L’Aga Khan spiegato ai sordi

Com’era immaginabile, appena si è diffusa la notizia della morte dell’imprenditore Karim Aga Khan IV°, creatore della Costa Smeralda, sui social è partita una risma di insulti e accuse contro l’ismailita, accusato di aver “cementificato la Gallura” e di aver “trasformato i sardi in camerieri”.

Più sordi che sardi, impermeabili a capire realmente il contesto e la portata dei cambiamenti avvenuti grazie alla visione di Khan.

Le critiche, se osserviamo bene, provengono per lo più da una rumorosa minoranza di sardi abitanti in Comuni dall’economia traballante, che sopravvivono grazie a sussidi e trasferimenti pubblici.
In questo degrado sociale, l’idea di fondo, quando si parla di Costa Smeralda, è che i sardi siano diventati quasi ospiti in casa propria, “schiavi” stagionali di imprenditori esteri che ingrasserebbero a spese del territorio, senza lasciare nulla in loco.

Luoghi comuni, falsità. O più banalmente, idiozie.

Ricordiamoci che anche i sardi posseggono ville e alberghi di fascia medio-alta in Costa Smeralda.

Si pensi al gruppo ITI Hotels dei fratelli Loi, solo per citarne uno, un impero multimilionario che oggi controlla diversi alberghi tra penisola, Sardegna, Caraibi e USA.

I Loi sono tra i tanti cresciuti all’epoca in cui Khan lanciò la sua visione, coinvolgendo nel progetto, non cementificatori, ma architetti di pregio, tra cui l’indipendentista Simon Mossa, Jacques Couëlle, Luigi Vietti, Michele Busiri-Vici e Raymond Martin, financo artisti ed esperti in grado di creare un modello unico che ha generato un vero e proprio brand, dove architettura e ambiente si fondono in armonia senza soluzione di continuità.

Un modello non sempre seguito dai successori, ma che ha portato immensi benefici al territorio.

La creazione del brand Costa Smeralda dal 1962 in poi ha infatti prodotto l’unico autentico pezzo di economia sarda capace di reggersi da sola sulle proprie gambe.

E questo ha permesso, non solo l’emersione di tanti imprenditori sardi, ma soprattutto, ha fatto uscire l’isola dalle nebbie della storia, trasformando la Gallura in una delle mete vip internazionali di successo, da Hollywood alla grande imprenditoria mondiale. Al pari di località ben più grandi e navigate, come Dubai, Miami, la Costa Azzurra e Montecarlo. E diversi sono i brand che a loro volta hanno voluto aprire una boutique a Porto Cervo, capitale della ricchezza turistica sarda laddove un tempo circolavano solamente capre, macigni di granito e malaria.

E questo è stato possibile, sia perché tanti sardi, a differenza di ciò che si pensa, non hanno venduto le proprie terre, ma hanno partecipato e contribuito al sogno di Kahn. E sia perché il modello smeraldino si è proiettato anche oltre la sola Gallura costiera, facendo da volano tanto per Olbia, unica città sarda in crescita, quanto per il resto della Sardegna, nelle località che hanno beneficiato del buon nome dell’isola diffuso grazie al mito dorato della Costa Smeralda.

Dico “mito” perché ovviamente la Costa rappresenta un modello di business rivolto ad una fascia di utenza premium, ben diversa dal turismo di massa conosciuto in alcune delle sue appendici locali ad ogni stagione estiva, e ben oltre i 55 chilometri di estensione del progetto.

La portata del cambiamento è stata così epocale perché ormai l’indotto generato non riguarda più solamente la ricchezza ottenuta nel solo settore della ricettività, ma si è esteso ad altri campi e imprese: avvocati, imprese immobiliari, studi commercialisti, falegnamerie, tour operator, artigianato, arredatori di interni, ceramisti, elettricisti, architetti, giardinieri, piloti, parrucchieri, operatori della sicurezza, centri commerciali vari, assicuratori, case d’asta, banche e oltre.
Olbia stessa divenne la sede di Alisarda (poi evolutasi in Meridiana), compagnia aerea creata dall’imprenditore ismailita in un mercato dei trasporti all’epoca molto diverso da quello attuale.

Intendiamoci, non si tratta di una sviolinata al solo settore turistico. Sappiamo bene che un territorio non può sopravvivere unicamente di questo, e che le monoculture economiche, specie nelle mansioni a basso valore aggiunto (proprio come quella dei vituperati camerieri stagionali) sono potenzialmente nocive rispetto ad una sana economia diversificata. Ciò non toglie che senza il modello Costa Smeralda probabilmente oggi l’isola non farebbe parte delle mete del lusso, e conoscerebbe un turismo di gran lunga più nocivo nelle coste, tanto per l’ambiente, quanto per l’occupazione.

Per esempio: qual è il livello dei salari nei servizi tra la Costa Smeralda e le restanti mete turistiche sarde?

Inoltre, nelle strutture di proprietà non sarda, che differenza c’è nel livello dei salari con quelle a gestione locale?
In sardo esiste il detto de “su malu pacatore”, un tempo affibbiato ai padroni del bestiame, ed oggi trasferitosi altrove.

Ecco, fate qualche piccola indagine, o qualche ricerca possibilmente, e scoprireste che spesso i problemi presenti anche in questo settore non arrivano da lontano, men che meno dall’idea di un uomo che seppe valorizzare un territorio meraviglioso utilizzando capitali propri. E trasformando così l’immagine della Sardegna, da territorio punitivo (“ti sbatto in Sardegna”, come si diceva nei film poliziotteschi di un tempo), a territorio per cui anche persone dai redditi medi sono disposte ad indebitarsi pur di passare una stagione qui. E non in Costa Smeralda, tra lo yacht di Bill Gates o i gommoni di Orlando Bloom, ma in qualsiasi spiaggia sarda, dove magari la qualità dei servizi non giustifica del tutto i prezzi offerti al cliente.

Ecco, quando si intende fare qualche critica alla Costa Smeralda, soprattutto da parte di chi non la conosce o non può permettersela, farebbe bene ad osservare prima la qualità del suo turismo locale prima di sparare sentenze. Località, anche fronte mare, che non hanno puntato neppure su scuole alberghiere ma su scuole agrarie, diventando calamite di assistenzialismo agropastorale, e che ha fatto la fortuna non del territorio ma di note associazioni di categoria.

Khan per l’isola fu una fortunata coincidenza, e non solo perché disponeva di risorse finanziarie per realizzare le sue idee – datosi che di uomini facoltosi ne giunsero altri da ben prima di lui -, ma perché proprio le sue idee furono il prodotto della cultura derivante dall’ambiente in cui era cresciuto. Studi ad Harvard, ed una famiglia propensa agli investimenti, con una smisurata passione per l’arte e l’architettura, ben documentata anche dallo storico Kenneth Frampton.

Khan inoltre portò fortuna pure ai sardi che decisero di vendere i propri terreni, e che a dispetto delle leggende metropolitane sull’argomento furono ben pagati. Ad offrirci uno sguardo vivido della situazione è il giornalista Francesco Giorgioni, che così ha sintetizzato gli umori locali sulla creazione della “Costa”:

«Molti anni fa trascorsi un periodo dividendomi tra l’archivio del Comune di Arzachena e le interviste ai vecchi proprietari terrieri e agli amministratori comunali superstiti, testimoni oculari di quel cambio di passo.
Ne ricavai una tesi di laurea e un documentario, intitolato da “Lu monti a Lu monti”.
Non ne trovai uno, tra gli intervistati, che si fosse pentito di quelle vendite e che recriminasse sul corso della storia. La poetica del vecchio stazzo e delle coste incontaminate è molto romantica e colpisce anche me, che in uno stazzo ho passato l’infanzia, ma sentire i racconti di chi a Monti di Mola ci viveva ha forse più valore rispetto a certe interpretazioni affrettate.
Quei racconti parlano di sofferenze, di capre, fave e piselli, di economia di pura sussistenza. “L’economia del pastore era nella sua cassapanca di provviste”, scrisse Bachisio Bandinu.
Monti di Mola non aveva strade, acqua corrente, energia elettrica, la malaria colpiva spesso la sua comunità. Nel 1946, a Monti di Mola un bambino di due anni venne colto dal morbo trasmesso dall’anofele: non c’era nessuno che potesse curarlo e il padre, disperato, lo caricò sul rimorchiatore della Marina militare che due volte alla settimana faceva la spola tra La Maddalena e l’imbarcadero di Capo Ferro, nei pressi di Porto Cervo.
A La Maddalena un farmacista gli regalò alcune dosi di chinino e così riuscì fortunosamente a salvare il figlio, altrimenti destinato a morte sicura.
Riporto queste testimonianze sulla vita di quel tempo, in quei luoghi, perché giudicare fatti e scelte lontane, sulla pelle degli altri, è sempre un azzardo.
Se vi foste trovati di fronte gente disposta a comprare a buon prezzo terre che non vi permettevano di andare oltre la sopravvivenza, voi cos’avreste fatto?
Avreste preferito la poetica dello stazzo e delle coste incontaminate alla certezza di una vita migliore per voi e i vostri figli?
[…]
Possiamo rinunciare oggi alle mille buste paga garantite dai quattro alberghi gestiti dalla sola Starwood, il cui direttore generale si chiama Franco Mulas ed è un sardo di Ozieri?
[...]
Esiste un società di Oliena, la “Barbagia insolita”, che in Costa Smeralda pesca da anni il suo mercato dell’escursionismo: intercetta i turisti dei grandi alberghi e li porta a conoscere l’entroterra della Sardegna. Così ha costruito un business.
Perché non sempre chi è molto ricco è anche prepotente, ignorante e ottuso: anche a Porto Cervo si trova gente aperta e disposta a conoscere, esattamente come in tutto il mondo e indipendentemente dal conto in banca.»

Sentite condoglianze alla famiglia Khan.

Adriano Bomboi.

Scarica questo articolo in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE

Be Sociable, Share!

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.