Maternità: parliamo di cultura dell’allattamento al seno con Veronica Matta

Incontriamo Veronica Matta, laureata in filosofia, collaboratrice di Cagliari Globalist e Mediterranea Online. Esperta di antropologia dell’alimentazione neo-natale nella Sardegna tradizionale, autrice del saggio “Il dono del latte” (Cagliari, 2011).

Intervista di Adriano Bomboi.

Maldestri convincimenti culturali hanno talvolta indotto delle madri a rinunciare all’allattamento al seno, quali sono le principali controindicazioni del fenomeno?

Oggi l’allattamento al seno non è più un problema, escludendo i casi di impossibilità particolari, in gran parte è un problema di poca volontà, ma se la donna viene rassicurata e informata prima del parto sulle proprietà e i benefici del latte materno, sull’alimentazione da seguire, sulle modalità per recuperare il capezzolo, sulla posizione corretta per l’allattamento e sull’importanza e i vantaggi della pratica, non si incontrano ostacoli. Oggi i reali impedimenti dell’allattamento al seno sono “moderni” e spesso sostenuti da interessi economici opposti.  È pur vero, così come affermano le puericultrici di oggi, che ciò che compromette l’allattamento naturale dipende non solo dal grado di informazione che ciascuna madre possiede ma anche dalla capacità di saper superare i primi ostacoli, senza ricorrere al latte artificiale.
La natura non sbaglia mai e probabilmente lo fa la donna quando, pur potendo, evita di farsi carico di un compito del tutto naturale, magari per ragioni del tutto superficiali come la scomodità, la mancanza di tempo o l’estetica. Senza dubbio il mondo scientifico riconosce nel latte materno l’alimento principe attraverso cui poter costruire le basi solide della salute e dello sviluppo del neonato. Con il tempo questo ultimo concetto è senza dubbio migliorato grazie anche ad una campagna di sensibilizzazione in favore delle alte proprietà nutritive del latte umano. I risultati della nuova inchiesta ci diranno sulle abitudini delle mamme contemporanee e la pratica dell’allattamento al seno.
L’allattamento materno è da considerare come il risultato di dinamiche complesse e per un certo periodo esso è stato fatto oggetto di politiche diversamente intese a seconda delle aree di riferimento, sottosviluppate o industrializzate. Le variabili sociali, culturali economiche, politiche e la loro combinazione invita allo studio dell’allattamento al seno come fenomeno antropologico totalizzante, in grado di incapsulare molteplici significati della società che si analizza. In passato il latte materno, “latti de pettus” o “de titta” così chiamato dall’antropologa cagliaritana Gabriella Da Re, almeno fino agli anni ’50 era un bene prezioso per chiunque l’avesse e una risorsa collettiva che doveva essere messa a disposizione di chi ne aveva bisogno. La miseria, la povertà, l’ignoranza, le disastrose condizioni igieniche di allora, potevano stravolgere i migliori intenti di una madre. Non si trattava di mali provocati dalla pratica materna: le loro origini era sociali e sono state eliminate solo con precise scelte politiche. Le famiglie di cui parlo nel libro sono quelle dei sardi che ancora vivevano in luoghi insalubri, in stanze umide e malsane, spesso con i loro animali da cortile, in cui l’igiene e la salute erano terribili. Il prof. Cau, (uno dei due pediatri da me intervistati nell’inchiesta) raccontava di una mortalità infantile in Sardegna fino almeno agli anni ’50 legata ai problemi igienici, in cui i bambini sardi morivano per gastroenteriti acute, per shock tossico. :- “Professori deu seu scarognat (ra)” :- “Fustei esti scarognat (ra), puru caddozza…”, è un aneddoto significativo riguardante la storia di una donna che abitava nel quartiere di Castello a Cagliari, che costrinse il prof. Cau a recarsi a piedi fino a quella lugubre abitazione in cui vide in un angolo della stanza un vaso di terracotta, molto largo, con del latte in cui navigavano le mosche. Il prof. Cau caricò l’ottavo figlioletto in braccio e andò via di corsa fino alla clinica Macciotta: “Lì c’era il problema della gastroenterite”.

Qual è la situazione della Sardegna nella tenuta dell’allattamento materno?

L’inchiesta sull’allattamento al seno contemporaneo da me iniziata presso un ospedale cagliaritano, cui seguirà la stesura finale del  nuovo libro come continuazione del “Il dono del latte” è in corso e non conclusa. Dal significato culturale dell’allattamento, dagli anni ‘60 ad oggi, l’intento è quello di capire cosa significa allattare in Sardegna oggi, dall’ospedalizzazione alle dimissioni, evidenziando il ricorso al latte materno come scelta o piacere. Sappiamo dallo studio in corso che i dati raccolti saranno il risultato di un’indagine per età, per numero di figli e per professione, per il tipo di parto avuto (naturale o cesareo), il tipo di allattamento adottato per il proprio figlio dopo il parto (durata, difficoltà legata a problemi di salute o personali delle partorienti, fisici o locali al seno o di salute del neonato). Tutti fattori che metteranno in luce innanzitutto cosa significa essere madri in questa società. Oggi posso trattare l’argomento per ciò che l’allattamento al seno significò in passato per le donne sarde e la società tradizionale sarda. Decisiva l’inchiesta antropologica sul campo che svolsi nel Campidano e nella Marmilla, in cui ho potuto conoscere da vicino le donne ultra novantenni che hanno raccontato la propria maternità e le tecniche d’allattamento apprese da vicino dalla famiglia di origine e di cui abbiamo per primi ricostruito i gesti con le tavole dell’illustratrice Giovanna Dessì e le sculture dell’artista Gabriele Loi. Tecniche e posture che raccontano sulla cultura dell’allattamento al seno in Sardegna come un’arte che allora non era insegnata dai pediatri, ma appresa con le “esperte” del vicinato.

Cosa si intende per baliatico comunitario?

Questa espressione, utilizzata dall’antropologa Gabriella Da Re, racchiude il significato che contraddistingue il rapporto che il dono del latte rappresentava in Sardegna. Baliatico comunitario non mercenario, perché il dono del latte materno “de pettus o de titta” avveniva nei gruppi di vicinato, di parentela e di affinità. Era un fenomeno di reciprocità per il quale non si chiedeva nulla in cambio. Provvedere all’allattamento era fondamentale e molto importante soprattutto se in casa c’erano bambini da crescere. Le donne che non potevano allattare, sperando di trovare qualche mamma disposta a dividere il proprio latte coi propri bambini, andavano alla ricerca di latte di donna. Diverse informatrici raccontano di allattamenti contemporanei ai loro figli e a quelli di altre mamme, che non avendo latte, facevano l’intero giro del paese pur di trovarlo. Questa prestazione di reciprocità era talmente diffusa nella società tradizionale sarda da generare importanti legami sociali dati dalla parentela di latte tra la balia che diventava “mamma tittedda o mamma de latti”, i suoi figli e l’allattato che diventavano “fradi de latti”. Le donne che ebbero questa esperienza esprimono il tipo di legame che le univa ai figli di latte facendo ben comprendere che esse, in quei momenti, si sentivano portatrici di vita ricavando una grande soddisfazione: “si fariat (ra) cun su coru, chi una du portat (ra) su lattu, esti sempri bellu aggiurai” (Tzia G. 90 anni, Siddi).

Mercato e progresso scientifico hanno contribuito all’abbattimento dell’antica mortalità infantile, malgrado in aree disagiate del globo, il latte artificiale, miscelato ad acqua malsana, non rappresenti ancora un argine al problema. Quando è utile ricorrere al supporto di un prodotto industriale e cosa consiglia la pediatria al riguardo?

Senza alcun dubbio quando ci sono impedimenti radicali per poter allattare naturalmente il neonato. Per quando riguarda la società sarda tradizionale presa in esame, lo studio di Francesco Coletti, almeno per quanto riguarda i dati della mortalità infantile in Sardegna rispetto a quelli dell’allora Regno d’Italia, nel primo periodo post-unitario, pone la Sardegna del panorama statale in una posizione di privilegio assoluto, con la situazione a minor rischio per il neonato. Secondo l’indagine campionaria condotta nell’isola dal demografo positivista, Coletti, di cui possiamo leggere nel suo saggio “La mortalità nei primi anni d’età e la vita sociale della Sardegna”, fu proprio la centralità della cultura dell’allattamento al seno a far emergere l’eccezionalità dell’isola rispetto alle altre regioni del Regno. L’indice di mortalità nel primo anno di vita era, infatti, in assoluto il più basso tra quelli del territorio, pari all’87,4% del valore medio generale. Le condizioni di privilegio dell’infanzia sarda erano limitate al periodo in cui intervenivano a rendere l’ambiente meno aggressivo per il neonato, in cui ad agire positivamente erano una serie di fattori di tipo culturale (la scarsa partecipazione della donna al lavoro extradomestico, la cura del parto, il costume dell’allattamento prolungato fino al secondo anno di vita), che insieme neutralizzavano gli effetti nefasti della miseria e della mancanza di igiene. Da questo punto di vista si può ben comprendere quanto l’allattamento al seno materno fornisse e fornisce tutt’oggi, il miglior inizio alla vita di tutti i bambini, e come in una società di poveri costituisca un’indispensabile fonte di sopravvivenza.

Pian piano l’introduzione delle norme “razionali” nella cura e allevamento dell’infanzia, con i primi consultori pediatrici e l’azione educativa dei medici, nelle abitudini delle madri fanno tramontare lentamente il culto dell’allattamento naturale e crescere l’utilizzo dei sostituti del latte (in polvere, di vacca, di capra, d’asina) di cui si riconosce l’importanza ma non l’abuso.

La società muta, muta il costume della donna che per diverse ragioni, la più evidente, il tipo di lavoro che la costringe fuori casa, scompare il terrore dell’alta mortalità di una volta causata dal latte vaccino e dalle precarie condizioni igieniche, e avviene così che oggi non tutte le donne sentano più l’antico orgoglio di questo dovere, né sono turbate nel trascurarlo. I pediatri e il mondo farmaceutico sono spesso determinanti nella scelta dell’uso del latte materno o dei suoi sostituti. In un determinato periodo storico, intorno agli ’70, le società promuovevano presso operatori sanitari e mamme i loro prodotti, distribuiti anche negli ospedali italiani e cagliaritani gratuitamente, nei primi giorni di allattamento. Le mamme degli anni ’70 ricordano l’esistenza di un kit contenente latte in polvere, creando, nei casi non strettamente necessari, disaffezione al latte materno.
Negli anni’80 una grande e nota multinazionale venne accusata di aver violato il Codice dell’OMS, con la fornitura gratuita del latte in polvere, soprattutto in paesi sottosviluppati come l’Africa i cui neonati soffrirono e morirono di shock anafilattici, dopo essere stati nutriti con questo prodotto, miscelato con l’acqua non potabile. I governi locali avrebbero dovuto assicurarsi che tutto ciò che sarebbe stato usato per nutrire un bambino fosse sterilizzato. E soprattutto avrebbero dovuto assicurarsi che l’acqua, con cui veniva utilizzato quel latte, fosse potabile.

Al progresso tecnico dobbiamo tanto anche il superamento delle tragiche e difficili condizioni igienico-sanitarie nelle quali le donne hanno vissuto la propria maternità in passato, ma come già il Latronico dichiarava nel 1977, “si vuole invitare l’uomo di scienza, e in particolare il pediatra cui si affida il fragile sboccio del bambino, al senso della misura, al vigile controllo delle proprie azioni, al rispetto della vita della natura”.
Alcuni fatti di cronaca fanno preoccupare quando vengono menzionate società e multinazionali impegnate  ad accrescere la vendita del latte artificiale a scapito dell’allattamento al seno materno. Come il caso italiano del 2014, che ha portato all’arresto di ben dodici pediatri pagati per consigliare latte in polvere ai neonati in cambio di regali e benefici.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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