Corriere della Sera: Botta e risposta con Sergio Romano sulla Sardegna
La prima testata giornalistica d’Italia torna sul tema Sardegna, nell’edizione del 25-09-2010 sono infatti le blasonate penne di Rastelli, Stella e Rizzo a rendere conto al “Popolo Italiano” della parabola indipendentista, stavolta ascesa tra le stanze del Consiglio Regionale.
In passato ebbi modo di scambiare qualche battuta con lo storico Sergio Romano nella sua rubrica del quotidiano di via Solferino riservata al pubblico. Il mio intervento nasceva in occasione del discorso di insediamento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, poiché in esso, nonostante ricordasse le minoranze linguistiche del nostro ambiguo Stato, ometteva di menzionare quella Sarda: la maggiore.
Il 20 maggio 2006 affermavo:
“Caro Romano,
Seguendo la cerimonia di insediamento del nuovo capo dello Stato, non ho potuto fare a meno di notare un passaggio alquanto discutibile che il neo-eletto presidente ha tenuto dinnanzi alla platea Parlamentare.
Premessa tutta la stima possibile ed il riconoscimento per l’alto profilo istituzionale ricoperto da Napolitano, appare singolare che la sua sensibilità espressa nei riguardi delle minoranze linguistiche, lo abbia portato ad omettere il riconoscimento che la lingua Sarda (peraltro sancita da una legge della Repubblica Italiana) rappresenta la più vasta minoranza linguistica presente nel territorio dello Stato.
Altro che Sud-Tirolo.
Una gaffe che oscura una regione autonoma di oltre 1 milione e seicentomila abitanti quale la Sardegna, da anni impegnata in un difficile percorso volto a recuperare quel patrimonio storico-natzionalitario del tutto difforme dalla cultura Italiana.”
Si replicava:
“Le confesso che non mi riesce di considerare minoranza una comunità che ha avuto, dalla fine della guerra, due presidenti della Repubblica, altrettanti presidenti del Consiglio, numerosi dirigenti di partito, uno stuolo di generali, parecchi diplomatici e prefetti e, da ultimo, un ministro degli Interni.”
Infine il 29 maggio rincalzavo:
“Essendo lei persona dalla indubbia esperienza giornalistica e politica, non le sarà naturalmente sfuggito che le figure da lei menzionate, sebbene degne esponenti di rilevanti passaggi della vita istituzionale italiana, poco o nulla hanno a che vedere con la tutela di quelle peculiarità per cui da decenni ci si batte politicamente, a fronte di ingenti avversità. Sia dalle origini del Partito Sardo d’Azione, sia nelle sue più recenti espressioni sardiste e natzionalistiche.
Battaglie perpetuamente oscurate da un meccanismo clientelare e mediatico saldamente in mano ad un sistema socio-politico difforme dalla nostra cultura identitaria Sarda.
Non possiamo tuttavia nascondere che, anche parte dei demeriti della classe politica regionale nostrana, sono il frutto della litigiosità e dell’inadeguatezza (spesso per banalità ideologiche) delle forze politiche natzionalitarie che, nel corso degli anni, avrebbero dovuto rappresentare un capace strumento di deterrenza all’invadenza socio-politica italiana.
Le ricordo che solo in tempi recenti la Regione Autonoma ha ottenuto leggi di valorizzazione e promozione delle peculiarità linguistiche quali quella dell’11 settembre 1997.
Mentre nel presente si continua a ragionare su quali criteri adottare in fase di ristesura di un nuovo statuto regionale autonomo, magari anticamera di una futura riscrittura dai più ampi sospiri di carattere indipendentista.
Cordialmente.”
Sono passati 4 anni, ed oggi il dibattito sull’indipendentismo, anticamera di quel necessario processo riformatore sulle nostre istituzioni, è giunto agli altari della cronaca politica grazie all’impegno del Partito Sardo d’Azione. Un piccolo cerchio si è chiuso, uno nuovo dovrà aprirsi.
Ad esempio, come quello di non considerare le istanze territoriali come l’esclusivo prodotto di una sfavorevole congiuntura economica.
Nell’ultimo ampio articolo di Stella e Rizzo pare essere solo l’economia uno dei motivi trainanti di questa nuova sfida lanciata dal sardismo. Si tratta invece di un fenomeno assai più complesso, che se nell’economia trova certamente la sua valvola di sfogo, lo stesso non può dirsi sul piano linguistico, storico e culturale.
Il Corriere oggi ha un piccolo merito, ha affermato senza problemi che il nostro territorio ha dato all’Italia il suo primo contenitore istituzionale, cioè il Regno di Sardegna. Questione non da poco in un’Italia prossima ai festeggiamenti per i suoi 150 anni di unificazione, intrisi di disinformazione, mitologia ed ipocrisie patriottarde varie.
Con permesso, ma oggi i Sardi rivalutano quel passato. Un passato nel quale i diritti identitari non possono essere relegati in secondo piano rispetto al comunque importante profilo economico.
Probabilmente, chi ha saputo leggere meglio i pruriti italiani non è stato il Corriere, ma il controverso giornalista Roberto D’Agostino, autore del noto sito “cafonal socio-politico” Dagospia, che in una recente intervista del maggio 2010, ha ricordato quanto ormai l’Italia sia lo show-business della politica. Non più insomma un circo mediatico condito da “Talpe 3, Pen-isole dei famosi 4 e Grandi Fratelli 20”, ma vedendo il Paese proprio come “Cafonal”:
“Il cafonal è l’esibizionismo pacchiano, che travolge tutti. Perché tutti vogliono comunicare agli altri chi vorrebbero essere, tentando di far dimenticare chi sono veramente”…
Come la “nazione” italiana.
Di Bomboi Adriano.
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