A breve il referendum che cambierà la Sardegna. Ne parliamo con l’On. Pierpaolo Vargiu (RS)

U.R.N. Sardinnya intervista l’On. Pierpaolo Vargiu, classe 1957, medico, ha lasciato l’incarico di capogruppo dei Riformatori Sardi in Consiglio Regionale per dedicarsi all’impegno del referendum consultivo e abrogativo del 6 maggio 2012 – A cura di Adriano Bomboi.

Mentre la classe politica regionale era impegnata a tergiversare di fronte alla crisi, i Riformatori Sardi hanno avviato una interessante iniziativa che ha saputo avvicinare centinaia di amministratori locali, senza limiti di schieramento. Sono state raccolte migliaia di firme necessarie ad indire un referendum di 10 quesiti che in questa primavera potrebbero rivoluzionare il volto della Sardegna. Quali sono i temi da voi proposti e quali cambiamenti si aspetta il Movimento Referendario Sardo da questa prova di democrazia?

I quesiti referendari sono 10, ma in realtà la domanda che verrà rivolta ai sardi è una sola: volete cambiare la Sardegna SI o NO? I quesiti riguardano infatti temi che possono avere un impatto davvero rivoluzionario nella palude stagnante della politica sarda: abolizione delle Province, riduzione dei costi della politica, centralità del cittadino nelle scelte.
Il vero spartiacque, oggi in Sardegna, non è ideologico, ma è invece tra coloro che vogliono conservare, magari facendo piccoli aggiustamenti quotidiani e quelli che invece sono convinti che così non si possa più andare avanti. E’ per questo che i referendum non hanno nessun copyright di partito, ma hanno quello delle centinaia di sindaci, amministratori locali, esponenti della società sarda che – al di là delle legittime appartenenze ideali – si stanno battendo per questa grande scommessa di cambiamento.

Costi a parte, la possibile riduzione a 50 del numero di consiglieri regionali non rischia di trasformarsi in un limite alla rappresentatività delle piccole formazioni politiche? Probabilmente gioverebbe integrare a questa prospettiva una nuova legge elettorale. Lei che cosa ne pensa?

Da liberale, sono convinto sostenitore della garanzia dei diritti delle minoranze di oggi e voglio tutelare la loro possibilità di diventare maggioranza domani. Credo però che 50 legislatori siano più che sufficienti a garantire ogni sensibilità e ogni sfumatura di ragionamento, ma anche l’indispensabile efficienza dell’organo che deve discutere e fare le leggi. Credo che alle buone leggi di cui la Sardegna ha bisogno non servano istituzioni pletoriche, spesso lontane dal cittadino perché ripiegate su se stesse, a parlarsi addosso con un linguaggio e riti incomprensibili alla gente normale.

Si punta all’abolizione delle Province. Non è qualunquismo affermare che in Sardegna queste articolazioni dello Stato hanno contribuito a generare una vasta platea di clientele e zone d’ombra nelle quali si annidano dei costi per la Pubblica Amministrazione del tutto superflui e destinati a consolidare il potere locale di alcuni partiti italiani. Quanto è importante in un periodo di crisi dare un così forte segnale di cambiamento ai cittadini?

Mi sembra opinione consolidata che la semplificazione del funzionamento delle istituzioni sia un interesse del cittadino.
Credo che i Comuni, in associazione tra loro per obiettivo, siano in grado di gestire al meglio, le attuali competenze provinciali. Ed è innegabile come – al di la dei costi di funzionamento di Enti di cui si può fare a meno – intorno ad ogni centro di potere della politica rischino di crearsi zone d’ombra e aree di clientela che non sono utili né ai cittadini sardi, né alla buona politica.

Il giornalista Vito Bolchini (Radio Press) ritiene che alcune forze politiche abbiano interesse a far fallire il referendum. Tra i vari motivi, anche il nono quesito, che prevede l’abolizione dei consigli di amministrazione di tutti gli enti e sotto-enti della Regione, anch’essi meta privilegiata di clientele e parassitismi politici vari. Pensa che i Sardi sapranno rispondere comunque a questo appuntamento con la democrazia? O forse la tiepida accoglienza di una stampa regionale schierata con il conservatorismo dei partiti italiani sarà un ostacolo per la corretta informazione dei cittadini?

Mi sembra che i media regionali abbiano accolto con interesse l’azione referendaria comprendendo perfettamente quanto sia vicina ai bisogni dei sardi. Intorno ai referendum può raccogliersi una forza di innovazione e modernizzazione della Sardegna in grado di usare lo strumento referendario per far arrivare forte la propria voce all’interno del Palazzo. I referendum in mano ai sardi di buona volontà possono davvero essere una “vera rivoluzione, senza forcone”.
Sono convinto che la parte più sensibile e moderna dei partiti politici e della società sarda saprà cogliere il messaggio.

Anche l’ambito indipendentista Sardo, inutilmente occupato in lotte intestine, ha finito per scordarsi uno dei temi più importanti che riguarda il suo agire politico: la riforma delle istituzioni regionali. Il sesto quesito riguarda proprio la possibilità di creare una Costituente per la riscrittura dello Statuto Speciale, eletta a suffragio universale dal Popolo Sardo. Non si tratta più di essere indipendentisti o autonomisti ma riformisti. Si tratta di far si che la nostra isola abbia quella sovranità che le consenta di districarsi meglio nel suo rapporto con i mercati e con le istituzioni italiane ed europee. L’esito del referendum potrà dare una scossa al lavoro della Commissione Autonomia che in Regione è impegnata a rivalutare i termini del suo rapporto con lo Stato?

Da sempre sono convinto che una scelta fondamentale per il futuro della Sardegna, come la riscrittura dello Statuto, debba essere messa in mano ad un’Assemblea Costituente, eletta dai cittadini sardi con sistema proporzionale, che ci consenta di dare la massima forza possibile alle regole quadro della nostra organizzazione interna e dei nostri rapporti con l’Italia e con l’Europa. Dalla prima battaglia per la Costituente di Massimo Fantola e Piersandro Scano sono passati più di dieci anni: il Consiglio Regionale, lento e litigioso, è ormai fuori tempo massimo.
Con i referendum vorremmo che i sardi dicessero in modo inequivocabile che il Consiglio Regionale deve dare al più presto il “via libera” alla legge sulla Costituente, come richiesto anche dai sindacati e da ampia parte del mondo della cultura e del lavoro sardo.

Gli indipendentisti la chiamano “autonomista”, nei fatti, la figura del Governatore della Regione non è altro che l’espressione di una politica centralista, la stessa che da decenni ha la capacità di imporre da Roma i candidati di questo o quello schieramento politico italiano. Il settimo quesito del referendum infatti punta a colpire questa limitazione del diritto dei Sardi ad eleggere un proprio rappresentante alla guida dell’isola. Le primarie possono essere un modo per dare dignità al voto dei cittadini e permettergli di limitare l’influenza di una politica romana distante dai nostri interessi territoriali?

Il Presidente della Regione ha un ruolo, un’autorevolezza e un peso straordinario. Egli rappresenta tutti i sardi, anche quelli che non lo hanno votato, e incarna l’azione di governo e la progettualità della Giunta.
Individuarlo attraverso le elezioni primarie garantisce il suo radicamento tra i sardi e sottrae ai partiti l’onnipotenza nelle decisioni che rischia di non aiutare la qualità della scelta. Votiamo SI.

Grazie.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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