Green Zone (Iraq): Quando la guerra incontra Hollywood – I. Video

HD Trailer “Green Zone” – Universal Pictures, USA 2010 (Wmv). Buffering…

Quando si giustifica una guerra, qual’è il confine tra la propaganda e gli interessi? O meglio: Qual’è il confine che separa i vertici politici da quelli militari? Ed a quale livello per gli ufficiali di una superpotenza finisce la menzogna ed inizia la realtà?
A questi complicati interrogativi ha provato a dare risposta il giornalista Rajiv Chandrasekaran nel suo libro del 2006, senza rinunciare al vezzo del romanzo e ad una venatura patriottica che tutto sommato investe sapientemente la sceneggiatura di “Imperial life in the Emerald City” di Brian Helgeland.
Il prodotto finale della regia di Paul Greengrass non poteva che essere Green Zone, nella sale italiane dal 9 aprile 2010:
Un tempo la storia diveniva patrimonio cinematografico dopo qualche anno di metabolizzazione letteraria e di ricerca storiografica, le moderne tecnologie e gli attuali sistemi della comunicazione globale di massa hanno drasticamente ridotto i tempi, traslando immani tragedie contemporanee direttamente sul grande schermo e con quell’appeal da action movie che ha fatto la fortuna dell’immagine USA nel mondo: Grazie al cinema appunto.
Quest’ultimo finisce dunque per coprire le falle di una discutibile politica estera Americana offrendo allo spettatore la visione speculare di due mondi, comunque presenti nella società Statunitense: lo stereotipo di una “parte buona” e di una “parte cattiva”.
Una semplificazione ideologica ideale per un prodotto commerciale che ritrova nell’eroismo e nel dramma i tragici avventurieri che si devono (loro malgrado) piegare alle ingiustizie del loro stesso sistema.
Se dunque nella realtà è ben difficile credere che un’agenzia di intelligence come la CIA debba scavare nelle sue stesse istituzioni la verità su un dato evento (ruolo che nel film spetta al personaggio interpretato da Brendan Gleeson, alias il capo-reparto “Martin Brown”), è tuttavia credibile il dubbio ricorrente “ai piani bassi” di una superpotenza sullo scopo effettivo di un conflitto: Il braccio operativo, i militari. Coloro i quali, direttamente sul terreno, sono tenuti a dare corpo alla politica delle alte sfere.
E’ in questa tappa intermedia (tra alti comandi militari dipendenti da Washington e suoi sottoposti) che si posiziona l’ufficiale Roy Miller (Matt Damon) cui presenta comunque al mondo l’immagine di un’America a due volti: quella che ha dato il via al conflitto Iracheno in base all’informazione sulla presunta dotazione di armi di distruzione di massa del regime guidato dal partito Ba’th (di Saddam Hussein), e quella che non ci ha mai creduto ed ha continuato ad osservare le conseguenze della guerra.
Ma nel film non ci sono solo queste due visioni, c’è un’aperta critica alla strategia seguita dall’allora Amministrazione Bush a causa della scelta di dissolvere le strutture politiche e militari Irachene, circostanza che porterà alla guerra civile, prolungando i tempi necessari per la stabilizzazione del Paese.
Corre infatti il 2003, il discorso complessivo non verte più neppure sui reali motivi del conflitto ma sulle circostanze che avrebbero condotto al conflitto stesso.
Se l’ONU è stata solo l’ombra di se stessa, nella trama, Roy Miller è l’ufficiale incaricato – assieme alla sua squadra – di rinvenire le armi di distruzione di massa per mostrarle al mondo. Ma le indicazioni fornite dall’intelligence militare si rivelano puntualmente sbagliate. Le armi non ci sono.
Solo poche persone conoscono la verità, tra queste, uno dei comandanti militari in capo dell’esercito di Saddam Hussein, il generale Al-Rawi:
Le forze armate USA contraddistinguono i gerarchi avversari da catturare attraverso un mazzo di carte da gioco, ma sarà proprio il gioco condotto dalle due parti americane (“buona e cattiva”) nella ricerca di Al-Rawi a portare imprevedibilmente a compimento il destino del generale per mano di un traduttore iracheno, il quale ricorderà a Roy Miller che nessun popolo può giudicare un’altro.
Soprattutto, aggiungiamo noi, quando entrambe la parti fanno ricorso alla violenza, seppur con motivanti diverse.

Ma cos’è la “Green Zone”? E’ la “Zona Verde”, la roccaforte della coalizione internazionale, quella dell’ex Palazzo Repubblicano e degli uffici governativi. L’area sicura, tra piscine e bevande gassate, che si divide dalla “Red Zone” del Popolo, fatta di anarchia, morte e violenza. E’ il mondo che abbiamo costruito.

Di Corda Marco e B. Adriano.

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