Dal Governo Monti alla Sardegna: Ne parliamo con l’On. Guido Melis (PD)
Intervista all’On. Guido Melis, classe 1949, docente di Storia delle Istituzioni Politiche, saggista, eletto Deputato per il Partito Democratico, membro della II° Commissione Giustizia e della Commissione Parlamentare per le Questioni Regionali – Di Adriano Bomboi.
Mesi difficili attendono la Repubblica Italiana e con essa la Sardegna. In merito al Governo Monti, c’è chi accusa il PD di aver seguito una linea analoga al PDL: quella di lasciare la conduzione dell’esecutivo nella mani di ministri tecnici affinché adottino quelle scelte impopolari che i grandi partiti non sarebbero in grado di assumere per ragioni elettorali. Che linea porterete avanti? Un consenso incondizionato a tutte le scelte del nuovo Governo o mani libere su specifiche tematiche da parte del gruppo parlamentare?
Noi del Pd siamo molto preoccupati della situazione economica e finanziaria e in genere dello stato di prostrazione nel quale versa l’Italia. C’è un rischio Grecia, e non è affatto un rischio teorico. La crisi impone tempi e scadenze che non possiamo contrattare e rendere flessibili. Dobbiamo rispondere qui ed ora. Paghiamo così la scellerata gestione di questi tre anni da parte del governo Berlusconi e del suo superministro Tremonti, ma anche vengono al pettine alcuni nodi strutturali formatisi in tempi più remoti: il debito, innanzitutto; lo smantellamento sistematico del nostro apparato industriale (vedi da ultima la chimica in Sardegna); la spesa pubblica senza controllo (dopo le politiche virtuose impostate da Ciampi la destra l’ha lasciata tornare su livelli incontrollati); l’invecchiamento del Paese (al quale si doveva rimediare per tempo programmando serie politiche graduali di immigrazione); l’abbandono di intere aree al controllo della criminalità ecc. Siamo sul bordo di un baratro. Noi abbiamo ritenuto che la proposta del presidente Napolitano di un governo di emergenza con ampio sostegno parlamentare fosse la migliore, sia perché urgono misure immediate (non avremmo potuto permetterci come minimo tre mesi di campagna elettorale per avere un nuovo governo), sia perché bisogna portarle a compimento – queste misure – al riparo da eventuali interessi elettorali immediati, con una certa indipendenza e autonomia dalla competizione politica. Potevamo chiedere le elezioni e poi vincerle, come ci dicono tutti i sondaggi. Abbiamo pensato non a noi stessi, al nostro interesse di partito, ma all’Italia, come deve fare sempre una grande forza politica responsabile. E perciò siamo senza riserve a favore della politica di emergenza del governo Monti.
Lei mi chiede se il nostro consenso è incondizionato. Bersani ha detto che voteremo anche misure che eventualmente non collimassero in tutto e per tutto con la nostra proposta. Saremo leali sino in fondo. Certamente continueremo però a suggerire a Monti quelle che sono le nostre idee per uscire dalla crisi e su queste idee terremo alta la discussione tra i cittadini. Ci auguriamo che Monti ispiri la sua azione anche alle nostre proposte. Ma, ripeto, non ne facciamo affatto la condizione per appoggiare il governo.
Tra i vari ritardi che contrassegnano l’Italia, quelli nella competitività e nella difesa della libera concorrenza sono due delle tematiche cruciali che oggi stanno interessando le politiche di vari Stati e della stessa Unione Europea. Lei è intervenuto recentemente in Parlamento su questo problema. Ritiene che il Governo Monti abbia le carte in regola per affrontare questi problemi o si rischia un esecutivo destinato unicamente a contenere la spesa senza affrontare i nodi dello sviluppo?
Monti ha già detto, parlando alle Camere all’atto del suo insediamento, cose importanti. Ha parlato di crescita, non solo di salvataggio. Dunque la pensa come noi. Ha parlato di giovani, di donne, di precari. Sono le nostre preoccupazioni. Ha con chiarezza parlato di riforme che eliminino le storture del sistema a vantaggio dei ceti più deboli. E’ ciò che vogliamo anche noi.
Vista e considerata l’assenza di Sovranità della Sardegna, il Parlamento Italiano rimane il luogo nel quale possono essere affrontate alcune misure per limitare i danni che le fasce sociali più deboli della nostra isola stanno pagando nel corso di questa crisi. Pensiamo al dramma delle riscossioni di Equitalia. Da parte sua il sardismo ha proposto la necessità di rivedere i criteri legislativi per limitare l’espropriabilità della prima abitazione e la modifica delle aste immobiliari. Fatta salva la lotta all’evasione fiscale, Lei sarebbe favorevole ad un intervento in materia?
Sul caso Equitalia condivido la posizione di quanti si oppongono alle riscossioni selvagge senza tenere conto delle circostanze e delle differenze. Ci sono tanti piccoli operatori economici onesti, anche in Sardegna come si sa, che non possono essere fatti passare per evasori fiscali. Si pensi a far pagare quelli degli scudi fiscali, piuttosto. Quanto alla non espropriabilità della prima abitazione, ci si può ragionare.
Certo le misure anticrisi debbono essere severe (lo chiede la crisi drammatica del Paese) ma debbono essere anche giuste. Gli italiani sono meglio di chi li ha sinora governati: capiscono che la casa brucia. Possono anche fare dei sacrifici personali, se gli si garantisce che servono a spegnere l’incendio. Quello che non ammettono, e non lo ammettiamo neanche noi del Pd, è che paghino solo i più deboli mentre qualcuno, in alto, magari si arricchisce sulle spalle dei soliti fessi, passando immune dentro la crisi. Questo non è consentito. Lorsignori diano l’esempio, e che sia un esempio reale, non virtuale.
In Sardegna la Giunta Cappellacci ha palesemente disatteso le aspettative lanciate nel corso della vecchia campagna elettorale, una su tutte, quella sulle grandi riforme istituzionali. Durante la convention del PD del 2010 Lei ha espresso perplessità sull’ipotesi di indire una “Costituente” per la riforma dello Statuto Autonomo Sardo, ricordando che prima di compiere simili passi sarebbe opportuno avere un consenso popolare sul tema ma soprattutto sarebbe opportuno avere uomini e idee credibili per immaginare il futuro della Sardegna.
Se consideriamo l’attuale inadeguatezza dell’indipendentismo Sardo, possiamo dare credito alle parole del suo collega di partito, il Senatore Antonello Cabras, che ha paventato la chiusura dell’Università di Sassari per contenere i costi? Come possiamo immaginare il futuro di quest’isola se tagliamo le gambe alle strutture nelle quali dovrebbe avvenire la formazione della futura classe dirigente?
Quella di Cabras era una battuta, una boutade come dicono i francesi, forse neanche troppo meditata. Il sistema universitario sardo ha bisogno di sempre maggiore coordinamento, non solo per evitare duplicazioni e sprechi, ma anche per essere più efficiente. Tuttavia i due atenei hanno ognuno la sua storia plurisecolare, la sua rete di collegamenti col continente, le sue ricerche in atto ecc. Esiste inoltre l’autonomia universitaria, che non è meno preziosa di quella delle regioni o degli enti locali. La politica deve rispettarla e dialogare con essa, non sovrapporsi con tagli alla Marchionne. Il Pd ha riaffermato, anche in sedi ufficiali come il Forum università coordinato da Micaela Morelli, qual è la sua linea: due atenei distinti, coordinati tra loro e sempre più “amici”, una politica regionale per tutte e due le università sarde. Se tagli si devono fare, facciamoli, ma con ragionevolezza. Se poi Lei mi chiede come si dovrebbe formare la classe dirigente del futuro, Le rispondo che i due atenei non bastano: dobbiamo fare un grande sforzo collettivo, come società regionale, per valorizzare le energie giovanili che stiamo perdendo, i tantissimi ragazzi che vanno a studiare fuori (in continente o all’estero) e che non tornano più. E’ un’emorragia di cervelli che non possiamo permetterci. E al tempo stesso dobbiamo essere capaci di attrarre, nello scenario dell’Europa mediterranea e dell’Africa, quei ragazzi (algerini, tunisini, marocchini, libici) che potrebbero venire a studiare da noi. Per far questo dobbiamo migliorare molto l’offerta didattica, internazionalizzarla, creare strutture adatte di accoglienza, stabilire di più relazioni con altri Paesi e altri atenei stranieri, mettere meglio in vetrina la nostra offerta didattica, creare un link stabile tra università sarde e sistema delle imprese locali. E creare alcuni punti di eccellenza della ricerca, capaci di fare da calamita rispetto alla domanda estera. Penso alle scienze agrarie e forestali, ma anche ad altri settori nei quali già oggi gli atenei sardi occupano posizioni di rilievo. Insomma ci vuole una politica regionale unitaria dell’istruzione superiore e della ricerca scientifica, che oggi purtroppo manca del tutto.
Grazie.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi
Intervista inutile ad un personaggio poco utile alla “causa”. Facci capire il senso del dare voce a chi della sovranità dei sardi non gli passa nemmeno lontanamente per la testa.
Non c’è niente di inutile nel dialogo con chi ha opinioni diverse dall’indipendentismo: al contrario, è la base del rispetto reciproco, della democrazia e dell’apertura verso quella maggioranza di Sardi che non hanno i nostri ideali.