La proposta: Una politica di marketing contro il ‘bonapartismo linguistico’
Correva la seconda metà dell’800. Nei suoi racconti di vita militare, Guy de Maupassant si prese la briga di ricordare l’infanzia di Napoleone Bonaparte, quando, da sincero indipendentista Corso e seguace di Pasquale Paoli, si tramutò nel più acceso sostenitore dell’Imperialismo Francese, che tutti abbiamo conosciuto nei libri di storia.
E come può essere etichettata, se non “bonapartista”, quell’insana tendenza di svariati politici Sardi nel dimenticare le proprie radici per sostituirle con quelle artificiose dell’italianità? Essere eletti in vece dell’isola ma finire inevitabilmente a fare quelle del continente.
Portafoglio o “sindrome di Stoccolma” che sia, una discreta dose di Sardi pare affetta dal fenomeno del passing, cioè da una rimozione delle proprie radici per conformarsi a quelle del gruppo dominante. Così descriveva il fenomeno il medico e sociologo francese Frantz Fanon:
“Al parossismo per il dolore, all’infelice negro non resta che una soluzione: dare la prova della sua bianchezza agli altri e soprattutto a se stesso” (Peau noire, masques blancs, 1952).
Nelle nuove generazioni, la Lingua Sarda è senza ombra di dubbio il principale elemento che tutt’ora paga pesantemente quella vergognosa opera di eradicazione sociale subita dal territorio e culturalmente imposta dal centralismo italiano.
Come rimuovere questo sentimento di inferiorità e disaffezione che ha finito per danneggiare un idioma che rappresenta l’ossatura di un Popolo e che ha saputo trasmetterci opere poetiche e letterarie degne di nota?
Prima di scandalizzarci per l’apartheid a cui è subordinato l’esiguo finanziamento della politica regionale per la promozione della Lingua Sarda in ogni consesso pubblico, sarebbe opportuno valutare con serietà l’ipotesi di adottare una vera e propria campagna di marketing che accompagni il cittadino alla riscoperta ed al valore della sua parlata territoriale. Infatti, prima ancora che il singolo studente a scuola trovi il Sardo assieme all’inglese, non sarebbe scandaloso destinare una quota fissa e periodica di risorse finanziarie al solo fine di ripristinare la dignità sociale della Lingua Sarda: francobolli, convegni, slogan, gadgets, testimonial e spot televisivi, manifesti, pubblicità di vario genere, pupazzi, palloncini, persino spillette se necessario e anche spam nella vostra posta elettronica. Qualsiasi misura atta a fornire al cittadino una pedagogia del rispetto nei confronti della propria lingua madre sarebbe ben accetta e contribuirebbe a rimuovere quell’estetica della vergogna con cui sinora il solo italiano è stato identificato come “lingua della civiltà” rispetto alla “lingua Sarda dell’arretratezza, del folclore e dell’incultura”.
Combattere il “bonapartismo linguistico” significa riportare il Popolo Sardo al centro di un protagonismo politico troppo spesso mortificato da una classe dirigente locale la cui ignavia ha finito per rappresentare, sia ieri che oggi, il principale intermediatore del centralismo italiano. Con tutto ciò che ne è conseguito in termini sociali, culturali ed economici.
Pensate che mentre noi discettiamo ancora sul come e sul quando il Sardo entrerà a scuola, la minoranza linguistica di Bolzano ha persino avviato una digitalizzazione del suo servizio di emanazione dei certificati sul plurilinguismo, necessari per lavorare nella pubblica amministrazione della Provincia Autonoma.
Lanciare una campagna d’immagine a favore della Lingua Sarda, nel nostro particolare contesto, può rappresentare una efficace misura di accompagnamento a quelle che dovrebbero essere le sue naturali funzioni nell’ambito della vita pubblica.
Con ogni probabilità, la maggior parte delle persone che vi stanno intorno non conoscono neppure l’esistenza della legge regionale n. 26/97 a tutela del nostro idioma. Senza questo dovere, difficilmente i Sardi comprenderanno come esercitare il diritto.
Adriano Bomboi.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi