi del primo ministro ed a tre sul numero dei mandati consecutivi dei sindaci dei comuni e delle autorità locali con più di 5000 abitanti; nonché il mantenimento nello stesso giorno delle elezioni municipali e di quelle scolastiche; la promozione dei referendum nazionali di iniziativa popolare, la cui richiesta sia proposta da almeno il 15% degli elettori, nel rispetto della carta dei diritti e della libertà della persona, della futura carta di laicità e della futura Costituzione del Québec (tutte le questioni fiscali sono state escluse da questa proposta di riforma del diritto); proposta anche l’applicazione di un canone minimale obbligatorio del 5% sulle lavorazioni grezze, in maniera da assicurare agli abitanti del Québec che tutte le miniere paghino un minimo annuale per il minerale estratto, con l’introduzione di una tassa del 30% a carico delle ditte estrattive, da restituire ai cittadini del Québec, considerati proprietari della risorsa. Ma non solo, fra le misure anche la creazione di una Banca di sviluppo economico del Québec, per rilanciare gli investimenti privati e pubblici nella ricerca e nello sviluppo, nonché la revisione della fiscalità delle aziende per l’accrescimento degli investimenti privati. Si è inoltre previsto di dotare tutti i cittadini dell’accesso pubblico ad internet ad alta velocità (in una regione dove ben 150.000 case ne sono prive); vi è poi l’abolizione della “tassa sulla salute” (pari a circa 400 dollari per famiglia) , programmando di introdurre nuovi scaglioni di imposta per i cittadini che guadagnano, rispettivamente, più di 130.000 dollari e più di 250.000 dollari.
Vi erano tanti punti in comune sui programmi dei tre partiti di maggioranza, come per esempio la lotta alla corruzione, il sostegno all’innovazione ed al risanamento delle finanze pubbliche. Cambiavano invece le disposizioni da attuare a seconda dei differenti obbiettivi di ciascun partito. Per esempio, il partito liberale del Québec ha sempre considerato la provincia francofona come parte integrante del Canada, e malgrado parli di sviluppo economico delle regioni, non presentò nessun programma di tutela e valorizzazione per la lingua locale, paventando invece l’adozione di misure fiscali atte a consolidare l’economia di dipendenza verso Ottawa.
Andava tutta in un’altra direzione la prospettiva del nuovo partito nazionalista “Coalition Avenir Québec“, che reiterava nel proprio programma alcuni progetti dei nazionalisti del Parti Quebecois.
Da notare, nel suo messaggio propagandistico, la CAQ, diversamente dal Parti Quebecois, dichiarava di voler mettere da parte le divisioni tra federalisti e sovranisti, per lavorare di comune accordo per il futuro del Québec, giocando una campagna elettorale attorno ad una posizione politica super partes.
Il partito prometteva quindi di facilitare l’integrazione degli immigrati nel Québec, e di rafforzare il ruolo ufficiale della lingua francese, garantendo un budget di 100 milioni di dollari per promuovere le arti e la cultura del Québec, accrescendone la propria autonomia in seno alla confederazione Canadese.
Per capire il contesto economico dobbiamo conoscere il Paese:
Ex colonia francese entrata nel Commonwealth britannico, l’economia del Québec è caratterizzata da tanti punti di forza in tutti i settori produttivi, risulta essere infatti il maggior produttore al mondo di energia idroelettrica, (gli USA acquistano quasi il 30% di questa energia per gli Stati di New York e del New England); ottime prestazioni dal settore aeronautico e dalle cartiere, mentre il settore minerario conta più di 200 compagnie, uno dei 5 più grandi del pianeta, inoltre è molto sviluppato il settore terziario e dell’industria manifatturiera. Buona performance anche dal settore primario (allevamento, industria del latte e dello sciroppo d’acero, per il quale il Québec è il maggior produttore mondiale).
Da considerare su larga scala anche l’industria cinematografica e dei videogames, presenti sulla scena mondiale.
La direzione di queste attività produttive, e di tutta l’attività finanziaria del Québec, è concentrata nella metropoli di Montréal, che attualmente rappresenta uno dei 20 maggiori centri finanziari del pianeta.
Secondo gli analisti, nei prossimi anni si assisterà ad una forte spinta sovranista da parte della provincia francofona.
Una spinta sovranista che gode sempre più dell’attenzione e del sostegno dei massmedia, e dovuta in primis alla risposta del popolo contrario alla politica nordamericana del “divide et impera“, incentrata sullo sfruttamento delle vaste risorse naturali, oltre che sulla limitazione della sovranità popolare del territorio.
C’è nell’aria un grande desiderio di cambiamento del popolo, che non ha più avuto fiducia nel tradizionale partito liberale, divenuto essenzialmente filo-statunitense, oltre che attraversato da gravi casi di corruzione e scandali che hanno coinvolto la politica, i sindacati e il settore dell’edilizia.
Sulla nostra sponda dell’Atlantico la situazione non è diversa. Il Governo autonomo della Catalogna, guidato dal nazionalista moderato Artur Mas (CiU), a seguito della mancanza di un accordo in materia fiscale con Madrid e forte del consenso popolare attorno al tema dell’autodeterminazione, per la prossima legislatura ha annunciato un referendum sull’indipendenza dalla Spagna. USA Today ha rappresentato la Catalogna come la “vacca grassa” che il centralismo di Madrid intende continuare a mungere.
Di Roberto Melis.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi
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