La quinta lettera di Cossiga e la mozione Sardista

Nessun mistero. Francesco Cossiga non ha lasciato nessuna “quinta lettera”. Quantomeno non “la quinta” che qualcuno quì in Sardegna si aspettava: nessun voltagabbana sulla “patria italiana”. Piuttosto, un sincero riconoscimento di quanto i Sardi, all’apogeo del risorgimento, si siano sentiti italiani per volontà e non per conquista.
Pochi potrebbero smentire una simile affermazione, basata più su un dato oggettivo che non su una scelta di comodo del Presidente emerito della Repubblica.

Attraverso un nostro comune amico (anch’egli Sardo), che sotto l’Arma dei Carabinieri ha lavorato nel suo personale servizio di scorta, non possiamo non ricordare il grande orgoglio di questo illustre concittadino. Ma anche la sua diffidenza ed il suo fatalismo, sapientemente condensato da un ampio spirito ironico, nonché la sua visione autonomista di ciò che sarebbe dovuta essere la Sardegna.
Sebbene provato da precise e difficili scelte assunte nel corso della sua carriera, Cossiga non smise mai di guardare con interesse alla lettura storica di Francesco Cesare Casula.
Una lettura secondo la quale l’istituzione del Regno di Sardegna fu soffocata dalla sbornia ideologico-risorgimentale che mise in soffitta una (seppur minima) indipendenza degli stamenti Sardi (il nostro vecchio Parlamento). Posizione già caldeggiata in passato dal celebre storico-giurista siniscolese Antonio Marongiu nella sua comparazione dei parlamenti Sardi (come in età aragonese).
Eppure, nel scivoloso crinale delle valutazioni storiche, condivisibili o meno, il passo verso la politica è sempre stato breve: col senno di poi si potranno obiettare diverse cose all’operato in vita di Cossiga. Come la fase degli anni di piombo ed il suo ruolo sulla Sardegna dagli anni ’60 agli anni del “complotto separatista”, un periodo controverso in cui fu necessario difendere il PSD’AZ. E come il suo impegno (certamente tardivo) sulla situazione politica ed istituzionale dell’isola. Una critica che lo stesso leader del Partito Sardo d’Azione Giacomo Sanna non lesinò al Senatore a vita, allorquando, con vivo interesse per le vicende attraversate dalle minoranze territoriali Europee (vedere il nazionalismo Catalano e Scozzese), Cossiga si pose alla testa di una cerchia di politici ed intellettuali con l’obiettivo di riscrivere lo Statuto Sardo e cercare le più ampie convergenze tra i diversi parlamentari Sardi a Roma allora presenti.
Stiamo parlando del 2001 e seguenti.
Certo, egli non è stato sicuramente il padre della “Nazione Sarda” contemporanea, ma si tratta di anni non troppo lontani che sancirono la ripresa di un lento dibattito (comunque pre-esistente) sullo status politico ed istituzionale della Sardegna che la nostra classe politica (non certo divisa) avrebbe dovuto portare avanti: come il riconoscimento della Nazionalità Sarda. (Documento in PDF).
L’idea di “nazione nella nazione” (quella Sarda interna a quella italiana), presentata in Senato ed ormai ignorata dalle stesse personalità che avrebbero dovuto sostenerla, non ebbe seguito, ma aprì tuttavia una stagione di nuovi (e rarefatti) dibattiti che ci hanno condotto ad avere oggi due nuove proposte essenziali di riforma della Sardegna: quella redatta dal Comitato pro sa Noa Carta de Logu, impersonata negli ultimi anni dall’On. Piergiorgio Massidda (PDL) e condivisa dallo stesso Cossiga; e quella dell’On. Antonello Cabras (PD). Quest’ultima completamente avulsa dallo spirito identitario e nazionale della Sardegna con cui partì la temeraria impresa di Cossiga. Una impresa però, ricordiamolo, che non mancò mai di offrire la sempreverde idea di un Partito Nazionale Sardo. Perché egli non fu solo un uomo delle istituzioni, ma un abile osservatore: intuì da subito il passaggio storico entro il quale crollava la partitocrazia della Prima Repubblica per poi individuare – come lo stesso ex DC Cirino Pomicino ha avuto recentemente modo di dichiarare a Rainews 24 – l’avvento del bipolarismo ed il suo rapido declino verso una nuova forma partitocratica ad esso contigua. Dinamica che non avrebbe disdegnato un nuovo frazionismo di sigle privo di cultura politica. Perché di questo si tratta: tra il 1989 ed il terremoto di tangentopoli inaspritosi a seguito delle dimissioni dalla Presidenza della Repubblica di Cossiga, venirono meno tutti i blocchi culturali di riferimento. Tanto a destra quanto al centro ed a sinistra.
Dalla Seconda Repubblica in poi alcui mali si sono replicati, ed il personalismo ha sostituito tali culture politiche affermatesi nel ’900 (anche per via della fine della Guerra Fredda).
L’Italia è così divenuta però un’anomalia Europea del tutto singolare: non c’è più un vero partito cattolico-liberale o conservatore, come non c’è più un vero partito socialista o ambientalista. Ci sono solo partiti ad personam, partiti sospinti da un minestrone ideologico i quali hanno trovato nel teatrino della rissa quotidiana le ragioni della loro esistenza. Trasformando così gli avversari politici in nemici, ed inasprendo così anche l’imbarbarimento della vita politica del Paese, una spirale che non poteva che avere inevitabili ripercussioni anche nella politica Sarda.
Ammirava l’indipendentismo territoriale europeo, ritenuto in diversi casi più maturo poiché “sovranista”, in quanto propenso a riconoscere la necessità di una gradualità delle conquiste progressive in campo politico-amministrativo verso una legittima indipendenza (previo consenso popolare ovviamente).
E’ in questo clima dunque che riteneva servisse (e serve) un Partito Nazionale Sardo, non con l’obiettivo di “monopolizzare” l’ambiente identitario Sardo, quanto piuttosto con l’obiettivo di ridurne l’eccessiva frammentazione, al fine di renderlo più efficace nei confronti di una partitocrazia centralista ed estranea ai bisogni territoriali dalla quale ormai lo stesso Cossiga aveva preso le distanze e che lo guardava con diffidenza.
Con Cossiga, oltre ai più vari interessi – tra cui l’affascinante pianeta delle forze armate – ed al buonsenso per tale lettura politica, abbiamo avuto la stessa passione per la tecnologia. Credeva in un potente mezzo di comunicazione (e di persuasione) come internet, per il quale spendeva diverso tempo in letture e considerazioni, e coltivava una sua personale fan-page su quel noto social network che è Facebook.
Perché in prima persona ormai l’impegno verso la Sardegna era tacciato di silenzio. Amava anche presentarsi con alcuni pseudonimi, uno dei più noti fu quello sul campo cartaceo, per il quotidiano Libero scrisse infatti sotto il nome di “Franco Mauri”. Ultima occasione pubblica in cui ricordò che la nostra terra avrebbe dovuto cercare una nuova pista politica per il riconoscimento della Nazionalità fu in occasione della consegna di una delle tante lauree honoris causa ricevute. Nell’ateneo Sassarese infatti ricordò quanto l’impegno politico fosse fondamentale per il diritto di battersi per la nostra nazionalità.
Ci spiace che il Nostro Francesco esca di scena proprio adesso, ad un punto cruciale per la svolta delle istituzioni dell’isola che (come qualcuno da lassù ci suggerisce, con la sua proverbiale irriverenza) sembra essere solo il frutto di una blanda manovra politica tesa a smarcare via l’attenzione da una Giunta grigia e poco fruttuosa in termini riformistici.
Inoltre, se guardiamo persino ai nostri giuristi attuali, noteremo con dispiacere che non riescono ad andare idealmente oltre il seminato che è stato loro conferito dall’alto. E non sono quindi in grado di prospettare alcuna seria innovazione del sistema vigente. Al solo proferire parole come “sovranità/nazione/indipendenza” sorridono con sufficienza: si tratta del tipico comportamento di quella lunga linea grigia di notabili che non ha mai fatto la differenza sulle sorti del tempo vissuto e che non lascerà ricordo alcuno nella polvere della storia.
Talvolta questa vulgata accademica (o presunta tale) si scorda persino di osservare l’evoluzione della politologia – ma sopratutto dei fatti concreti – in termini di sviluppo di tutte le istanze territoriali presenti oggi nel mondo ed in particolar modo nel continente Europeo.
In Italia ed in Sardegna, quando si parla di maggiore sovranità, spesso si guarda solo al caso della Lega Nord, mentre si bolla con superficiale giudizio quel percorso di evoluzione del Nazionalismo Sardo (ormai inclusivo, capace di evolversi e liberale) attribuendogli sedicenti caratteristiche proprie del romanticismo ottocentesco. Con le sue rigide e marcate spirali conservatrici ed etnocentriche. Sostituendo poi il tutto con le sole attribuzioni economicistiche (indispensabili ma non uniche) basate solo sul presente e senza capire quant’anche la diversità culturale produca ricchezza. Immaginate se l’industria turistica egiziana non si fosse concentrata sull’era faraonica dedicandosi solo a quella alessandrina/tolemaica o romana. Valutazioni, quelle della “vulgata sapientis”, evidentemente prive di qualsivoglia serietà nel momento in cui si osservano i (seppur ancora frazionati) movimenti politici Sardi.
Rispettabile – tra coloro i quali non condividono tali istanze del nuovo Nazionalismo Sardo – è la posizione di Guido Melis (studioso e parlamentare del Partito Democratico) che in un recente articolo ha purtroppo giudicato erroneamente e secondo i suddetti luoghi comuni la vastità di pensiero dell’identitarismo Sardo, ormai diluito secondo varie sfumature ed interpretazioni.
Secondo la lettura del Melis, con l’adesione allo Statuto Albertino, la Sardegna avrebbe definitivamente superato la fase medievale rappresentata dalla plurisecolare adozione della Carta de Logu emanata a suo tempo da Eleonora d’Arborea. Interpretazione non erronea ma che esclude tuttavia anche la possibilità di osservare costi e benefici dell’adesione ad un nascente Stato Italiano al quale, nei suoi 150 anni di esistenza (a partire dall’avvio del Regno d’Italia nel 1861), probabilmente non è stato adeguatamente corrisposto quel criterio di sviluppo che i fautori Sardi del risorgimento italiano di allora si attendevano nei confronti della nostra isola. E non a caso da allora la “Questione Sarda” è sempre stata uno spettro che non ha mai smesso di aleggiare negli ambienti delle istituzioni e della politica Sarda (“questione” che del resto pose anche l’articolato momento dei moti rivoluzionari di fine ’700 secondo crismi ben diversi).

C’è un grande dilemma: Come Popolo Sardo, abbiamo quindi la facoltà morale prima che giuridica di legittimarci come soggetto politico e reclamare dei diritti? La Comunità Internazionale di recente ha risposto positivamente a questo interrogativo, con riferimento al caso Kosovaro. Senza scordare le chiare differenze sociali, politiche, giuridiche e geostrategiche che hanno determinato tale precedente di autodeterminazione.
Secondo il diritto internazionale dunque, a prescindere da reali o presunte motivazioni storiche, una qualsivoglia popolazione, sita in un qualsivoglia stato, ha il diritto di omogeneizzarsi ed organizzarsi secondo forme di sovranità che lo stato-nazione non potrebbe costituzionalmente ammettere (a meno di sostanziali modifiche della sua struttura). Intenti, per la verità, già manifestati a suo tempo da un distinto signore chiamato George Washington, che in quanto a contrastare istituzioni sorde e rigide se ne intendeva. Le nazioni dunque nascono sia per finalità economiche che culturali, o per entrambi i profili (basti guardare la Repubblica d’Irlanda). Ma non è il momento per divagare, si tratta di un tema interessante su cui come U.R.N. Sardinnya non mancheremo di tornare per svilupparlo adeguatamente.
Oggi incombe la grande sfida delle riforme istituzionali.
Finita l’era Cossiga si entra nell’era del “rilancio” Sardista, il ché può essere comunque considerata una prosecuzione degli stessi ideali.
Lo ammetto: io stesso inizialmente ho trovato inutile la mozione presentata dal Partito Sardo d’Azione durante l’attuale legislatura regionale. – Si tratta, pensai, della solita boutade occasionale lanciata verso il crescente elettorato indipendentista. -
Ma ho cambiato idea.
Mi sono domandato a cosa potesse mai servire una “mozione indipendentista” rispetto, ad esempio, alla proposta avanzata dal PD di una ricontrattazione dei termini statutari con il resto dello Stato. Sopratutto alla luce del fatto che, al Popolo Sardo attuale, l’indipendenza interessa in maniera relativamente scarsa e pressoché nulla sul piano della preferenza elettorale (anche se in leggera crescita).
Non basta infatti parlare di un qualcosa o lanciare uno slogan se poi ad esso non si associano atti concreti per realizzarlo ed ottenere il consenso popolare che lo accompagni.
Come non sta a noi indipendentisti dire se i Sardi siano in torto o meno quando non si riconoscono nella politica indipendentista. Semplicemente prendiamo atto di quella dualizzazione di coscienza (Sarda ed Italiana, avvenuta dopo decenni di omologazione culturale ed economica italiana) che attraversa parecchi nostri concittadini e che Cossiga si guardò bene dal mettere in discussione (anche perché ormai il processo di assimilazione era partito da tempo e con quella discreta dose di volontà popolare sopra menzionata).
Ciò che possiamo mettere in discussione invece (e come lo stesso Cossiga non mancò di fare) è l’inerzia del Popolo Sardo di fronte al centralismo politico, mediatico, sociale ed istituzionale italiano. Ecco perché il Popolo Sardo può e deve interrogarsi sul passato del suo territorio, sul suo presente e sul suo futuro. Deve recuperare e tenere salda una sua autonomia di pensiero, che giustifica quindi la sua stessa esistenza.
In questi termini dunque diventa legittima l’aspirazione (anch’essa presente nella mozione Sardista) nell’identificare i cittadini del nostro territorio come un Popolo che chiede conto allo Stato dei suoi atti. Giusti o sbagliati che siano stati. A prescindere da quali saranno i parametri, più o meno politici e simbolici prima che statistici e documentabili, per capire quali e quanti siano i danni specifici occorsi al nostro territorio.
Senza dubitare dunque della buona fede del Partito Sardo d’Azione, non si può altresì dubitare che i contenuti della mozione saranno un ottimo incipit di dibattito, non solo verso i consueti circoli accademici e della politica, ma anche verso la Pubblica Opinione. I contenuti infatti meritano ampio risalto anche rispetto al titolo stesso della mozione, che per quanto suggestivo, appare dall’esito scontato.
Ciò che conta per adesso è identificare il Popolo Sardo come strumento di affermazione dei propri diritti all’interno del luogo deputato dalla democrazia a farlo: il Consiglio Regionale. Una formula che nel breve termine potrà muoversi solo sul piano simbolico, ma che non mancherà di innescare a ruota nuove valutazioni e considerazioni sul rapporto delle nostre istituzioni isolane con il resto dello Stato.
Il tutto dovrebbe inoltre farsi garante di una osservazione di ordine pratico che lo stesso Cossiga non volle mai aggirare o ignorare, ovvero che senza autonomia culturale non ci può essere autonomia economica, e viceversa.
E’ questa la lezione che l’attuale classe politica (e sindacale) Sarda non può tralasciare.
Anche la lingua e la storia della Sardegna (benché quest’ultima sia spesso lontana dall’attribuzione, politica, dell’aggettivo di “nazionale”), sono il valore aggiunto della nostra specialità e della nostra economia, che dobbiamo introdurre sul piano della vita civile ed amministrativa dell’isola.
Ma questa non è solo una considerazione personale, della nostra associazione o dei pochi circoli intellettuali che oggi la sostengono. Fu uno dei presupposti con cui i padri della Costituzione Italiana giustificavano l’istituto delle Autonomie speciali, che quindi non sorgevano solo in base a presupposti meramente economicistici e/o per risollevare le difficili condizioni economiche insulari e meridionali del secondo dopoguerra.
Ecco perché la Pubblica Istruzione regionale dovrà essere uno dei capitoli di discussione nel quadro del più ampio dibattito sul ruolo e sulla forma che il prossimo statuto avrà nei suoi rapporti con la Repubblica. In attesa, ovviamente, che il Nazionalismo Sardo prosegua compatto (ed accompagnato da quel nuovo statuto che dovrebbe sviluppare nuova autocoscienza territoriale) la sua democratica battaglia per andare oltre il potenziamento dell’attuale sovranità regionale. Poiché non è apocrifo discutere su quella netta forma di sovranità popolare che attualmente la Costituzione Italiana e la sua Corte Costituzionale non ci riconoscono.

Grazie per l’attenzione.

Di Bomboi Adriano.

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Vi segnaliamo un comunicato del movimento PAR.I.S. su Cossiga che con irriverenza espone precise considerazioni: PDF.

Bozza del Sardista Efisio Planetta di riforma statutaria presentata nella XIV Legislatura del Consiglio Regionale: PDF.

U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    • [...] concittadino o per interpretarne il pensiero. Niente di strano in tutto ciò, anch’io ho le mie opinioni. Ma uno statista può essere un personaggio del quale si può affermare tutto e con completezza in [...]

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