Volkswagen in Sardegna, il riccio di Alghero e Michela Murgia: Riflessioni di politica commerciale
Alghero è la “città del riccio del mare d’Italia”. Almeno così ci informa l’Unione Sarda del 5-11-2010.
Il marchio sarebbe già stato depositato presso l’ufficio marchi e brevetti del Ministero per lo Sviluppo Economico.
Pensate, mentre uno dei maggiori marchi automobilistici mondiali presenta un suo modello in Sardegna con pubblicità in lingua Sarda: vedi flyer Volkswagen (JPG), gli stessi Sardi si danno la zappa sui piedi nella promozione dei nostri prodotti.
Non è una novità che le grandi firme industriali facciano pubblicità nella lingua del paese che dovrebbe acquisire il prodotto. Per questo non è chiara l’osservazione della scrittrice Sarda Michela Murgia che, il 15-11-10 dalle righe del forum di IRS, ha dichiarato:
“Se fossi uno studioso di comunicazione di mercato ne trarrei questa conclusione: in Sardegna le persone sensibili al discorso identitario sono un target facilmente raggiungibile attraverso l’associazione tra un qualsivoglia prodotto e i simboli in cui tendono a riconoscersi.
Tradotto: i sardi che non si possono comprare con i sistemi tradizionali si possono comprare con la rappresentazione artefatta di sè stessi.”
Per Michela Murgia quindi la lingua Sarda in cui una parte del Popolo Sardo si riconosce parrebbe solo una rappresentazione artificiosa del proprio essere e non una lingua da rispettare tale e quale alle altre nel sentire quotidiano di una popolazione. Italiano che, nella fattispecie, rappresenterebbe il canale veicolare “tradizionale”.
Ma in verità il fatto che i Sardi non abbiano ancora adottato una lingua omogenea per l’isola c’entra ben poco. La Volkswagen ha solamente usato il Sardo diffuso presso l’area demograficamente più abitata della Sardegna (il Campidanese).
Se ribaltassimo lo stesso discorso con altri casi, allora dovremmo spiegare che tutte le più grandi multinazionali che vendono i loro prodotti nella lingua del mercato di destinazione sono “rappresentazioni artificiose”. Quindi Renault non dovrebbe più fare pubblicità su Mediaset in italiano ma in francese per non trattare come aborigeni gli italiani; la Toyota dovrebbe vendere auto in USA parlando in giapponese e la Pepsi dovrebbe fare pubblicità in (inglese) americano nei paesi arabi.
Ovviamente non c’è nessuna artificiosità, quanto l’unico e semplice obiettivo di comunicare ad una popolazione con la sua lingua per presentare meglio un dato prodotto.
Nel caso Volkswagen pertanto l’editore (cagliaritano) che ha ospitato la pubblicità e la densità di popolazione di quel bacino di utenza rispecchiano in pieno la logica.
Talvolta si realizzano pubblicità in francese, inglese ed altre lingue diverse dal paese di destinazione del prodotto (gli stessi profumi francesi lo fanno spesso), è anch’essa una funzione di marketing. Ma talvolta, più banalmente, ciò corrisponde a semplici criteri di razionalizzazione dell’investimento pubblicitario da parte del committente. Ad esempio, per marchi come Yves Saint Laurent, potrebbe essere più semplice fare un solo spot in francese senza spendere ulteriore denaro per farne altri in altre lingue o doppiare lo stesso in lingue diverse, parandosi dietro l’appeal dell’idioma francese. Oppure al solito spot annuale si aggiunge semplicemente una frase finale nella lingua del Paese di destinazione.
Oppure ancora si utilizza l’inglese, come emblema di internazionalità.
Allo stesso modo, se avessimo un “Made in Sardinia”, al posto dello sciagurato “Made in Italy”, dovremmo fare pubblicità ai nostri prodotti nella lingua (o lingue) del mercato in cui si rivolgeranno, oppure anche in Sardo.
A questo proposito torniamo sul “riccio del mare d’Italia” algherese. In questo caso non vi è solo un deprezzamento del prodotto Sardo a livello comunicativo che viene disperso a favore del “Made in Italy”, peggio! C’è anche un disvalore aggiunto che fa perdere all’industria algherese del riccio (e più in generale a quella Sarda) la necessaria separazione promozionale delle produzioni Sarde da quelle del resto d’Italia.
Per farvi capire meglio, prendiamo un caso di attualità come quello che vede subordinati diversi pastori ai drammi di mercato del pecorino romano: La maggiorparte della nostra produzione non si è incentrata né per qualità e né per quantità sulla promozione di un marchio, di un nome o di un prodotto locale, ma sui grandi numeri si è sempre avvantaggiato un terzo territorio ed una terza industria di trasformazione. Mai la nostra con convinzione.
Nel mondo si conosce il pecorino romano (italiano) ma veramente pochi saprebbero indicare a livello internazionale la posizione della Sardegna in una cartina geografica. Eppure siamo il serbatoio principale di quel “brand”, ammesso e non concesso che possa considerarsi tale.
Grana Padano e Parmigiano Reggiano: questi sono brand promossi, riconosciuti e con una chiara appartenenza territoriale.
I nostri prodotti e la nostra fatica hanno sempre finito per avvantaggiare terzi territori, danneggiando la promozione del nostro.
E’ successo ieri col pecorino romano, succede oggi – in altra misura – col neonato marchio di Alghero “città del riccio del mare d’Italia”; che invece avrebbe dovuto chiamarsi “del mare di Sardegna”; “de Sardigna” o “Sardinia”.
Questa miope ed irresponsabile politica commerciale non avvantaggia la Sardegna e le nostre produzioni, ma continua a consegnare prestigio, immagine e qualità (talvolta anche quantità) in un calderone, quale quello del “Made in Italy”, che spesso non solo non combacia con i nostri interessi economici, ma ne risulta antitetico.
Non a caso spesso la prima concorrenza alle nostre produzioni non arriva dall’estero ma dal mercato italiano stesso.
Anche questo limite culturale sul piano promozionale è un retaggio della mancata visione natzionale della Sardegna.
Il nostro territorio, in ragione dell’assenza di una difesa della nostra identità e delle nostre produzioni, non viene inquadrato come lo start-up di un brand da difendere. Così facendo, non saremo mai protagonisti ma solo periferia. Ed essere periferia significa inevitabilmente non avere la capacità di promuovere con dignità il nostro valore aggiunto sul mercato.
E quando parliamo di mercato non intendiamo solo quello italiano, ma quello internazionale.
I nostri vini ed il nostro olio vengono venduti negli USA ed in Giappone, ma negli stand siamo quasi sempre subordinati a quelli più forti del mercato italiano. I nostri prodotti passano spesso in secondo piano, pur non avendo qualitativamente nulla da invidiare agli altri.
Da anni riteniamo che l’indipendentismo debba promuovere un “Made in Sardinia” e debba avere una stabile rappresentanza presso l’Unione Europea, a partire dal famigerato collegio unico a Bruxelles in cui da anni perdiamo peso rispetto alla Sicilia, che quindi, assieme ad altri territori del nord’Italia, mette in ombra il nostro valore ed il nostro tessuto produttivo.
Per non parlare del silenzio attorno al nostro patrimonio culturale ed archeologico…
Abbiamo già affrontato i temi della promozione della Sardegna in diverse occasioni, nell’ultimo anno anche con il regista pubblicitario Mario Giua Marassi: vedere intervista. Autore dello spot istituzionale della Sardegna per il mercato orientale (in lingua inglese): vedere spot.
C’è molto su cui lavorare.
Grazie per l’attenzione.
Di Floris Maurizio e B. Adriano.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi
Una imbecillità totale non si trasforma in cosa passabilmente intelligente solo perché a scriverla è una maitre à penser del neo indipendentismo a marchio Campiello. Questa signora non è, come finge di mostrarsi, indifferente alla lingua nazionale dei sardi: ne è una acerrima nemica. Una poveraccia, in definitiva: il sardo ha resistito a ben altri attacchi.
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Sentite le boiate che dice l’indipendentista sarda contro la Lega. C’è da chiedersi ma ci è o ci fa? Un condensato di demagogia unionista così è difficile sentirlo anche dal peggior dei pattriotardi italioti.
L’indipendentista che non riconosce le ragioni dell’indipendentismo altrui.
http://www.youtube.com/watch?v=mweMbX3cPmQ
…e ite cherides faghere,…
como est su mamentu de gloria sou…
li paret chi potat narrer onnia machine,…
e pessat chi sos ateros lu leent po cosa ‘e giudu…
b’at dzente chi non si ‘endet e non bendet nudda a perunu pretziu,…
e b’est chie si ‘endet po nudda,…
e si la lassant,bendet finas su chi no est su sou…
e po contu ‘ostru,…
custa est una de leare in cussideru ???
Podet andare e bistare solu cun sos chi abitat,…
finas a cando non la imbelant e che la mandant a si fagher, o a co…rer toncas…
Semus carre de bangulieri, a istraccu barattu. Su ch’est nostru non b’alet a nudda mancari siat d’oro e su de sos ateros balet meda mancari siat de ferru ruinzadu. Gai sun tzertos e/o tzertas sardas. Biden sa patata de su lacanarzu prus madura de sa de s’ortu suo, mancari non siat beru. Ait resone su biadu de Tzitzitu Masala: ” Pinta sa linna e batila in sardinna”, mancari sutta sa tinta, naro jeo, b’apat prudicore.
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[...] potrebbe uniformare un brand unico per l’isola distinto dal Made in Italy (vedere anche “Riflessioni di politica commerciale”, Sa Natzione, 17-11-10). Bisognerebbe inoltre rivedere i criteri di finanziamento ai numerosi circoli [...]