Indipendentisti con Mas? Renzi riforma il Senato e nessuno propone un Parlamento sardo

Di Adriano Bomboi.

A Roma, per le sue riforme, Renzi potrà contare sull’indiretto appoggio degli indipendentisti sardi, quelli che si parlano allo specchio senza collaborare, né proporre alcunché, elogiando indipendentisti scozzesi e catalani che da diversi anni hanno lottato per ottenere da Londra e Madrid una devolution accompagnata da un proprio Parlamento autonomo, dotato dei rispettivi poteri legislativi in materie sottratte allo Stato centrale.

Chissà? Forse dovremmo rimpiangere i primi anni della nostra Autonomia regionale, quando la prima repubblica veniva retta da una classe dirigente che non faceva mistero delle proprie simpatie verso la centralizzazione ideologica e amministrativa dello Stato ma legittimava l’istituto delle Regioni ad autonomia specializzata.
La compagine governativa odierna, per intenderci, quella dei Renzi, Boschi e Pinotti vari, è l’emblema dell’incultura dei nostri tempi, dove l’idea dell’efficienza istituzionale passa attraverso una compressione delle autonomie locali, su cui vengono scaricati gli oneri, tralasciando l’ipotesi di “federalizzare” il Paese per responsabilizzare tempi e modalità d’impiego della spesa pubblica. Ipotesi quest’ultima che se posta in essere incrinerebbe il potere delle numerose clientele e corruttele su cui, da nord a sud, si regge l’Italia stessa. Ecco perché Roma non si occuperà di alcuna concreta riforma, né in materia fiscale, burocratica o costituzionale, limitandosi a snellire il Parlamento di una Repubblica che ignora le diverse sensibilità nazionali da cui è composta. Un evidente arretramento politico e culturale che segue la già difficoltosa riforma del Titolo V° della Costituzione avvenuta nel 2001, e che continua a non avere idee chiare neppure attorno al superamento del bicameralismo paritario in discussione.

Nello scarno dibattito sardo ci sono coloro che vorrebbero un Senato delle autonomie, ignorando che l’attuale legge elettorale prevede già l’elezione su base regionale per Palazzo Madama; mentre altri vorrebbero una sola Camera (in cui l’unico aspetto positivo sarebbe il risparmio dovuto alla rimozione della macchina amministrativa del secondo ramo parlamentare). Altri ancora, in base all’orientamento filo-governativo, attendono un Senato delle autonomie ad elezione indiretta, che in realtà sarebbe composto dai soliti nominati dei partiti italiani. Bisogna infatti ricordare che un serio federalismo non si ottiene con una semplice riforma delle Camere ma con la contemporanea riforma di tutto il Titolo V° della Costituzione, a partire dall’art. 117, e dalla legge elettorale che stabilisce la percentuale dei seggi (nonché, sui tempi del processo legislativo, anche con una riforma dei regolamenti parlamentari inerenti gruppi e commissioni di lavoro). Inutile dunque cambiare il Senato se il numero della potestà sulle competenze esclusive attribuite allo Stato centrale rimane inalterato, o peggio, diminuito a sfavore delle Regioni (sia ordinarie che autonome).

In tutto questo scenario il silenzio dei numerosi movimenti indipendentisti è il sintomo di gravi carenze politiche ed intellettuali che ne frenano l’azione e la credibilità. L’orientamento politico dei vari dirigenti indipendentisti sardi è paradossale. Ad esempio per Omar Onnis (Sardegna Possibile), la riforma dello Statuto autonomo regionale sarebbe “importante ma non prioritaria”, a causa delle lungaggini e degli esiti non scontati che trascina con sé (al confronto, l’ex DC Pietrino Soddu negli anni Sessanta era un vero e proprio rivoluzionario). Altri indipendentisti, come Franciscu Sedda, al governo della Regione nella Giunta Pigliaru, non perdono occasione di ripetere la baggianata per cui sarebbero paragonabili all’esperienza catalana, con la differenza che il Partito dei Sardi di cui è espressione non si sta battendo per una condivisa riforma dell’Autonomia regionale ma per la sola realizzazione di una pseudo-agenzia sarda delle entrate, che non porterà affatto miliardi di euro nell’erario regionale. A che serve limitarsi a parlare di esazione fiscale quando non si ha capacità impositiva?

La sintesi di fondo è che i nostri indipendentisti, come i sardisti del passato, paiono aver paura della propria ombra, incapaci di alzare la voce a favore di soluzioni democratiche radicali. L’inefficacia dei nostri movimenti è ancor più evidente nel momento in cui rimandano ai posteri, e ad una non meglio precisata “riscossa”, l’ipotesi di riformare le istituzioni regionali. Magari nel prossimo secolo, e senza sapere come.

Se gli indipendentisti scozzesi e catalani avessero seguito lo stesso intendimento di quelli sardi, oggi sarebbero ancora ai margini della vita politica e non avrebbero ottenuto alcuna devolution.

Ma a cosa è dovuta l’inerzia dei nostri movimenti nazionalisti? Probabilmente il timore di alzare l’asticella delle rivendicazioni politiche è il risultato di due fattori:

Il primo è quello di aver giustamente bandito il folklorismo dalla politica indipendentista (aspetto su cui anche il sottoscritto si è battuto per anni), ma che ha portato ad un eccesso di prudenza e moderazione rispetto all’opinione pubblica. Una linea del tutto ingiustificata a fronte di una massiccia invadenza dello Stato nella cultura e nell’economia dell’isola. La tattica della “gradualità” intrapresa dagli indipendentisti pare essersi trasformata in un comodo paravento per le proprie incompetenze.
Il secondo fattore riguarda il Diritto italiano. Gli indipendentisti paiono scettici sulla possibilità di contrastare lo status costituzionale su cui si basa l’unità italiana ed evitano in partenza qualsiasi battaglia politica, mediatica o giuridica in tal senso. Pensate, in queste settimane le università sarde hanno ospitato alcuni sterili dibattiti sulle riforme parlamentari in corso, alimentati da vecchi tromboni della politica accompagnati da alcuni giuristi (invero neppure troppo esperti in campo di Diritto Pubblico e Costituzionale, ma anche Amministrativo). I nostri indipendentisti erano immancabilmente assenti. Tuttavia non c’è da stupirsene perché non avrebbero aggiunto nulla in materia: non hanno alcuna posizione neppure in merito alla riforma degli enti locali seguita alla virtuale abolizione delle Province.

In questi termini persino il movimento Fortza Paris presenta contenuti riformistici nettamente più avanzati rispetto a quasi tutte le sigle sarde.

Alle riforme di Renzi, un coeso indipendentismo sardo avrebbe dovuto rispondere con una proposta di riforma dell’Autonomia regionale, con l’obiettivo di trasformare il Consiglio regionale in un vero e proprio Parlamento distinto da quello italiano (assemblea, allora censitaria, che manca dal 1847). Ma coi nostri morti di sonno, esperti nello sventolio di bandierine da salotto, non succederà tanto presto. Lo Stato può stare tranquillo!

Iscarica custu articulu in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE

Be Sociable, Share!

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.