A Torre Grande Franciscu Sedda parla di strategia e rispetto ma il PDS…

Di Adriano Bomboi.

Non c’è nulla di straordinario. Quando si ha a che fare con la politica, la coerenza diventa un concetto relativo, perché tutti possono cambiare idea. Ad esempio fino a non troppi anni fa criticavo Sedda per la sua opposizione al sardismo, ritenendo che la vecchia IRS fosse troppo settaria ed incapace di governare l’isola, oggi invece critico il Partito dei Sardi di Sedda e Maninchedda per la disinvolta gestione della spesa pubblica e della sua concezione di spoils system.

Sedda oggi ritiene utile la vecchia strategia sardista per la proposizione di riforme nell’interesse dell’isola, basata sull’alleanza con partiti italiani, io invece reputo ormai un danno la prosecuzione di una certa cultura politica – basata sulla ricerca del consenso tramite i soldi altrui – che pur consente anche ai partiti minori di consolidare un ruolo di governo. Un ruolo che ha spianato la strada all’assistenzialismo economico dell’isola, guidato dalle due grandi famiglie stataliste della cultura italica, quella socialdemocratica e quella cattolico-popolarista (che dai tempi di Rosmini, Gioberti e Sturzo fatica a ritrovare il loro spirito liberale). Una cultura parassitaria e conservatrice, che non si traduce mai in riforme, limitandosi agli annunci ed alla distribuzione di sussidi e posti pubblici. Infatti, con ogni probabilità, l’idea di “agenzia sarda delle entrate” di “sardo” avrà più il nome che i tributi.

Eppure viviamo nell’era di internet e dei nuovi populismi telematici alla Beppe Grillo, un’era in cui esistono anche gli spazi per essere eletti senza alleanze con partiti centralistici, a patto di avere una leadership competente, cosa che oggi nell’indipendentismo non si riscontra.

A Torre Grande, su invito di ProgReS, Franciscu Sedda ha parlato di due temi fondamentali: il primo, su cui concordo da sempre, riguarda il tema della fusione tra sigle indipendentiste uguali. Sedda ha ricordato che ha scelto di unirsi a Maninchedda per portare avanti il PDS, ed ha invitato gli altri leader indipendentisti a mettersi assieme per ridurre il numero di esponenti al fine di semplificare il quadro politico.
Difficilmente però l’invito di Sedda (e di Podimus) all’unità sarà accolto. Come noto, la maggior parte dei nostri indipendentisti è dedita a parlare di militari e palestinesi, prima che di sardi, e dunque non ci sarà da aspettarsi a breve alcuna fusione. Non possiamo quindi biasimare neppure un politico come Mauro Pili per la sua scelta di portare avanti da solo determinate tematiche, senza infilarsi in una disastrosa compagine politica, anche in ragione dei mezzi economici derivanti dalla sua attività parlamentare.

Il secondo tema trattato da Sedda riguarda il rispetto, e si può sintetizzare nella domanda che ha rivolto agli altri indipendentisti: “come potete auspicare alleanze se prima ci avete insultati a causa della nostra strategia?”
Bisogna riconoscere che anche la concezione del rispetto in politica è alquanto relativa, personalmente ho una grande considerazione di quello umano mentre quello politico può essere messo in discussione. Preferisco suddividere la materia tra critica, proposta, legittimazione e non legittimazione. Vale a dire, il Partito dei Sardi è stato democraticamente eletto e quindi ha tutto il diritto di governare. La sua legittimazione non deriva dalle “patenti” degli altri indipendentisti ma da una percentuale del popolo che l’ha sostenuta. Se poi devo fare una critica che mina questa legittimazione posso ricordare che il singolo Franciscu Sedda non è stato eletto ma investito di un ruolo tecnico-politico nell’assessorato regionale ai lavori pubblici. Legalità e legittimità sono dunque terminologie altrettanto distinte.

In secondo luogo va ricordato che essere buoni politici non significa essere automaticamente pure buoni amministratori: se io trovo ridicola e grottesca la polemica tra Soru e Maninchedda in materia di costi della sanità (quando entrambi i loro partiti si sono spartiti i manager delle ASL), non ci sono ragioni per cui non andrebbe detto. Se inoltre Maninchedda è giustamente contrario alle città metropolitane ma il suo partito a Sassari è favorevole, non ci sono ragioni per cui non andrebbe detto. Se l’impegno del Partito dei Sardi consiste nel confondere ancora il possesso di un bene o di un servizio con la sua gestione (vedere acque sottratte ad Enel), che è sintomo di un’antidiluviana visione dei beni pubblici, non ci sono ragioni per cui non andrebbe detto. Se il PDS vede nelle essenzialità energetiche pagate dai sardi uno strumento per fare welfare e non un peso al sistema produttivo isolano, non ci sono ragioni per cui non andrebbe detto. E potrei continuare a lungo. Perché in fin dei conti Sedda e i membri del PDS dovranno riconoscere che non tutte le critiche sono espresse da “urlatori e murrungiatori” ma anche da persone che sanno quanto lo spoils system di un partito minore, proprio per la sua natura e condizione elettorale, possa essere lesivo e aggressivo nei confronti della spesa pubblica al pari di un partito centralista come il PD.
Faccio presente che non si tratta solo di opinioni ma di scienza politica (vedere il Nobel James M. Buchanan e Gordon Tullock).

Il primo passo per la costruzione dello Stato (termine ormai obsoleto, io opterei per una confederazione sarda indipendente), partirà inevitabilmente dalla trasparenza nella pubblica amministrazione, perché la trasparenza è il primo passo per produrre ricchezza, allontanando cittadini, imprenditori e investitori dalla logica della dipendenza.
La trasparenza è l’anticamera del rispetto, tutto il resto sono fanfaronate.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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