Referendum: elettori puniscono il falso riformismo del Paese
Referendum: affonda l’Italia del finto riformismo, quella del centrismo di Napolitano e del multimiliardario debito pubblico che pretendeva di incrementare il potere di uno Stato che oggi preleva l’80% della ricchezza prodotta da cittadini e imprese. Ma non illudiamoci, la vittoria del NO equivale alla vittoria di una sola battaglia nella democratica guerra ad uno Stato che durerà ancora a lungo. Soprattutto osservando la geografia del voto, ma anche la desolante assenza di alternative culturalmente valide rispetto alla casta dei Renzi e dei Pigliaru – Di Adriano Bomboi.
Gli elettori hanno deciso: affonda l’Italia del finto riformismo, quella promossa dal disegno centrista di Giorgio Napolitano, che dal governo Monti ad oggi aveva annunciato mirabolanti iniziative per rilanciare l’economia e la governabilità del Paese.
Il bilancio del renzismo è stato disastroso: nessuna concreta ripresa dell’economia dovuta a nessun serio abbattimento della pressione fiscale e della burocrazia. In compenso abbiamo avuto un incremento del multimiliardario debito pubblico, accompagnato da una nuova raffica di clientele e mance elettorali tali da far impallidire i padrini della prima Repubblica. Una torta condita dalla ciliegina di un’inutile riforma costituzionale che non affrontava minimamente questi problemi, a partire dalla necessità di realizzare un vero federalismo competitivo: quello che da nord a sud impedirebbe gli sperperi poiché chiuderebbe a monte i rubinetti di una spesa pubblica che oggi danneggia il tessuto produttivo di una fetta del Paese, incatenando l’altra nell’assistenzialismo.
In altri termini, la struttura che deresponsabilizza il nostro ceto politico ed amministrativo è ancora in piedi: il 4 dicembre abbiamo vinto solo una battaglia contro il rafforzamento dello Stato centrale, ma la democratica guerra per la sua riforma, o se preferite, la sua dissoluzione, sarà ancora lunga.
La spia di queste difficoltà ci arriva proprio dall’esito delle urne: il meridione italiano ha quasi compattamente scelto il NO ad una riforma per cui verosimilmente tanti temevano di perdere i privilegi di una spesa pubblica che anche con la vittoria del SI non si sarebbero arrestati.
Per contro, esclusi pochi SI come quello dell’Alto Adige (a Bolzano grazie alla tutela austriaca dell’autonomia sudtirolese avrebbero potuto votare qualsiasi cosa), l’Italia centro-settentrionale si è invece attestata su un quadro elettorale di relativa parità: a metà strada tra chi intendeva sinceramente innovare (pur non comprendendo che ridurre i poteri delle Regioni ordinarie non significava automaticamente ottenere più efficienza amministrativa); e chi, per una moltitudine di ragioni, ha votato NO: sia contro il governo, sia per una generica quanto feticistica difesa di una Costituzione che presto o tardi bisognerà comunque riformare, magari in chiave federale.
Recentemente Carlo Lottieri ci ha ricordato che lo Stato preleva da cittadini e imprese ben il 78,8% di tasse e imposte (pari a 389 miliardi nel 2015, secondo uno studio della CGIA di Mestre), mentre i Comuni si occupano del 6% e le Regioni del 14% (con i contributi sociali l’importo totale supera i 700 miliardi di euro).
Che significa? Che a differenza delle fesserie elettoralistiche sulla presunta necessità di un forte governo centrale, quali quelle propagandate da Renzi e Pigliaru, non ci vuole molto a comprendere che i problemi dell’Italia derivano da un eccesso di pianificazione e redistribuzione centrale delle risorse. Si tratta di una responsabilità che andrebbe invece decentrata alle comunità che hanno prodotto tale ricchezza, liberando, tra l’altro, la creatività e lo spontaneismo del mercato.
Uno dei massimi liberali del Novecento, Friedrich von Hayek, mise in guardia quegli uomini propensi a fidarsi della concentrazione del potere economico nelle mani del potere politico. E se oggi gli elettori hanno dato uno schiaffo a tale concentrazione di potere, statale ed internazionale, non può che essere di buon auspicio per arrivare ad una società realmente libera. Sfortunatamente, come abbiamo visto, l’ambivalenza dell’elettorato italiano si è manifestata sia tramite l’atavica conservazione della situazione attuale, e sia tramite i maldestri tentativi di riformare in peggio la stessa.
Ecco perché i nodi politici verranno inevitabilmente al pettine: abbiamo valide alternative politiche a uomini come Renzi e Pigliaru? Gli indipendentisti hanno compreso la natura della posta in gioco e la necessità di riformare lo Statuto Autonomo regionale? E quel variegato mondo di sinistra che ha contribuito alla vittoria del NO, è parte della soluzione o dei problemi di questo Paese?
Iscarica custu articulu in PDF
U.R.N. Sardinnya ONLINE