Bye bye Pigliaru (l’intellettuale) – Di Marco Zurru

Il più classico tra i classici dei lavori sulla società sarda si apre con una distinzione chiara e limpida tra la “società dei ladroni” – la mafia, la criminalità organizzata nelle sue varie versioni – e la comunità del noi pastori, la società barbaricina. “La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico” è un saggio di antropologia del diritto che inizia comparando tre sistemi l’un l’altro alternativi, quello statale, quello mafioso e quello barbaricino.

Ma per Pigliaru solo l’ordinamento mafioso viene ritenuto incompatibile con gli altri due; esso è tenuto in disparte e posizionato in una dimensione secondaria. Infatti, per Pigliaru i due veri protagonisti del confronto sono lo Stato e il sistema barbaricino. Solo questi sono “oggetti interi e complessi, caratterizzati dalla comune pretesa di universalità”.

Solo il codice della vendetta e quello dello Stato sono superiori al diritto dei mafiosi perché esprimono una “ambizione olistica”. Viceversa, la mafia, la società dei ladroni, appare sì come un ente razionale e coerente, ma rimane un ordinamento limitato perché “strumentale”, “parziale”, valido solo per gli uomini d’onore, i suoi associati. La vendetta, nei gruppi mafiosi, non è una forma di autotutela della comunità intera, come accade nel “noi pastori”, ma solo un metodo attraverso cui il gruppo si impone ai propri membri e al resto della comunità. La vendetta mafiosa appare a Pigliaru solo come uno strumento attraverso il quali una élite di uomini d’onore schiaccia la massa.

Per lo studioso sardo, il sistema giuridico barbaricino “non si sente strumento di alcunché”: è un fine in se stesso, un valore fondante, un assoluto per tutti i membri del “noi pastori”. E questo perché il sistema della vendetta barbaricina dà conto di una forma e sostanza identitaria antica e originaria. Le sue norme possono anche escludere qualche componente della comunità territoriale (alcune categorie sociali sono esentate dall’osservarle), ma esso è valido per ogni membro della comunità del noi pastori, che è il vero centro dell’universo etico: “La differenza essenziale tra le norme che pongono la vendetta nel sistema della società criminale e le norme che regolano la vendetta nella società barbaricina, è proprio nel fatto che quelle presuppongono il ladrone (anche se dentro il ladrone pensano l’uomo); queste pensano l’uomo…”.

Oggi, alle 10.30 all’ingresso di Lanusei, Roberto Aresu, un imprenditore locale, ha acceso la sua Clio, ha percorso alcune decine di metri ed è saltato in aria, provocando la sua morte e il ferimento di numerose persone che stazionavano nelle vicinanze.

Pigliaru non conta più. Le sue raffinate analisi non sono più capaci di cogliere questi processi di modernizzazione del fare criminale nella nostra isola. La sostanza e la forma dei gesti richiamano la fattispecie mafiosa; lo spregio nei confronti dei passanti, di chiunque sia stato casualmente nelle vicinanze dell’obiettivo (il povero Aresu), richiama una forma di assoluta volontà di distruzione, di annientamento, costi quel che costi. Una forma di violenza che tracima nel terrorismo, che fa terrore, proprio perché casuale, può colpire chiunque. Proprio perché random non è comprensibile all’interno di alcun sistema di regole, pur criminale che sia.

Insieme all’espansione del mercato degli stupefacenti, alle incursioni di cosche mafiose, camorriste e della ‘ndrangheta nella costruzione di un sistema di riciclo e reinvestimento di danari sporchi di sangue nel tessuto socio-economico isolano, alle scorribande nel sistema degli appalti pubblici, questo di oggi è un campanello d’allarme importantissimo che va preso con la massima serietà. Quando un contesto sociale ed economico si indebolisce, quando i meccanismi di autodifesa diventano deboli, quando i meccanismi istituzionali di difesa si dimostrano poco reattivi, le possibilità di entropia aumentano. Ed è un guaio serio, per tutti.

Di Marco Zurru, sociologo presso l’ateneo universitario di Cagliari.

Pubblicato anche su Sardegnablogger.

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