Italia 1861 – 2011: Danni, vivi e morti della storia di Sardegna

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Prima di occuparci dei caduti, dovremmo osservare sotto quali auspici si apre il 150° anniversario dell’unità d’Italia per i vivi…
Vi racconteremo un curioso aneddoto accaduto presso l’istituto tecnico-commerciale “Chironi” di Nuoro che ci è stato segnalato.
Come noto, sopravvive ancora, tra molte difficoltà, una generazione di docenti-pedagoghi che della formazione dell’individuo ne ha fatto una missione professionale di cui non scordarsi mai. Tra costoro, un insegnante di lettere ha posto ai suoi alunni un tema dal titolo: “l’amicizia”. Argomento tutt’altro che banale se consideriamo quanto esso sia stato trattato da eminenti personaggi come Aristotele nella sua “Etica Nicomachea”, passando per Cicerone fino a Ralph Waldo Emerson, Georges Bataille, etc.
Lo scopo? Non solo quello di individuare eventuali lacune dello studente su cui orientare l’attenzione ma anche quello di conoscere meglio le sensazioni della nuova generazione e se, eventualmente, il singolo studente possa avere problematiche nello studio connesse alla propria vita privata.
E sapete che ha scritto uno di questi studenti in un tema? Che “avere un amico e fargli un determinato favore potrebbe contribuire ad ottenere in cambio un posto di lavoro”. Nel virgolettato vi abbiamo sintetizzato il pensiero, di per se innocuo e alquanto “popolare”, ma che rappresenta la spia di un retroterra “culturale”, se così si può chiamare, dietro il quale si annida il morbo della conservazione sociale. Lo stesso che abitualmente chiamiamo assistenzialismo e clientelismo, due malanni che in genere derivano dalla stessa politica.
Per un giovanotto al quarto anno di studi è dunque perfettamente normale e lecito che il lavoro “non si ottenga per particolari meriti e/o competenze ma poiché si è fatto un favore a qualcuno”.
Non la pensavano così ovviamente i collaboratori dell’avv. Salvatore Cadeddu (ligi alla giustizia sociale), quando nel 1812, presso l’attuale orto botanico di Palabanda (Cagliari), realizzarono una congiura per sottrarre il potere a dei subordinati della Corona, il cui re, Vittorio Emanuele I, al periodo taglieggiava le finanze del Popolo Sardo per mantenere la Corte durante il periodo di dominazione francese del Piemonte.
I congiurati furono diversi, tra cui esponenti del clero locale, uomini di legge, alcuni soldati, commercianti, artigiani, ecc.
Il complotto venne scoperto ed i principali animatori, come Cadeddu, Putzolu e Sorgia, furono arrestati e giustiziati ad opera del colonnello di Villamarina. Seguiranno altri arresti e sevizie da parte dei funzionari regi.
Brutali vendette seguirono anche prima, come al termine dei moti rivoluzionari a cavallo tra ’700 ed ’800, quando la battaglia antifeudale capitanata da Giovanni Maria Angioy si concluderà con l’esilio del suo più noto protagonista a Parigi e la liquidazione fisica (e l’arresto nel migliore dei casi) per tutti quelli che collaborarono alla sollevazione popolare contro gli ordini imposti dalla monarchia sabauda al Popolo Sardo.
L’Angioy fu verosimilmente salvato dalla sua rete di collaborazioni internazionali che, da una Corte all’altra, e dalla diplomazia alla fuga, segnarono il suo destino. E forse influirono non poco anche le note fatte pervenire dall’Angioy al ministro francese Talleyrand, in cui l’Angioy segnalò le iniquità dei piemontesi ed in cui il celebre politico transalpino riconobbe in esso il leader più autorevole della rivoluzione Sarda, nonché l’unico munito delle qualità per attuarla. Previo adeguato supporto militare (che non ci fu comunque). Fonti: Dionigi Scano – La vita e i tempi di G. Angioy (1946, Ed. Della Torre) – Archivio Ministero degli Esteri, Parigi, vol. 281, n. 33.
Ricordiamoci, in questa rivoluzione, di personaggi come il notaio cagliaritano Francesco Cilocco, anti-piemontese e capitano di un’armata di migliaia di uomini che, assieme al patriota Gioacchino Mundula, assediò Sassari il 27 dicembre 1795 per arrestare tutti i feudatari. I ricercati fuggirono ed in seguito si vendicheranno con una feroce repressione guidata dai fratelli del Re Carlo Emanuele IV di Savoia. Cilocco verrà torturato con corda (la pratica poteva spezzare le ossa), tenaglie infuocate (per strappare capezzoli, unghie e carne) e fustigazione (a doppia suola intessuta di piombo per strappare la pelle). Infine impiccato, decapitato da morto, il cadavere bruciato e le ceneri sparse al vento. Correva il 1802. Quando lo si leggerà nei libri di storia scolastici sulla formazione della “nazione italiana”? Si tratta solo di alcuni celebri esempi.

Pensiamo inoltre ai danni incalcolabili al commercio ed al patrimonio territoriale Sardo operato dai Savoia contro l’isola. Come la spoliazione sistematica del nostro patrimonio minieristico e boschivo: dopo l’unità italiana infatti, come ci ricordò un intellettuale del calibro di Eliseo Spiga, tra il 1863 ed il 1910 lo Stato Italiano autorizzò il taglio e la cessione completa di ben 586.000 ettari di terre alberate, circa un quarto dell’intera superficie della Sardegna, città comprese.
Per non parlare dei danni al sistema faunistico, pensiamo al sistematico massacro dei cervi Sardi e di altre specie dell’isola che un tempo proliferavano nel nostro ecosistema.
Ma se non ci sono bastati i caduti in tutte le principali guerre organizzate dalle autorità che hanno governato il Regno di Sardegna (prima) ed il Regno d’Italia (dopo), possiamo affermare senza alcun timore quanto l’ultima “guerra d’indipendenza italiana”, eufemisticamente parlando, sia stata compiuta anche col sangue di Sardi che venivano mandati avanti in prima linea a morire, al posto di Carabinieri che, con tanto di baionetta, si premunivano di infilzare i Sardi che non avessero fatto loro da scudo nell’avanzata contro il “nemico”. Un nemico che quindi si trovava persino alle spalle…

In epoca repubblicana ci sarebbe da chiedersi se abbia avuto un senso la morte, tra i vari, dell’alpino Luca Sanna, originario di Samugheo (OR), alla cui famiglia va il nostro cordoglio. Perito in Afghanistan per servire uno Stato che è tutt’ora in debito con la Regione per oltre 5 miliardi di euro (a causa della vertenza entrate) e di un’altra serie di inadempienze finanziarie ed infrastrutturali a danno dell’isola (pensiamo ai ritardi della metanizzazione e dell’ingombrante monopolio ENEL in campo elettrico, o la mancata 4 corsie Olbia-Sassari).
Pensiamo all’assenza delle accise miliardarie sui prodotti energetici (derivanti dalle tasse di industrie per la raffinazione del petrolio come la SARAS), o pensiamo all’inquinamento presente a vario titolo sul nostro territorio. Come quello maturato attorno al poligono militare di Quirra (e ve lo diciamo pur non essendo affatto anti-militaristi); pensiamo alle truffe e le mancate bonifiche di varie aree industriali o naturali (vedere Furtei o l’ex G8 a La Maddalena), e come il versamento in mare di migliaia di litri di idrocarburi nei pressi di Porto Torres (SS), ecc.
Tra tassi di disoccupazione elevatissimi ed un sistema industriale in crisi; assenza dalle istituzioni UE, e con tassi di formazione dei nostri studenti tra i più bassi d’Europa…in tutta onestà, non si capisce per quale motivo si debba gioire per l’anniversario di uno Stato che ha fallito in tutti i principali propositi di sviluppo e benessere che pochi utopisti avevano messo in conto. O forse questo conto è stato fatto pagare a noi.

Non possiamo commettere l’errore di leggere i sentimenti di rivalsa come un qualcosa che nasce unicamente in periodi di crisi, la storia di diverse minoranze internazionali suggerisce infatti il contrario.
Qui non si tratta di separatismo o non separatismo, si tratta di discutere sulle riforme da porre in essere.

Con queste considerazioni non intendiamo addossare al solo centralismo italiano le cause delle sperequazioni e dei crimini subiti dall’isola (come il vilipendio della Storia e della Lingua Sarda), ma certamente possiamo e dobbiamo ragionare sulla necessità di riformare le nostre istituzioni regionali per sviluppare una sovranità non più procrastinabile nel tempo. Lanciamo una provocazione: chi nega la nostra specificità, asserendo che non esista neppure una Questione Sarda, ricorda vagamente quella marginale mediocrità politica che sostiene l’inesistenza della mafia…
Se vogliamo risolvere un problema, lo dobbiamo affrontare.

Pensate, nella provincia autonoma del Trentino-Alto Adige, a Bolzano, anche l’assunzione nel corpo dei Carabinieri è subordinata alla conoscenza del bilinguismo. L’italiano non è sufficiente. Recitano infatti i bandi di concorso:

“VISTO – il decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n.752 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Trentino Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego);
VISTO – il decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n.574 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari);

Si necessita:

g) l’eventuale possesso dell’attestato di bilinguismo, previsto dall’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n.752, e successive modificazioni (“Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego”), la lingua (italiana o tedesca) nella quale intende sostenere la prova preliminare/selezione culturale”.

E in Sardegna? Senza razzismi di alcun tipo, riteniamo sia opportuno avere meno soggetti di altre regioni e più Sardi, capaci di offrire un servizio migliore ai cittadini, e quindi avere anche agenti non obbligati a lasciare la propria terra (come purtroppo succede oggi) per prestare servizio nella penisola.
Ricordiamo che il Sardo è riconosciuto dallo Stato come Lingua da una precisa normativa, tra cui la 482 del 1999, che va ad attuare il riconoscimento delle minoranze linguistiche storiche che la Costituzione italiana contempla all’art. 6.
E’ inoltre riconosciuta dalla legge regionale n. 26/1997.

Grazie per l’attenzione.

Di Bomboi A. e Floris M.

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