Ma cos’è la libertà d’informazione per la Sardegna?

“La libertà che io cerco è quella di apprendere, di parlare e di discutere, liberamente e secondo coscienza: questa, più di tutte le altre libertà”.

John Milton (Londra, 1608 – 1674).

Buone Feste e Benvenuti su U.R.N. Sardinnya,

Quando si pensa alla libertà d’informazione, la mente corre dritta al bombardamento mediatico italiano che vede contrapposta la destra alla sinistra italiana.
Da sinistra si accusa il Governo Berlusconi di controllare una discreta dose dell’informazione italiana, da destra idem, con le relative accuse di faziosità note a tutti.

Chi ha ragione?
Probabilmente, una TV e della carta stampata che prediligono il gossip ai diversi problemi del “Paese”, tanto quanto si occupano delle vicende Berlusconiane, ci da una misura del torto marcio in cui sono precipitati i media con i quali, volenti o nolenti, noi Sardi siamo quotidianamente a contatto.
C’è chi, chiaramente, propenderà per una parte o per l’altra, ma non è questo il punto.
Infatti i problemi in Sardegna non mancano, e siamo sicuri che questi abbiano adeguato spazio nei canali informativi?
E siamo sicuri che i nostri rappresentanti politici non siano a loro volta inseriti in dinamiche completamente avulse dalla reali esigenze del territorio?

I media italiani ci stanno ricordando che la Sardegna ha il 44% di disoccupazione?
I media italiani stanno rappresentando la cultura, la lingua e le necessità che noi, sottoposti a canone radiotelevisivo, meritiamo?
E la carta stampata?

Francamente siamo poco interessati alle avventure erotiche del Presidente del Consiglio, così come siamo poco interessati se a raccontarci le bufale sarà Bersani, Di Pietro, Vendola o l’ennesimo leader del centro-sinistra. E perché mai la politica Sarda oggi dalla stampa si costerna per l’arrivo del boss Iovine nel carcere Nuorese di Badu ‘e Carros? Nel Consiglio Regionale hanno persino votato contro la simbolica ma politicamente rilevante mozione sull’indipendenza. Siano coerenti: se vogliono la bicicletta italica, pedalino.
Da Saviano vorremmo sentirci dire dell’enorme patrimonio archeologico Sardo a rischio; vorremmo poter parlare di SARAS, industria petrolchimica che fattura milioni di euro sulle spalle dei Sardi con accise miliardarie tutt’altro che pagate. Vorremmo poter parlare delle industrie che vengono a rapinare, inquinare per poi lasciare il territorio alla fame. Vorremmo sentire qualcosa sui miliardi di euro con cui lo Stato Italiano è in debito con la Sardegna per l’inattuazione dell’articolo 8 dello Statuto Speciale in materia di Entrate. Vorremmo parlare delle mancate infrastrutture della Sardegna con i fondi FAS scippati a favore di altre regioni (politicamente più robuste). Vorremmo parlare della palese assenza della Sardegna dal contesto UE.
Potremmo continuare per ore, ma in sintesi, vorremmo poter parlare del fatto che la Sardegna ha esigenze economiche e culturali spesso difformi da quelle di altri territori della Repubblica Italiana.

In altre minoranze internazionali, allorquando ci sono PRIORITA’ a cui dare attenzione rispetto al pattume proveniente dai canali informativi dello Stato centrale, gli organi territoriali dell’informazione si muovono ed espongono i problemi reali.
In Sardegna ad oggi non esiste alcun gruppo editoriale che faccia questo tipo di lavoro ponendo con costanza – in primo piano – le caratteristiche territoriali rispetto a quelle (spesso virtuali e propagandistiche) dello Stato centrale.
La maggiorparte dell’informazione è attratta dal solito teatrino politico del botta e risposta perpetuo; non ci sono riforme strutturali; le promesse si sprecano; il gossip allieta i nostri pomeriggi ed il calcio dorato le nostre serate.
In Catalogna i cittadini hanno una relativa possibilità di farsi un’opinione, lo stesso dicasi in Scozia, in Irlanda, a Taiwan, nel Québéc, etc. Ma la nostra isola rimane in balia di forze che determinano la Pubblica Opinione, costruiscono consensi e portano il cittadino a maturare NON un pensiero critico e la possibilità di ragionare sul proprio territorio, ma creano una realtà piatta sugli interessi di terzi, schierandosi (quasi fosse una tifoseria) ora con questo, ora con quel partito romano.
Ci torna vagamente alla memoria il drammatico “divide et impera” britannico durante il colonialismo a danno dell’India, quando l’informazione portava gli indiani a tifare per questo o quello schieramento che, da Londra, a migliaia di chilometri di distanza, faceva il bello ed il cattivo tempo sulle loro spalle.

In un Paese normale saremmo anche noi a favore della logica dell’alternanza bipolare, possibilmente bipartitica, al fine di garantire stabilità di Governo e quindi una maggiore credibilità amministrativa.
In Sardegna questo non è possibile, perché questo bipolarismo è il primo anestetico che, attraverso una pessima comunicazione ed una superficiale informazione, distrae il cittadino dalle reali vertenze che lo riguardano in prima persona.
Non è compito nostro quello di dare un’interpretazione etica alla libertà d’informazione, ma possiamo certamente dirvi che cosa è falsa libertà: quella di sedurre, di omettere e di distrarre dalle notizie che riguardano la vita civile di un cittadino.
Ed in coscienza, non possiamo affermare che oggi i Sardi siano consapevoli della necessità di esercitare il loro diritto ad essere informati con serietà: la stessa serietà che in ogni vera democrazia non può mancare.

A ciò dobbiamo aggiungere una classe politica locale inerte e dedita ad alimentare questa fuorviante informazione, gli stessi leader Sardi oggi sono più preoccupati a parlare di Fini, Berlusconi o Vendola che non del buco della sanità Sarda (denunciato da Sardisti e Riformatori) e/o dei sudetti problemi.
Ancora meno sono interessati a dare risalto alla proposta dei Rossomori sulla riduzione degli stipendi agli Onorevoli.
Veramente pochi sono altresì interessati all’assenza di diritti dei cittadini che parlano in Lingua Sarda, nonostante esista una precisa normativa di riconoscimento in materia e la RAI sia tutt’altro che interessata a risolvere il problema.
La servitù dei nostri media a quel circo chiamato Italia si manifesta persino in momenti in cui gruppi editoriali come quello di Videolina si battono contro una disposizione centralista che sposterebbe il loro canale oltre i primi 10 tasti del telecomando.
Perché parlare di servitù? Perché non qualificando la Sardegna come entità realmente autonoma, non si sono posti il problema che in altre minoranze internazionali hanno già tentato di affrontare: ovvero quello di spostare i canali territoriali in cima al telecomando, quindi ai primi posti. Ovviamente potenziandone i finanziamenti per il miglioramento dei programmi e della qualità audiovisiva offerta agli ascoltatori. Ma anche liberalizzando seriamente il mercato pubblicitario.
A condizioni attuali, nella nostra terra neppure un Wikileaks potrebbe scuotere le coscienze, servirà una seria politica territoriale. Una politica tutta ancora da discutere e costruire.

Pensate, in Canada, non solo si è alimentata una politica che punta a rappresentare i bisogni economici dei territori, ma si è giunti alla proposta di scindere i sistemi radiotelevisivi, pur nel quadro della stessa confederazione.
Il Bloc Québécois, a seguito del riconoscimento di Nazione del Québéc nel 2006, ha avviato una proposta di riassetto del sistema complessivo della comunicazione.
Nel Bill C-540 il movimento ha proposto di creare un’autorità delle radiotelecomunicazioni territoriale in antitesi all’autorità per le telecomunicazioni di Ottawa. In seguito il tema è stato riproposto mediante il Bill C-444 del 2009 al fine di creare anche un’emittente pubblica del Québéc (sistema CQRT). Il progetto affianca gli obiettivi della normativa linguistica 101 di cui vi abbiamo già parlato.
Il sistema CQRT non sarebbe altro che un’agenzia delle telecomunicazioni indipendente dallo stesso governo del Québéc, che avrebbe regole autonome concernenti l’esclusiva possibilità di rappresentare gli interessi e le preoccupazioni della Nazione (francofona).
Si tratta di una proposta di legge rivoluzionaria, che accompagna il sistema pubblico/privato nel quadro di una serie di accordi amministrativi tra il governo federale e quello territoriale.
L’obiettivo ovviamente è tanto quello di informare correttamente i cittadini, quanto quello di non imbrigliare la libertà editoriale, che comunque non viene intaccata neppure sul settore pubblico.
In quest’ottica si riscontrano analogie con quanto già prospettato in Catalogna dalla federazione politica del CiU (vincitrice alle ultime elezioni) e che presuppone un’adattamento della libertà di espressione al rispetto dei diritti (bi)linguistici, culturali ed economici del territorio rispetto a quelli centrali (doppiaggi, sottotitolazione, finanziamento della cultura, etc).

Grazie per l’attenzione.

Di Melis R. e B. Adriano.

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