Agroalimentare, economia e lingua Sarda, un esempio di Nicolò Migheli
Il 27 di marzo, alle 10,30, nella sede della provincia dell’Ogliastra a Lanusei ci sarà la prima audizione pubblica. I culurgionis, alla fine del percorso, avranno la denominazione Indicazione Geografica Protetta (IGP.) Per chi è digiuno di regolamenti sui marchi comunitari sembrerebbe un’ottima notizia. Il territorio di produzione indicato in disciplinare è l’Ogliastra più Sadali, Esterzili ed Escalaplano in provincia di Cagliari. Il marchio Igp, a differenza della Denominazione di Origine Controllata, non obbliga a l’uso di materie prime di un ambito territoriale specifico.
Ad esempio, il pecorino sardo Dop deve essere fatto con almeno il 75 per cento di latte prodotto in Sardegna. In questo modo viene garantito che il marchio copra anche le materie prime. Questo significa l’implementazione di filiere che alimentano le produzioni agricole locali. L’Igp al contrario, si limita a registrare una modalità di produzione attestata storicamente in un dato territorio. Nulla dice sull’origine delle materie prime. Per fare un altro esempio, la Bresaola della Valtellina Igp, viene fatta con carni brasiliane ed argentine. Il tutto in pieno rispetto dei regolamenti comunitari.
È cosi sarà anche per i culurgionis. Il disciplinare recita che la sfoglia debba essere fatta con farina di grano duro e tenero e che il ripieno deve essere di patate o in alternativa di fiocchi di patate. La forma deve rispettare quella tradizionale a fagottino, con chiusura a spiga di grano. Nulla si dice dell’origine delle materie prime che possono provenire da tutto il mondo. Il paese che ha la maggior produzione europea di fiocchi e fecola di patate è l’Olanda, in cui si importano materie prime da ogni luogo e che, dopo lavorazione, diventano europee. Così anche per le farine e le semole.
Ancora una volta un’occasione sprecata. In questi anni si è discusso molto sul cosiddetto Made in Sardinia, se avesse senso produrre cibi con materie prime importate. Il Movimento dei Pastori Sardi, qualche anno fa fece una manifestazione nel porto di Olbia, dove rivelò ai più che molti dei salumi nostrani erano fatti con maiali d’importazione. Quella denuncia fece scandalo, anche se una ragione i salumifici l’avevano e l’hanno: la peste suina che impedisce l’esportazione di carni lavorate di animali sardi, anche se alcune deroghe sono ammesse.
Si potrebbe continuare: dolci confezionati con mandorle turche e mieli argentini, paste fatte con grano canadese e via importando. Un sistema agro industriale che sta uccidendo l’agricoltura locale. L’Ogliastra e tutto il centro Sardegna hanno terreni vocati per la produzione di patate, perché non mettere in essere dei contratti di coltivazione e produrre in loco tuberi che avrebbero un gusto ben diverso degli anonimi preparati industriali? Perché non usare il grano nostro?
Si può pensare che sia una scelta fatta dagli artigiani che producono i culurgionis, che in questo modo si trovano ad operare con semilavorati di importazione, guadagnando in tempo ed anche sul prezzo. Il risultato però sarà, ancora una volta, l’abbandono delle campagne. Un processo che i finanziamenti destinati allo sviluppo rurale dovrebbe combattere, invece, quel disciplinare è stato realizzato con un bando del Gal Ogliastra. Bella contraddizione. Che dire poi per un prodotto ormai diventato simbolico, che il consumatore associa ai luoghi incontaminati ogliastrini? Non sentirà, per certi versi, un tradimento della promessa?
Nella predisposizione del disciplinare vi è poi una grave errore che può vanificare tutta l’operazione. È stata richiesta la protezione a marchio per il termine culurgionis, senza nessuna aggettivazione geografica. In sardo la parola ha diversi significati, indica sia il raviolo che un angolo di un abito o di un tessuto cucito a forma di sacchetto; oppure un nodulo, una ciste. Se quel nome viene sottoposto a tutela diventa impossibile, per chi non aderisce al disciplinare, poterlo usare. Un artigiano non potrebbe chiamare così i suoi fagottini, un ristoratore o un agriturismo non potrebbe mettere in menù un piatto di culurgiones preparati da lui, dovrebbe chiamarli in maniera differente. In altre zone dell’isola lo stesso nome indica un raviolo con ripieno ed aspetto estetico diverso. Un nome comune non può essere registrato come esclusivo. Come se qualcuno si svegliasse e registrasse il nome raviolo. Basterebbe un ricorso e tutto il castello cadrebbe.
I funzionari del Ministero delle politiche agricole, non sono tenuti a conoscere il sardo e quindi non hanno colto l’incongruenza. Però chi ha preparato il disciplinare doveva saperlo, così come avrebbe dovuto conoscerlo chi nell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Sarda ha dato la prima approvazione. Dispiace dirlo, ma tutta questa operazione sembra gestita in maniera superficiale senza che alcuno abbia colto l’importanza strategica per lo sviluppo di un territorio di una operazione simile.
Politiche che dovrebbero garantire sviluppo di filiera e rurale danno risultati opposti. Un piccolo esempio del lavoro tremendo che attende l’assessora Falchi, a cui auguriamo successo, perché quello suo si interseca con il rilancio di un settore strategico per la Sardegna. La produzione del nostro cibo.
Nicolò Migheli, Sardegna Soprattutto.
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Redazione SANATZIONE.EU
Buongiorno dott Migheli, mi può dare per cortesia gli estremi della delibera del gal di finanziamento dell Igp? Inoltre: come li avrebbe chiamati lei i ravioli di patate visto che Culurgionis è un nome comune? E per finire: ma questa cosa del 75% del latte sardo per fare il pecorino sardo DOP da dove l’ha presa??????
Gentile sig. Pinna, il 75% è stato un mio errore, l’ho ricavato da una bozza di discplinare ricalcato sul pecorino toscano. Il disciplinare oggi in vigore prevede solo latte sardo. Il bando Gal, l’ho trovato tramite google, ma credo sia del programma Leader Plus, non di quello in essere. La vicenda sta andando avanti da dieci anni. Quanto alla denominazione basterebbe chiamarli, come tutti gli altri Igp con denominazione geografica ad esempio Culurgionis d’Ogliastra, e nessuno si potrebbe lamentare. Il regolamento vieta l’uso di nomi comuni, tipo mortadella, bresaola, zampone ecc. Culurgionis è nome comune. Dirò di più potrebbe inibire l’uso anche di termini tipo culurgione, culurzone,perchè troppo simili a culurgionis. Infatti vedrà che la soluzione sarà Culurgioni d’Ogliastra, così tutti gli altri potranno fare e servire i loro culurgionis generici, senza incorrere in alcuna sanzione.
Invece io credo sig Migheli che lei si vanti di competenze che non ha perché non è possibile per un pecorino sardo avere meno del 100% del latte sardo. E questo lo sanno anche le pecore sarde, appunto. Non troverà nessuna delibera del gal per quanto lei la cerchi, perché il gal non ha finanziato nessun procedimento del genere. Non capisco come si sia permesso di dire una cosa cosi senza averne certezza. Sul nome forse avrà ragione. Rimane il fatto che lei muova accuse senza conoscere le cose e non verifica le fonti. Anzi le fonti non le cerca proprio. Però questa precisazione se fosse onesto intellettualmente adesso la farebbe anche su L’unione sarda iniziando col dire che ha sbagliato.
Un’ultima cosa. Lei dice a proposito del disciplinare “Nulla si dice dell’origine delle materie prime che possono provenire da tutto il mondo”. E’ ovvio che sia così perché per il principio della libera circolazione delle merci all’interno della UE non è possibile riportare una specifica origine delle materie prime nel disciplinare di una igp. Ma forse lei non sa nemmeno questo. Però si permette di criticare e di dire che tutta l’operazione è stata gestita inmaniera superficiale.