Autogoverno: la Sardegna apre il primo saggio dello Switzerland Institute
Di Adriano Bomboi.
Cari Lettori, mi onoro di aver portato la Sardegna come tema con cui è stata aperta la serie di saggi dedicata ai temi dell’autogoverno per conto dello Switzerland Institute. Il breve intervento, che quì ripropongo al seguito, ha per oggetto “Da Giovanni Battista Tuveri all’intuizione della concorrenza istituzionale“. Online disponibile anche presso lo swissinvenice.org
“Fra breve i cittadini ed i Cantoni svizzeri devono votare sulla nuova costituzione, ed a loro spetterà decidere se la Svizzera debba essere abbandonata alle incerte sorti di uno Stato unitario, oppure se in conformità allo sviluppo storico, desiderano conservare alla cara nostra patria, lealmente e giustamente l’organizzazione federale. […] Molti pubblici fogli gli portano l’eco di quanto dicono i centralisti, e soltanto pochi giornali combattono queste tendenze e per lo più in punti speciali”.
Era il 4 marzo 1872 ed il filosofo politico Giovanni Battista Tuveri, dalle righe de Il Corriere di Sardegna, dava luogo ad una serie di audaci riflessioni sulla natura del patto di una comunità che si apprestava a riformare le proprie istituzioni. In questi frammenti di un articolo più ampio abbiamo modo di scorgere una precisa fotografia del dibattito politico dell’epoca: da un lato abbiamo gli svizzeri stessi, coloro i quali rinnoveranno la fiducia ad istituzioni federali; dall’altro abbiamo un’agguerrita serie di intellettuali e politici propensi a trasformare la Svizzera nell’ennesimo nuovo Stato-nazione d’Europa. E nonostante tali pressioni, saranno i primi a spuntarla.
Tuveri, di estrazione repubblicana, ad oltre dieci anni dall’unificazione del Regno d’Italia, aveva compreso che la creazione di uno Stato centrale, qualora il principio fosse stato applicato anche alla Svizzera, avrebbe determinato una serie di ritardi socio-economici, così come la storia dell’Italia unita avrebbe ampiamente dimostrato.
Ed ecco come proseguiva Tuveri in un nuovo articolo del 16 maggio:
“Se infatti tedeschi, francesi ed italiani preferiscono quello Stato fittizio alle loro rispettive nazioni, non è che per la libertà, e per l’indipendenza di cui godono”.
Malgrado le sue opinioni fossero influenzate dalla retorica nazionalista dell’epoca, il filosofo sardo, peraltro vicino al pensiero di Carlo Cattaneo, comprese che i benefici già sperimentati dagli svizzeri erano più che sufficienti per permettere loro di proseguire con quello che al tempo appariva come un bizzarro ed insolito esperimento istituzionale: Cantoni muniti di sovranità e che per tutto il secolo successivo, sino alla recente riforma del 1999, conferivano alle comunità che vi erano stanziate la piena legittimazione culturale, linguistica, amministrativa e fiscale.
Lo stesso non poteva dirsi per il giovane Regno d’Italia. Tuveri testò con scarso profitto la sua esperienza di parlamentare nella sparuta deputazione sarda a Torino. Lo scarso peso ed il disordine di questo piccolo notabilato politico non riceveva la benché minima attenzione per gli esigui temi esposti, e a danno dell’isola finirono inoltre per sommarsi una duplice serie di problematiche: una fiscalità impietosa (che arrivò persino a porre sullo stesso piano la resa agricola sarda a quella piemontese); ed un protezionismo economico che tagliò le gambe alla nascente imprenditoria sarda, causando l’abbattimento dell’export rivolto verso la Francia.
In seguito, intellettuali del calibro di Salvemini ma anche Gramsci indugiarono sulle ragioni del divario socio-economico tra il nord ed il sud della penisola. Tuveri invece comprese con decenni di anticipo che l’isola non poteva essere inserita nel più ampio calderone del dibattito meridionalista ma si rendeva necessario affrontare alla base il problema della centralizzazione statuale, perché l’esempio svizzero aveva dimostrato che solo concrete istituzioni federali stavano al centro della libertà di espressione dei diritti civili e dei traffici commerciali.
Oggi infatti troviamo proprio nella struttura dello Stato centrale la condizione essenziale della conservazione di un contesto nel quale il settentrione d’Italia vede danneggiata la propria imprenditoria, ed il cui residuo fiscale finisce a foraggiare le aree meno virtuose del Paese. Danneggiando inevitabilmente anche la vena imprenditoriale del sud e del mezzogiorno, perché l’eguale pressione fiscale e la logica assistenziale che spinge l’attuale modello costituzionale non consente l’emersione della competitività ma ha il preciso scopo di alimentare una vera e propria aristocrazia politica e burocratica.
La polemica contro il centralismo italiano sarà il carattere fondamentale su cui Tuveri porterà avanti sino alla morte i termini della cosiddetta “Questione Sarda”.
Viceversa, la Confederazione Elvetica ha saputo e potuto evitare una deriva analoga a quella italiana perché ha puntato su un modello di federalismo competitivo. Come illustrato recentemente anche dall’economista Hans-Hermann Hoppe, la presenza di istituzioni di dimensioni contenute e munite di sovranità in materie quali lingua e fisco permette una virtuosa competizione tra Cantoni. Per un verso, una fiscalità relativamente bassa offre la possibilità di attirare investimenti; per l’altro, la diretta amministrazione delle entrate non consente alla classe politica di sprecare ed abusare di tale denaro elevando il tasso di spesa pubblica. In altri termini, grazie ad una vera e propria concorrenza tra piccole istituzioni, come in un libero mercato, non ci sono Cantoni che producono imponenti residui fiscali conferiti a terzi Cantoni che campano di rendita; né vi sono imponenti debiti pubblici dovuti ad una politica che, come nel caso italiano, per coprire un’economia scarsamente competitiva, incrementa il welfare con cui assistere la sempre più vasta platea di individui che non partecipano od escono dai processi produttivi.
Ecco perché, a differenza dei numerosi e fallimentari modelli socialisti, quello svizzero, imperfetto ma affine al pensiero liberale, si trova ai vertici dei più efficienti sistemi politici mai concepiti dall’uomo.
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