Caro Maninchedda, non sono samurai invincibili
Intanto complimenti per l’ottimo risultato ottenuto dal Partito Sardo d’Azione nella Provincia di Nuoro. Al di là del ballottaggio, l’aver raggiunto la fatidica percentuale delle “2 cifre,” superando di fatto anche il PDL, è un risultato di prestigio a cui ha pienamente concorso il tuo personale impegno.
Il 28 maggio scorso la politica ed il giornalismo italiano hanno ricordato la figura di Walter Tobagi, assassinato dalle Brigate Rosse 30 anni or sono. Tobagi fu un uomo di enorme ricchezza culturale, una porzione di questo suo patrimonio fu spesa per realizzare importanti pagine del Corriere della Sera che avevano l’obiettivo di aprire uno spiraglio di luce negli anni bui del terrorismo italiano.
Il fondamento da cui partiva – come nel suo più celebre pezzo dal titolo: “Non sono samurai invincibili” – era la consapevolezza che la paura dell’avversario (da parte del Popolo) e dunque la sua capacità di influire nella società, rappresentava il punto di forza di questo oscuro nemico.
Il terrorismo – magari anche quello “atlantico” e non solo spinto dall’est – si alimentava della paura dei cittadini, costruendo l’impressione di possedere un apparato invincibile, non visibile ad occhio nudo, sotto il quale chiunque poteva essere una potenziale vittima scelta o casuale: al bar, al supermercato, sul luogo di lavoro, etc.
I primi arresti di cui Tobagi ebbe notizia (e di cui purtroppo non ne vide l’evoluzione nel corso degli anni), gli fornirono l’input di comunicare ai cittadini che questo punto di forza del terrorismo non esisteva, o che se in parte era esistito, si poteva comunque incrinare.
E così avvenne dopo la sua morte.
La Sardegna del 2010 è un’altro mondo, un’altra realtà, un’altro contesto sociale e politico.
Eppure, la paura continua ad essere il metro priviliegiato che anima l’inconscio di molti cittadini alle prese con un sistema socio-istituzionale di cui non sono soddisfatti ma che loro malgrado digeriscono, non vedendo all’orizzonte valide alternative.
La paura ha assunto nuovi volti, lo stesso Pasolini nel passato si domandava in maniera critica se il terrorismo fosse nato non dalla difficoltà del mondo operaio ma dalla noia della borghesia.
Negli anni di piombo infatti le strade furono invase da giovani di buona famiglia, i quali spesso furono i primi sostenitori dei “cattivi maestri”, coloro che qualche volta, come lo stesso Sartre in Francia, si sentivano in dovere di indirizzare un disagio sociale verso nuove mete e possibili orizzonti.
L’editore miliardario Feltrinelli giunse in Sardegna rimanendo con le pive nel sacco. E non fu un male se si intendeva tramutare il malcontento in violenza.
Ma la paura esisteva comunque ed aveva un volto più insidioso: si tratta della storica paura dei Sardi al cambiamento. Quella “Sindrome di Stoccolma” che ci porta all’accettazione del torto piuttosto che alla sua contestazione.
L’apparato di cui hanno paura i Sardi odierni non si chiama terrorismo, si chiama centralismo, si chiama bipolarismo. Nel bipolarismo il Popolo non sceglie solo l’ideale, sceglie il pragmatismo, sceglie la politica che con il suo imponente apparato di clientele ed i suoi numeri incute timore nell’elettore.
Si finisce spesso a votare chi ha la solita possibilità di governare. Si sceglie il “meno peggio” (o presunto tale) e si da così continuità al sistema.
La tendenza reazionaria del Popolo (beninteso, non quella violenta), viene così fustigata e ridotta al silenzio. Si piega nel rifiutare il voto a chi propone il cambiamento perché si ritiene che “tanto non vincerà le elezioni”.
Eppure, ci sono dei sottili fili di continuità nella paura collettiva che da quell’apparente lontano passato di grandi sommovimenti culturali (e violenti) giungono fino a noi:
In un intervista televisiva del 1977, all’ex Segretario di Stato USA Henry Kissinger fu chiesto il motivo del successo dei grandi partiti comunisti occidentali, come quello francese ed italiano. Nell’articolazione della sua risposta ne venne fuori quanto già sappiamo (come autonomisti ed indipendentisti affermiamo da tempo), ovvero che l’Italia (così come il passato francese), proviene da una subcultura popolare reazionaria: lo Stato rappresentava l’arroganza del potere. L’ingiustizia fatta istituzione. Le istituzioni europee del passato rappresentavano l’assolutismo contrapposto alle minoranze. Un fenomeno sociale di ribellione proteiforme e diffusa che nel tempo ha subito diverse trasformazioni. Nella “noia borghese” degli anni ’70 il fenomeno ha assunto tratti oscuri, magari cavalcati da forze ben più potenti, le quali – come lo stesso Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga ebbe modo di dichiarare – non trovarono affatto valvola di sfogo nel disagio ma piuttosto nel benessere: come l’ambito universitario.
L’indipendentismo Sardo nel corso degli anni ha piantato dei semi, oggi questi semi della ribellione verso il potere calato dall’alto hanno avuto una felice traduzione politica, ben diversa da quella minoritaria della contestazione contro l’arrivo della Lega Nord avvenuta in un recente comizio del Senatore Massidda a Cagliari: dove il fenomeno reazionario si è maldestramente condensato non nella difesa della democrazia ma nella volontà di tappare la bocca ad un altro soggetto politico.
Nel Nuorese il Partito Sardo d’Azione è democraticamente cresciuto ed ha aperto una breccia nel bipolarismo persino in seno al più forte alleato di coalizione.
Il nostro compito oggi è quello di garantire a questi semi una crescita costante, evitando che la pianta del Nazionalismo Sardo si inerpichi verso confusionarie e controproducenti posizioni. Magari contigue al centralismo. Proprio come alcune piante minori si arrampicano attorno ad un albero più robusto finché non vengono completamente prosciugate dal fatale abbraccio.
I veri “sovversivi” oggi pertanto non sono più coloro i quali vogliono migliorare il sistema, ma coloro i quali non capiscono che bisogna automatizzarsi rispetto ai tradizionali centri di potere oltre-Tirreno.
I “sovversivi” sono quelli che all’interno dei partiti italiani non vedono o non vogliono vedere il disagio tradottosi in astensione e protesta; e lo minimizzano. Sono “sovversivi” quelli che non vedono le diverse fasce d’elettorato dentro le quali il Nazionalismo Sardo accresce la sua presenza nella politica regionale. Siamo noi le “forze dell’ordine” che devono mettere fine a questa “macelleria sociale” causata dal bipolarismo a danno dell’isola.
Lo stesso PDL non è più invincibile nel momento in cui non capisce, come tu stesso giustamente rilevavi, che Roma non è necessariamente un alleato ma un competitor i cui interessi non sempre sono in linea con quelli della Sardegna.
Se vogliamo incrinare questo nefasto bipolarismo, dobbiamo ridurre la frammentazione politica per conseguire quegli strumenti politici idonei dietro ai quali potremmo fare le dovute riforme.
Abbiamo bisogno di un Partito Nazionale Sardo o di un fronte ad esso contiguo.
E per arrivare all’obiettivo non abbiamo ovviamente bisogno di martiri (come fu Tobagi per la missione giornalistica che portava avanti), abbiamo solo bisogno di dialogo reciproco tra tutte quelle forze che hanno gli stessi programmi.
Il Nazionalismo Sardo è un essere ancora privo di testa e vita propria che si agita a tentoni in direzioni diverse. Non ha un obiettivo chiaro ed univoco, non ha un disegno alle spalle e la sua crescente forza rischia di essere dispersa e distrutta se non verrà convogliata in un ordine strategico preciso volto alla progressiva trasformazione delle istituzioni Sarde.
Gli stessi amici dell’IRS, a cui va riconosciuta la passione e l’impegno per la crescita ottenuta, dovranno pur ricordarsi che 10 anni or sono (a condizioni politiche e sociali più difficili per tutto l’indipendentismo) si dilapidò nel nulla una timida crescita in atto.
Nel pantano della reciproca diffidenza non costruiremo il terreno adatto per la crescita della nostra pianta, e consentiremo ad altri di essiccarla.
Fortza Paris!
Di Bomboi Adriano.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi
Cuncordu meda de custa analisi, no si podiri pensai de andai ainantis de custa manera, pensendi ca deu seu mellus de is atrus, nosus seus de sa natzioni, po sanatzioni, cun sa natzioni!! Si eus dumprendiou ita s’at contu s’istopria, no si podiri sighiri a fai politiga essendi spratzinaus o mancai a m’intendi nai, no tui no ses po s’indipendentzia poita in Sardigna si nc’est unu indipendentista est issu e boh!! Scieus comunicai? Si bolleus firmai unu pagu e ascurtai su chi teninti de nai is atrus chi no dha pensant paris a nos atrus? Seus sigurus ca nadendi a pigai parti de is istitutzionis siat una cosa chi paghiri su trabballu e sa gana chi nci ponniri genti meda?
Il successo del PSdAz con la punta in provincia di Nuoro e a Nuoro città e il contemporaneo successo di IRS con l’erosione del PDL manifestano una tendenza.
Pochi anche quando criticano il bipolarismo non si soffermano molto sulle leggi elettorali.
Ciò è cruciale perché, fatta salva la possibile e sperata presa di coscienza nazionalista dei sardi in conseguenza di attività cosiddette di tribuna ottenibili con la presenza estremamente minoritaria nelle assemblee elettive o con la testimonianza e propaganda nella società, terrà l’area nazionalista al di fuori dalla possibilità reale d’incidere nella modifica della realtà.
Storicamente l’area nelle sue competizioni elettorali, anche quando sembrava ed era vero soffiasse un vento indipendentista si è attestato al massimo intorno al 15%.
Quando vigeva il proporzionale era possibile essere determinanti, anche presentandosi da soli, nelle successive alleanze di governo. Oggi e nel futuro è possibile presentarsi da soli ma in questo modo si è esclusi da alleanze con uno dei due poli maggiori e quindi dalla compartecipazione del potere legislativo ed amministrativo attraverso il quale è possibile incrementare quote di sovranità e di riforma politica in senso indipendentista.
Uno degli ostacoli è stato superato dalla scelta del PSdAz di libertà di alleanze programmatiche con ognuno dei due poli oggi presenti a seconda degli interessi immediati e di una tattica di medio periodo.
E’ quella che si definiva tattica alla catalana, prendendo spunto dai nazionalisti catalani che per molto tempo si sono alleati a Madrid con una o con l’altra delle forse in campo, Popolari e Socialisti. Ad ogni alleanza portavano a casa qualcosa, soprattutto continue modifiche dello Statuto d’autonomia catalana e che oggi è molto avanzato.
Certo la situazione sarda non è speculare a quella catalano-iberica ma si trattava di una linea di principio che ha liberato solo da poco i sardisti da sudditanze ideologiste.
C’è poi la novità di IRS che ha avuto un discreto successo non fosse altro perché con l’ingresso in diverse amministrazioni provinciali si confronterà con la realtà politica e forse l’emulazione e gara col PSdAz potrà dare risultati positivi.
Il pericolo è l’arroccamento organizzativistico e l’autismo di certe posizioni che non favorirebbero obiettivi comuni.
Il fatto è che di fronte ci sono fra un anno le elezioni a Cagliari e successivamente le elezioni politiche ( se non ci saranno interruzioni della legislatura ) e poi le prossime regionali.
A questi appuntamenti non sono necessarie anche se possibili fusioni di organizzazioni ma sarebbe auspicabile su una piattaforma comune una alleanza tesa a presentarsi con la coalizione che dei due poli si riterrà utile per avere il maggior successo elettorale e di eletti.
In poche parole resta aperta la questione della strategia riformista all’indipendenza.
Certo, possono rimanere differenze sui concetti, indipendenza, sovranità ecc. ma rimarranno solo differenze di scuola o nominalistiche se però si raggiungesse l’obiettivo di dare fiducia ai sardi che diffidano delle divisioni.
Naturalmente ci vorrebbe la sfera di cristallo per prevedere finestre aperte da eventi imprevedibili che accelerassero il processo politico. Ma tutto può essere e bisognerebbe prevedere la preparazione di una classe dirigente in grado di governare da indipendentisti in situazioni positive ma imprevedibili.
Servirebbe quindi un processo culturale che possa dare gli strumenti di conoscenza e di proposta a misura della nazione sarda, liberato dalle influenze esterne negative, sinistrismo, mpndialismo, conservatorismo, assistenzialismo, ed altre che la colonizzazione culturale e politica italiana ha come è evidente inoculato all’interno di tutta l’area nazionalista.
La via riformista, forse è vissuta come troppo lunga, ma spesso cambiamenti quantitativi minimi ma continui, in questo campo possono creare situazioni di cambiamento di qualità del contendere politico.
Costruire la statualità in un contesto europeo e quindi prevedendo la cessione di potestà e competenze ad un centro europeo liberandosi in toto meglio che in parte dalla mediazione protezionista italiana, deve far riflettere per dare contenuti all’indipendentismo di oggi e di domani che non è più quello di prima della caduta del muro di Berlino.
Altra decisiva attenzione decrebbe essere data alla comunicazione culturale e politica.
Emanciparsi dalla stampa e dalle televisioni è necessario e una delle novità di queste ultime elezioni è stata l’uso della comunicazione in internet fatto da IRS e che gli ha dato buona parte del consenso.
In caso contrario prevarrà l’autocompiacimento e l’autoreferenzialità su percentuali di consenso minime e tendenzialmente costanti lasciando l’effettivo potere politico ai partiti succursalisti e alle riforme venute da Roma e come sempre nell’esclusivo interesse coloniale. Nel frattempo la Natzione verrebbe denazionalizzata sempre più e resa ancora più dipendente lasciando gli ultimi Mohicani indipendentisti agli spettacoli di folclore politico.
[...] Ma torneremo a breve su questo tema ed all’apertura dello stesso On. Maninchedda all’ipotesi di un Partito Nazionale Sardo. Per IRS, unitariamente a diverse amministrazioni comunali, gli [...]