Londra aderirà all’AELS? Scopriamo l’altra Europa di Norvegia, Svizzera e Islanda
Post-Brexit: nei prossimi tempi sentiremo parlare di “AELS”, l’Europa alternativa di Norvegia, Svizzera e Islanda. La Gran Bretagna ne farà parte? Scopriamo i pregi e le differenze di questa associazione rispetto all’Unione Europea. Si tratta di un’Europa diversa dalla tecnocrazia immaginata da Roma e Berlino ma altrettanto diversa dall’Europa immaginata dai Farage, Le Pen e Salvini.
Di Adriano Bomboi.
Il 3 maggio 1960 venne ratificata la Convenzione di Stoccolma, dando luogo ad un’Europa alternativa chiamata AELS/EFTA (Associazione europea di libero scambio), che nella sua storia ha visto avvicendarsi ben 10 Stati, di cui alcuni oggi parte, ed ex, dell’Unione Europea. Convenzione in seguito aggiornata dagli accordi di Vaduz.
I membri attuali presenti sin dalla sua fondazione sono Norvegia e Svizzera, seguiti da Islanda (1970) e Liechtenstein (1991).
Tra gli ex membri si annoverano invece il Regno Unito (1960-1972), che potrebbe rientrarvi a seguito del referendum che ha visto prevalere la volontà di una Brexit dall’UE; l’Austria (1960-1995); la Danimarca (1960-1972); la Svezia (1960-1995); la Finlandia (1986-1995), ed il Portogallo (1960-1985, unico Stato dell’Europa meridionale).
L’AELS rappresentava, come oggi, un’alternativa al lungo e controverso processo di costruzione dell’Unione Europea, passato per varie fasi dall’embrione del Trattato di Roma del 1957 sino al Meccanismo europeo di stabilità del 2012, a cavallo tra politica ed economia.
Uno degli aspetti ideologici fondamentali che sottendono all’AELS consiste nell’aver dato credito al mercato – e non alla politica – come terreno essenziale per la coltivazione di buoni rapporti commerciali e democratici tra i membri: ogni partner commercia liberamente con gli altri affiliati senza una sovraordinata politica di accentramento dell’associazione. Questa struttura impedisce così l’emergere di una burocrazia centrale deputata ad assegnare rigide direttive e regolamenti a tutto il club. Si tratta quindi di una formula giuridica di tipo ascensionale (dal basso verso l’alto), l’esatto opposto del predominante modello culturale insito nell’ideologia che ha determinato la costruzione della CEE, poi evolutasi in UE, comprensiva dell’eurozona monetaria. L’AELS può essere così paragonata ad una piccola “Europa dei popoli”, dove tuttavia i governi continuano a determinarne le sorti ma il cui policentrismo ricorda vagamente l’antica Lega Anseatica di cui abbiamo già parlato.
Un altro fattore fondamentale per comprenderne i pregi riguarda proprio il carattere neutro dell’associazione: a differenza del modello politico-economico perseguito dall’UE, l’AELS non basa la propria azione sulla dimensione e sul volume dei propri membri come strumento con cui concorrere nella globalizzazione. In altri termini, è assente l’obiettivo ideologico di sfidare potenze globali come USA e Cina, commerciando con essi sulla base della qualità più che sulla quantità di forze messe in campo. Si tratta dunque di una concezione liberale, la cui efficienza (come dimostrano le statistiche inerenti i suoi soci), si basa sul benessere e sulla prosperità del proprio modello economico e culturale più che sulla proiezione di una volontà di potenza finalizzata a bilanciare la concorrenza (dinamica invece presente nella tradizione giuridico-politica di Francia e Germania, vedere esperienze napoleonica e federiciana). Parigi e Berlino, ma anche Roma, intendono l’Europa alla stregua di un superstato, dove all’antica concezione dello Stato-nazione si è sostituita in scala quella di Bruxelles. Nonostante la Francia, per la cura dei suoi legittimi interessi commerciali, si sia spesso sottratta ad una compiuta definizione di questo disegno unitarista.
Insomma, agli svizzeri od ai norvegesi non interessa contrastare Cina o Stati Uniti, né inseguire i loro primati (su cui peraltro alcuni vedono comunque primeggiare i Paesi AELS), interessa unicamente poter commerciare con profitto sulla base delle proprie potenzialità. Viceversa, l’imposizione di regole e direttive come quelle UE causerebbe a tali Stati notevoli danni economici e culturali in quanto il centralismo minerebbe alla base l’autogoverno e la fiscalità differenziata di territori che emergono proprio grazie alle loro diverse peculiarità. Non a caso oggi l’UE ha costruito la sua discutibile fortuna solo sulla base della collaborazione intergovernativa che l’ha animata, sia in favore dei big che l’hanno promossa, sia in favore di Paesi dotati di imponenti debiti pubblici (senza scordare il caso greco, a dimostrazione che l’inflessibilità di Francoforte non potrà sempre e comunque porsi come argine a popoli dediti a dilapidare la propria spesa pubblica).
Come si può agilmente notare, i Paesi AELS non sono protezionistici, né isolazionisti, né autarchici o “razzisti”. Siamo in presenza dunque di un modello di Europa profondamente diversa da quella immaginata da nazionalisti come Salvini, Le Pen o Farage. Ma diversa anche dalla struttura europeista immaginata dall’establishment italiano, erede della “visione di Ventotene” e di Delors, la cui incultura nei confronti della comprensione dell’AELS rasenta l’imbarazzo.
Esaurite le considerazioni di principio possiamo tornare a quelle di merito: come sono regolati i rapporti commerciali e giuridici di questa organizzazione con la confinante Unione Europea? Su quest’ultimo punto bisogna ricordare che l’AELS ha concluso accordi che vedono tre dei suoi membri come parte del comune Spazio economico europeo (SEE), mentre la Svizzera vi ha aderito sulla base di un singolo approccio bilaterale con l’UE.
A tale scopo, esclusa Berna, sono sorte un’Autorità di Sorveglianza ed una Corte dell’AELS per i rapporti con lo SEE.
Sul piano monetario fanno tutti parte del SEPA, ossia l’area unica di pagamenti euro in cui tale valuta può liberamente muoversi in parallelo con le divise locali.
L’Unione Europa ha poi dal canto suo rapporti di profonda collaborazione con terzi e piccoli Stati sparsi per il continente, da Andorra (diarchia filo-francese) sino alla Repubblica di San Marino, comunque integrata.
L’AELS riconosce gli Accordi di Schengen e dispone di una sede principale a Ginevra, in Svizzera. Sotto il profilo dei diritti umani tutti i Paesi si riconoscono nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e, in particolare la Svizzera, nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU, 1950).
Terze collaborazioni intergovernative di respiro commerciale sono il CEFTA (1992) ed il vecchio BAFTA (1993-2004).
Sarà l’allargamento di questa Europa l’unico futuro possibile? Il prossimo biennio, sulla base dei negoziati che vedranno Londra confrontarsi con Bruxelles, avremo qualche indizio.
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