Logudorese, campidanese o altro? Qual è la ‘vera’ lingua sarda?
Qual è il “vero” sardo? Logudorese, campidanese o altro? Dialetti o lingue? Si tratta di uno dei quesiti più comuni posti dai sardi di fronte al dilemma espresso dalla propria lingua madre. Cerchiamo di fare chiarezza.
Di Adriano Bomboi.
Tra le domande più diffuse fra i sardi, paradossalmente, ne esiste una in particolare che porta a galla la scarsa conoscenza dell’isola nei confronti della sua stessa lingua. E si può riassumere nella seguente domanda: qual è il “vero” sardo?
Prima di fornire la risposta bisogna comprendere la natura culturale del quesito.
Chiedersi se esista un sardo “autentico” significa immaginare l’esistenza di una lingua originaria stanziata in un preciso spazio geografico e sociale, a cui farebbe/ro da contraltare una o più lingue, anch’esse identificate come “sarde” ma in qualche misura “meno pure” di quella originaria. Vere e proprie lingue alternative tacciate così di essere clonate da quella “vera”, o tutt’al più versioni meno nobili della prima.
Esistono precise ragioni politiche ed economiche per le quali numerosi sardi sono pervenuti a tale visione. Una visione che parte da presupposti sbagliati e che dunque porterebbe a non capire il senso della risposta. Ma proviamo a darne una definizione di sintesi:
Sul piano tecnico non esistono diverse lingue sarde distinte l’una dalle altre allo stesso modo in cui vengono distinti, ad esempio, l’inglese dal francese: esiste un solo sistema linguistico sardo. Più volgarmente, esiste una sola “lingua sarda”. Tale lingua rappresenta infatti un sistema formato da una varietà di parlate diffuse e distribuite in tutto il territorio dell’isola.
In altri termini, possiamo affermare che il sardo si distingue in una varietà di “dialetti”, nessuno dei quali rappresenta una “lingua originaria” rispetto agli altri. Quelle che percepiamo come “lingue diverse” del sardo e che in maniera approssimata vengono distinte in “logudorese” e “campidanese” (come se esistesse una chiara frontiera geografica che separa la Sardegna settentrionale da quella meridionale), nel momento in cui le sentiamo parlare, riguardano prevalenti differenze di natura fonetica, morfologica e sintattica, variamente classificate.
Per far comprendere i lettori non esperti di linguistica, ma neppure di politica linguistica, possiamo utilizzare l’esempio dei sinonimi presenti nella lingua italiana. In essa, la parola “babbo” è sinonimo di “papà” e “padre”.
Direste che si tratta di due o tre diverse lingue italiane? Ovviamente no.
Applicate lo stesso principio alla lingua sarda espressa nelle sue varie parlate che, qualora politicamente definite come “lingue”, potrebbero variare da un massimo di due fino alle centinaia presenti nei vari Comuni sardi.
A tale proposito, un altro elemento di cui tenere conto riguarda la distinzione tra “lingua “ e “dialetto”. Sul piano linguistico non vi sono differenze tra i due; sul piano politico invece si. Generalmente si definisce “lingua” quell’idioma che accompagna l’individuo nell’ambito della sua sfera pubblica e privata; mentre definiamo “dialetto” quell’idioma posto in secondo piano o escluso dalla sfera delle relazioni pubbliche dell’individuo. Soprattutto quelle di carattere formale (rapporti con la pubblica amministrazione, nonché con la cultura ed i servizi emanati dalle sue istituzioni).
In Sardegna lo Stato italiano, sin dall’epoca sabauda, ha cercato di elevare la lingua italiana in posizione dominante, derubricando tutte le altre minoranze territoriali (e nazionali) al ruolo di “dialetti”. Peraltro impropriamente considerati incolti e privi di una letteratura di pregio.
Già nel 1927, ben prima che Gramsci argomentasse la sua nozione di egemonia culturale, Ludwig Von Mises inquadrò la classica tendenza di numerosi Stati-nazionali, in particolare quelli sorti nei due secoli precedenti, ad egemonizzare il controllo della lingua come strumento di dominio culturale delle minoranze ricadenti sotto alla sua autorità.
Con l’espansione del suffragio universale e la progressiva crescita dello Stato nella vita dei singoli individui si alimentò un conformismo culturale tale per cui, oltre alla matrice politica, si associò l’idea che il progresso avrebbe dovuto essere alimentato dall’alto verso il basso, valorizzando i tratti unificanti di una popolazione (anche tramite l’artificiosità e l’imposizione di una lingua), a scapito di tutti quegli elementi che avrebbero potuto rallentare il processo di costruzione di una nuova nazionalità (nel nostro caso, quella italiana, a scapito delle minoranze linguistiche).
L’ingegneria sociale della “nation-building” ha così inasprito il virus della subalternità culturale a vantaggio della centralizzazione amministrativa. I “dialetti” divenivano così espressione di povertà e arretratezza, mentre la lingua sostenuta dallo Stato diventava emblema del “progresso”.
Ancora oggi, l’illiberale ideologia accentratrice dello Stato, unita alla visione costruttivista di Bruxelles, foriera di una favola socialdemocratica dedita alla creazione di uno spazio della felicità in terra, ma in realtà tesa a distruggere ogni minoranza a vantaggio delle culture linguistiche degli Stati di maggiori dimensioni, continua a diffondere l’idea che vi siano lingue privilegiate contrapposte a “dialetti” chiusi ed arretrati.
Recentemente, un organismo internazionale non UE, il Consiglio d’Europa, ha ripreso la Repubblica Italiana per l’inosservanza del rispetto della lingua sarda. Mentre, pensate, il liberalismo svizzero ha costituzionalizzato il diritto all’esercizio del plurilinguismo nel quadro della sua confederazione.
Come risolvere questi limiti?
In primo luogo tramite una standardizzazione linguistica, ma che non può passare per la stessa matrice istituzionalista che ha generato i suddetti problemi. In secondo luogo tramite la comprensione del valore rappresentato dalle singole culture linguistiche, le cui ricadute non hanno un’esclusiva dimensione sociale e culturale ma persino politica ed economica, e che non sono in contrasto con le lingue internazionalmente più diffuse.
Testi consigliati:
- Giuseppe Corongiu: Il sardo, una lingua normale (Condaghes 2013),
- Roberto Bolognesi: Le identità linguistiche dei sardi (Condaghes 2013),
- Adriano Bomboi: L’indipendentismo sardo (Condaghes 2014),
- Alessandro Mongili: Topologie postcoloniali (Condaghes 2015).
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U.R.N. Sardinnya ONLINE
Ja fit calki die ki di fippo proande kena b’iscriere, ma no’ b’aia cominzadu galu. Bah, como bil’acconco dattu ki su c’as iscrittu no’ mi paret ki siet presu a rellozzu. E duncas:
Caro Bomboi,
credo stavolta, proprio su questo argomento, debba sorbirti la mia rampogna.
E tieni conto ch’essa viene esternata da persona che nulla conosce di linguistica sarda e neppure è in grado di disquisire sulle tematiche politicheggianti che attengono alla Sarda Limba.
In altre parole sono un perfetto ignorante circa la materia su cui sembri disquisire con consumata esperienza. Esperienza consumata appunto! Talmente, consumata, che porta te e gli altri tutti che se ne occupano (da decenni), a concludere mai nulla!
Non vi siete accorti, tu e gli altri tutti, che continuate ad indicare il classico dito? In una notte priva di luna!
Perchée? Perché al di là del dito non vi appare nessun obiettivo su cui poggiare il vostro pensiero!
State cioè argomentando senza avere alcun argomento su cui far reggere il vostro esternare!
Appena mi son letto il tuo incipit:
«Tra le domande più diffuse fra i sardi, paradossalmente, ne esiste una in particolare che porta a galla la scarsa conoscenza dell’isola nei confronti della sua stessa lingua. E si può riassumere nella seguente domanda: qual è il “vero” sardo?»
Ebbene, mi sono calorosamente stropicciato le formantisi sinapsi! Caspita! Finalmente qui si fa sul serio! Credendo tu volessi andare lontano! Alla più lontana! Origine!
Poi mi son cadute le braccia! Perché “tu, sei caduto”, nel solito tran tran!
Infatti, ti sei messo a rievocare, i “dialetti”, il “logudorese”, il “campidanese”!
E tu, osi chiamare e credere e cercare fra questi “parlare” dell’oggi, LA VERA LINGUA SARDA?
Tu hai preso la classica damigiana, le hai tolto la chiusura e per sapere quale vero, e buono, vino contenesse, hai annusato il tappo? Tu, devi capovolgere il tuo modello!
Devi prendere la damigiana e metterla sottosopra! Devi annusare e tastare il fondo che la damigiana contiene! In altre parole, non è il tappo che tu vedi e senti nell’oggi, che ti potrà svelare il nuovo sulla tua antica lingua. È analizzando il fondo, cioè il passato, che potrai risalire alla “vera lingua sarda”! Cioè all’origine, allo strato primitivo della stessa! Ecco, solo così il tuo dito non si troverà ad indicare il nulla, ma qualcosa che princìpi ad essere un pensiero concreto pur anche lontano, ma che rappresenta uno splendido obiettivo per tue (e di tutti) definitivamente valide disquisizioni!
Prova ad andare oltre lo stantio nullismo del cattedratico linguista theracco dell’italietta, vai indietro nel tempo, salta a piè pari gli inutili (Storicamente, nota il maiuscolo!) Romani! I quali furono, anche incapaci di crearsi una lingua loro, essendo costretti dalla loro culturale pochezza, a prenderne in prestito una dai Latini! Vai, andate, millenni (moltissimi) indietro, seguite la Storia dei Sardi dell’Antichità più vetusta! Andate in giro per le contrade delle attuali aree geografiche chiamate, Europa (tutta), Russia ovvero quel pezzo d’Asia che duce fino agli Urali, alla Kamčatka e Mare di Bering, passando per Tatari e Jakuti, e poi Svizzera (ne parlammo una volta, ricordi?), Germania (strapiena di sardismi), Francia e Spagna (aventi due regioni che nomansi ancor oggi “sardegna”, fissate nelle rispettive lingue e strutture socio-geografiche) e di poi Turchia, Armenia, Persia, Afganistan, India, Pakistan, scendete giù giù lungo Siria e Mesopotamia per scoprire l’ovvio, finalmente! Recatevi in Africa, nel Sahara [ma quanto ricorda la regione della Saar! Che rimanda alla Sardegna! A buon proposito sai che nella tal così calda area è presente un centro abitato chiamato “Serdegai” nella regione del Tibesti a km 30 da Bardai? Sappi anche della presenza di altro luogo chiamato “Serdeles” (in arabo El-Aouinat) nella sua parte settentrionale, a km 100 a NNE di Rhat e circa 650 dal sito precedente], andate nell’America Latina tutta! E, proprio qui, ove il naso dei molti diventerà sempre più storto a cagione del mio esternar concetti non stantii, vorrò inserirti alcune località (da far strabuzzare anche gli occhi a quei tali dallo storto naso) ivi attestate nel tessuto sociale, storico e geografico di quelle aree: “Sarganto” villaggio del Perù nel dip. e prov. di Ica; “Sarin” villaggio del Perù dip. della Libertà, a km 22 da Huamachuco; “Sardina” fiume nel nord della Costa Rica che sfocia nel Lago di Nicaragua; “Sardina” “bassi fondali” al largo della costa Dominicana prov. del Seibo, avente anche la Punta “Saraos” ad est; “Sardina” località abitata in Messico ad est di Guanajuato distr. di Romita; “Sardinal” fiume in Costa Rica affluente del “Sarapiquì”; “Sardinas” paesello in Colombia dip. di Santander; “Sardinas” fiume dell’Equador che nasce nella valle di Pallantanga circa nella Cordigliera Occidentale; “Sardinas” catena montuosa del Messico ad est di Coahuila distr. di Parras; “Sardinata” fiume della Colombia che nasce nell’Altopiano Guerrero de los Andes Orientales, a 3100 metri; “Sardinera” quartiere di Porto Rico nel municipio di “Fajardo”; “Sardinha” luogo montuoso nella Sierra del Brasile, nello Stato di Minas Geraes, anche un fiume nell’area è dello stesso nome; “Sardos” comunità nel Messico nel cantone di Cosamaloapán, municipio di Tesechoacán!
Seguendo anche solo la toponomastica! Ma, seguite la storia, seguite la genetica, seguite la denominazione di parole comuni come il “sale”, nomi propri di persona come Sardana, o di animali come l’alce, il muflone e quindi la pecora! Provate e non meravigliatevi ormai, nel seguire la voce che così si presenta ovunque: “sardina”, ovvero il tonno di corsa di un anno, il qual vocabolo anch’esso vi porterà in giro per il mondo marinaresco [essendo in antichissima data i Sardi fra i primi e più grandi marinai!], tenendo presente che il suo primo significato precisamente era: «pesce lavorato della Sardegna, di prima qualità»! E, per altro verso, seguite la tipologia dei più lontanissimi templi nel tempo e nello spazio, quelli che son dichiarati essere i più antichi, belli e misteriosi e vi troverete somiglianze nostrane inimmaginabili, tornandovi chiaro esser l’età del Nurake più antichissima di quanto riporti lo scritto così ammuffito di cui solo potete disporre! Seguite i disegni nelle grotte della più vetusta Iberia ed insieme seguite i graffiti nelle rupi dei wadi più meridionali e quelli diretti al Mar Rosso, definiti egizi e vi troverete l’inconfondibile, codice segnico della più universale bronzistica sarda, antico molto ben più che i 2,5 millenni stancamente segnati all’interno di concetti improntati a disarmante pressapochismo che vengonvi ancora propinati!
Ebbene, finalmente, ivi troverete il profumo, pur ancor lontano, ma certo originale della PIU’ VERA LINGUA SARDA!
Andate a LEGGERE i vostri monumenti, tutti d’inenarrabile significante, universale grandezza! Non lasciatevi ingannare dai vili nonché falsi profeti degli ultimi sessant’anni, che hanno oscurato (e gli eredi ancora oscurano) i dati disponibili per obbligarvi alla disperazione culturale! [per comprendere quanto grandemente veritiere siano le tristi mie parole recatevi qui: http://maimoniblog.blogspot.it/2016/07/la-popolazione-della-sardegna-secondo.html
Cambia paradigma, caro Bomboi! Tu e gli altri, vedo continuate a servirvi del vostro, che alimentate ancora a carbone! Ecco perché non riuscite a distinguere il vostro fumoso obiettivo! Se poi usate quello di Carbonia che fonde le caldaie, continuerete a perdere il vostro tempo nel riparare i guasti, rimanendo sempre al palo! COME VEDO CHIARISSIMAMENTE dalla vostra non autonoma condizione!
Grazie, mikkelj
I.A.- ovviamente se me lo chiederai, ti darò ragione dei richiami alla Sardegna ed ai Sardi in TUTTE LE REGIONI CHE TI HO MENZIONATO! Ma, dovrai concedermi tanto spazio.
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