Imprese sarde e giustizia italiana: una lettera a Draghi
Lentezza della giustizia e imprese, un binomio difficile che, tra i vari motivi, contribuisce a mettere in crisi la nostra economia.
Riceviamo & pubblichiamo la lettera di un imprenditore sardo inviata al premier Mario Draghi.
“L’Italia da trasformare”.
Di Enrico Napoleone.
Gentile Presidente Draghi,
Lei è perfettamente consapevole che c’è una grandissima attesa ed un’enorme speranza nella Sua azione complessiva che dovrà disegnare la nuova visione dell’Italia e guidare la nazione, con i suoi cittadini, verso un futuro degno della storia e del ruolo che le competono.
Un’Italia che dovrà essere molto diversa da quella precipitata, incolpevolmente, nel disastro della pandemia, ma anche e soprattutto da quella dell’era preCovid19 già gravemente malata per colpe proprie.
Quell’Italia da Lei descritta, “migliore e più giusta che dobbiamo consegnare ai nostri figli e ai nostri nipoti”, come ha affermato con convinzione.
Lei, Presidente Draghi, sa meglio di chiunque altro che si tratterà di una missione estremamente complicata e altrettanto complessa. Che è tutt’altro che scontato il risultato finale al quale Lei punta: dare ai nostri giovani “un Paese capace di realizzare i loro sogni”.
Sono tantissime, troppe, le cose che vanno risolte e sistemate in quest’Italia, che non è nemmeno facile decidere da dove iniziare.
Mi permetto di partire dalla Giustizia, uno fra i pilastri che devono sostenere una società civile.
Per questo voglio richiamare quanto Lei ha dichiarato di fronte ai parlamentari, a coloro che dovranno sostenere il Suo programma: “Non c’è dubbio che bisognerà intraprendere azioni innovative per migliorare l’efficienza della giustizia civile e penale, quale servizio pubblico fondamentale che rispetti tutte le garanzie e i principi costituzionali che richiedono, ad un tempo, un processo giusto e un processo di durata ragionevole, in linea con la media degli altri Paesi europei”.
E siccome dietro alle dichiarazioni di principio, anche alle più corrette e opportune, ci sono sempre circostanze concrete, vorrei raccontarLe una vicenda reale per illustrare nella pratica, con tutte le implicazioni e conseguenze, la teoria alla quale Lei ha accennato dinanzi alla Camera dei Deputati.
La nostra piccola azienda familiare si è trovata costretta a dover citare in giudizio una potentissima multinazionale per far valere i propri diritti e per salvare la propria vita imprenditoriale. Parliamo infatti di diritti che per noi sono più che vitali, che riteniamo siano stati gravemente ed inopinatamente violati dal colosso globale, del quale siamo stati partner commerciali per quasi mezzo secolo.
Abbiamo promosso la causa presso il Tribunale Civile di Roma contro quella multinazionale nell’aprile 2017.
La causa venne assegnata a un giudice che, qualche mese dopo l’avvio della vertenza giudiziaria, richiese ed ottenne di essere inserito tra i membri componenti la commissione d’esame per un concorso per notai, venendo sospeso “con esonero totale dal lavoro giudiziario ordinario” per quasi due anni.
Dopo molti mesi, il fascicolo processuale venne assegnato, dalla sezione del Tribunale Civile di Roma, ad altro magistrato.
Si trattava di un Giudice Onorario, che dopo il trascorrere di ulteriori mesi, nel constatare la propria incompatibilità con l’incarico assegnato per il valore della causa, esorbitante rispetto alle proprie competenze, rinviava l’udienza ad oltre un anno e mezzo dopo, al 6 ottobre 2021.
Solo in quella data, a oltre quattro anni e mezzo dall’avvio della causa, l’incarico dovrebbe essere riassegnato, per la terza volta, a un nuovo magistrato che si troverà, a quel punto, a dover istruire, praticamente da zero, il procedimento.
È più che improbabile, stanti così le cose, che la sentenza di primo grado possa arrivare prima di un ulteriore anno da quella prossima udienza di ottobre: possiamo, salvo imprevisti, sperare di arrivare ad avere giustizia (volutamente con la “g” minuscola) dopo almeno 6 (sei) anni dall’avvio della causa civile….
E parliamo di una sentenza che può valere per noi molti milioni di euro e la vita o la morte, che a questo punto potrebbe sopraggiungere in qualsiasi momento, di un’azienda che offre da vivere da quasi mezzo secolo a decine di famiglie.
Come Lei ben sa, prima la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali del 1950, ratificata in Italia nel 1955, poi la Carta dei diritti dell’Unione Europea, adottata a Nizza nel 2000, infine la L. 89/2012 – Legge Pinto, hanno stabilito il principio della ragionevole durata del processo, che dovrebbe essere un principio certo ed inviolabile.
Tanto più come nel caso che Le ho raccontato, quando si tratta di vita o di morte.
Eppure, noi siamo qui, a stringere i denti e la cinghia, ben oltre l’ultimo buco, ancora in attesa di una Giustizia.
La Sua, Presidente Draghi, è una missione difficilissima, al limite dell’impossibile, che Le auguriamo con tutto il cuore e con tutto il nostro sostegno di poter portare a termine.
Dal Suo successo dipende la vita o la morte, non solo della nostra piccola azienda che potrebbe comunque non farcela, ma dell’Italia, dei nostri figli e dei nostri nipoti.
La ringrazio per l’attenzione che avrà dedicato alla lettura di questa mia.
Le auguro Buon Lavoro e La saluto cordialmente.
Enrico Napoleone, Cagliari, 19 febbraio 2021.
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Redazione SANATZIONE.EU