Sa die de sa Sardigna: A Trento siglata convergenza federalista, da noi tanti fanfaroni e poca democrazia

“In nome di Dio, andatevene!”
Oliver Cromwell al Parlamento inglese, 20 aprile 1653.

Sa die de sa Sardigna? Prima di conoscere l’aprile del 1794, in cui vennero cacciati via i piemontesi per il malgoverno dell’isola dando luogo alla rivoluzione sarda, probabilmente come Sardi dovremmo conoscere Oliver Cromwell, noto e controverso condottiero inglese che nell’aprile del 1653 sciolse l’allora Parlamento inglese.
Cromwell mise in discussione la legittimazione “divina” del potere assoluto che esercitava la monarchia e contribuì alla creazione di una Repubblica del Commonwealth, tempo dopo si rese conto che il Parlamento era diventato un luogo di privilegi particolaristici e lo abolì, ma sostituendo tali privilegi con il proprio, governando con una linea dittatoriale, fino al ritorno della monarchia (stavolta non più assolutistica).
La morale? Per dirla alla Karl Popper, solo i processi riformistici possono risolvere i problemi, perché le rivoluzioni non fanno altro che sostituire un problema con un altro.

L’Italia e la Sardegna del 2012 si trovano di fronte a una battaglia, quella fra la politica e l’antipolitica, e torti e ragioni sembrano affacciarsi da entrambe le parti. La prima è quella fazione nella quale si trovano buoni politici ma anche tanti conservatori interessati a preservare solo i propri privilegi. Nella seconda fazione si trova una parte del Popolo, ormai stanca della malapianta del politicantismo, che ritiene opportuno eradicarla via senza però proporre una seria alternativa.
La storia ci insegna che oltre la democrazia, con i suoi partiti, c’è solo la dittatura.
Qual è dunque il miglior compromesso per affrontare un periodo di crisi? Quello chiamato “Responsabilità Natzionale”, ovvero quando la parte migliore della politica (o supposta tale), si unisce dando luogo a governi tecnici o coalizioni di larghe intese per affrontare le priorità del momento. Eppure si tratta di un discorso insidioso tanto quanto quello dell’antipolitica.
Può accadere infatti che il politicantismo promuova i governi tecnici solo per proseguire il classico affarismo sotto mentite spoglie, dando così modo all’esasperazione sociale di incrementare la sua protesta in termini violenti. Una situazione esplosiva che porterebbe lo Stato a reprimere la protesta annullando ogni ipotesi riformista. Ma in Sardegna lo Stato si è portato avanti: giorni fa ha scelto di non pagare le elezioni amministrative regionali. Cioè uno Stato non federalista come quello italiano pretende dalle realtà locali che mandino avanti da sole la democrazia.
Roma naturalmente si è impegnata a non sospendere il diritto di voto e ha promesso intese con la Giunta Cappellacci per il normale decorso elettorale.
Benché le elezioni si svolgeranno comunque, il messaggio emerso da questo contesto è molto grave: lo Stato si è eretto al rango di un impersonale monarca che assume decisioni ma ostacola la partecipazione alle sue decisioni. Mentre la politica regionale, inclusa quella autonomista e indipendentista, non trova alcuna sintesi politica sul destino del proprio agire in vece del Popolo. Forse i buoni politici sono in minoranza rispetto al conservatorismo dei politicanti.

Nella Regione Autonoma del Trentino Alto Adige ci hanno pensato e la politica autonomista ha deciso di consolidare una convergenza di interessi rispetto ai partiti italiani contro il loro fasullo riformismo. A Trento è stato quindi siglato il Patto Federale tra le seguenti forze politiche: SVP, Patt, Union Valdotaine, Slovenska Skupnost ed Union Autonomista Ladina. Il Patto basa la sua esistenza su due pilastri: quello della specificità linguistica/storica/culturale, e quello fiscale.
Su quest’ultimo aspetto, Theiner, leader dell’SVP, ha dichiarato che “l’istanza comune è quella di un futuro politico contrassegnato da un reale federalismo, attraverso la quale il territorio potrà modulare sia gli introiti, sia la spesa pubblica sulla base delle specificità locali” (ANSA, 14-04-12).
Basta regalare i soldi delle tasse a Roma insomma, devono rimanere ed essere amministrati sempre in loco. Nel frattempo, il Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano Luis Durnwalder ha dichiarato che si opporrà all’eventuale imposizione dell’inno di Mameli nei consessi della Pubblica Istruzione della Comunità in quanto sarebbe una violazione dell’art. 6 della Costituzione Italiana (“La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”). Ed è proprio grazie alla specificità che riescono a farsi sentire da Roma.
Ricordiamo che la Sardegna con la Lingua Sarda (riconosciuta in prima istanza dalla L.R. 26/97) è la più vasta minoranza linguistica della Repubblica. Tuttavia i movimenti politici Sardi non hanno ancora maturato sufficiente comprensione del peso politico (ma anche sociale ed economico) di questa specialità e non sono neppure stati in grado di sviluppare alcuna convergenza politica che abbia come base le riforme istituzionali con cui dotare di più sovranità l’isola.
Il linguista e semiologo Roland Barthes nel 1980 dichiarò che “l’unica cosa da difendere è il diritto politico di essere un soggetto”, i nostri indipendentisti, nel momento in cui ignorano la specialità della nostra isola, dimostrano di non essere più soggetti attivi di una sovranità da conquistare ma solo oggetti passivi di un contesto centralista che non vogliono mettere in discussione neppure a parole. Perché negano se stessi nel momento in cui rinnegano i diritti territoriali che ritengono di rappresentare.
Lo studioso Roberto Bolognesi ha proposto di passare a sa die de sa Limba Sarda. Sarebbe un atto simbolico importante, ma effimero nel momento in cui la stessa politica territoriale non lo adotta come strumento di rivendicazione nei confronti degli abusi di questo Stato.

Questa assoluta mediocrità politica causata dal leaderismo e dalla frammentazione degli indipendentisti, unita al basso peso contrattuale del sardismo in campo amministrativo, ha determinato una compressione dei diritti democratici dei Sardi, che ancora una volta si trovano nelle mani dei partiti italiani i quali non possono e non vogliono modificare l’attuale stato delle cose. Stiamo parlando di partiti centralisti che usano in modo discrezionale persino i soldi delle nostre tasse, quelli per il finanziamento pubblico ai partiti, salvo poi non risolvere alcuna vertenza nell’interesse del territorio. Viviamo in una Repubblica il cui Capo di Stato non è in grado di offrire alcuna credibilità all’inadeguatezza delle istituzioni che rappresenta. Pensate che Napolitano se l’è presa contro gli evasori fiscali, ma non ha spiegato ai cittadini che il Quirinale costa quanto Buckingham Palace e l’Eliseo messi insieme, con la differenza che la sede della presidenza francese ha persino più compiti da assolvere (Corriere della Sera, 2007). Dal canto suo la Monarchia Britannica non manca di pubblicare online un resoconto esaustivo delle sue proprietà e dei costi di gestione. Da noi quante e quali istituzioni italiane e sarde oggi hanno come priorità la trasparenza verso i propri cittadini? Ben poche.

Sicuramente non ci serve un Cromwell per spedire a casa il nostro Consiglio Regionale, che solo libere elezioni possono modificare, ma forse ci servirebbe un Cromwell per mandare in pensione l’attuale dirigenza dei partiti indipendentisti, chiacchierona su temi condivisibili e litigiosa nel momento in cui si tratta di collaborare per portarli avanti contro i privilegi dei partiti italiani.
Chissà cosa avrebbe detto nel 2012 un abile osservatore politico del suo tempo come Giovanni Maria Angioy? Fu affossato dai suoi stessi collaboratori prima che dagli avversari esterni. Magari non faticherebbe a trovare degli avversari anche negli 11 partiti Sardi, i quali per numero (e non per voti) superano ormai quelli italiani.

Io propongo un nuovo senso per il 28 aprile, non solo quello di commemorare un evento che vide tutto il Popolo Sardo unito contro i dominatori di turno (per quanto finito male), ma anche quello di guardarci le spalle dai sedicenti difensori della Sardegna.

Di Bomboi Adriano.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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