Zero storia Sarda? Zero formazione e quindi zero sviluppo dell’industria turistica ed editoriale
“Fu detto da lungo tempo e ragionevolmente che l’intelligente istruzione della gioventù nasconde tutto l’avvenire di un Popolo”.
Giovanni Battista Tuveri – Corriere di Sardegna, 07 novembre 1871.
Andiamo dritti al punto: la Sardegna è uno dei pochi territori dell’occidente che non studia il proprio passato.
Generalmente, ma non solo, tutti i territori (siano essi autonomie, repubbliche o parti di uno Stato centrale più vasto) che al loro interno contengono le vestigia di civiltà antiche, ne riportano in qualche misura notizia nei manuali scolastici dei giovani che studiano presso i loro sistemi dell’istruzione pubblica e privata.
Che significa esattamente?
Che la conoscenza della comunità in cui si vive non riguarda esclusivamente una sfera identitaria, storica, culturale ed altro, ma riguarda anche il potenziale economico di un territorio.
Questo perché chi ha coscienza del proprio patrimonio storico, può altresì organizzare l’attività imprenditoriale in conformità ad esso, dando dunque alla sua impresa quel valore aggiunto per il quale il turista sceglierà il suo territorio piuttosto che un’altro.
Quando esistono reperti archeologici, si organizzano visite guidate, si aprono attività ricettive nei loro pressi (ristoranti, alberghi), si sviluppa un indotto che parte dal settore primario (partendo dall’ambito gastronomico) e che si evolve su diversi piani economici. Pensiamo ad esempio alla realizzazione di manufatti, artigianato, gadgets, etc.
A ciò si aggiungano convegni, produzioni audiovisive (promozionali e non), materiale informativo ed ovviamente libri. Libri per i turisti ma anche per gli studenti. Gli editori Sardi dunque nel nostro caso non sarebbero relegati solo a stampare per quel circuito di appassionati e grande distribuzione commerciale ma potrebbero incrementare i loro utili con la fornitura di manuali scolastici su ogni ordine e grado della Pubblica Istruzione (e privata).
Ma proseguiamo con ordine:
Nel nostro caso, la maggiorparte del turismo è richiamata dalla bellezza delle nostre coste e del nostro mare. Ma solo una minoranza conosce il resto.
Quali sono i motivi?
Sono di 3 ordini: istituzionale, politico ed accademico.
Il primo è quello per il quale i Beni Culturali della Regione non sono amministrati da essa ma dallo Stato centrale. Ergo, volente o nolente, Roma non avrà mai la completa disponibilità ed attenzione (visto l’ingente patrimonio statale a cui deve dedicarsi) a sovvenzionare e monitorare i problemi dei nostri beni (pensiamo, tra i vari, a quelli architettonici e/o della civiltà nuragica e giudicale). Ancora meno pertanto approfondirà alcuni contenuti storici, tra cui gli studi sulla non improbabile esistenza di una scrittura antica endemica all’isola e quelli sui cosiddetti “popoli del mare” (Shardana). Per citare qualche esempio.
Ciò ci dice inoltre quanto l’Autonomia Sarda sia in realtà presente più nelle chiacchiere e nelle fantasie di molti politici piuttosto che nei fatti concreti.
Ma non ci sentiamo di attribuire le colpe esclusivamente ai politici, perché molti di essi, a loro volta, non hanno mai studiato le ricchezze del nostro territorio e pertanto non hanno idea di cosa e come debba essere valorizzato, tutelato e promosso.
Il secondo problema è tuttavia proprio quello politico. In questo caso le responsabilità della mancata tutela ed attenzione verso la storia Sarda non la diamo, appunto, a chi non ha valida conoscenza del territorio ma a quelle forze politiche (tra cui il sardismo) che, nonostante siano ben consce della propria natura territoriale, nascondono nell’ordinaria amministrazione tali necessità, ignorando di fatto il problema. A questo proposito: a che serve infatti che si tuteli solo il patrimonio nuragico ma che zero informazioni di esso arrivi nelle nostre scuole?
L’incredibile paradosso ad esempio è che, non il PSD’AZ, ma i Riformatori Sardi oggi rappresentano l’unico movimento politico che ha dedicato attenzione alla salvaguardia ed alla promozione del nostro patrimonio (malgrado l’intento non si sia ancora tramutato in una vera e propria legge capace di superare quel limite istituzionale di cui vi abbiamo parlato). Pensate se, ad esempio, gli Egizi non avessero studiato la loro antica civiltà ma solo il periodo dell’invasione alessandrina e romanica e/o si fossero concentrati solo nella promozione turistica di rinomate località marittime (come sul Mar Rosso). Che contributo avrebbero dato alla cultura mondiale ed alla loro stessa economia?
Nessuno dei nostri movimenti politici territoriali tuttavia si è mai occupato di risolvere con chiarezza l’aspetto più grave, che è l’assenza della storia Sarda dalle scuole.
Se diamo per scontato che l’istruzione sia uno dei cardini entro i quali si forgia il Popolo del domani, come possiamo pretendere che i nostri giovani investano sulle qualità di un territorio che non conoscono e che sottostimano?
Alcuni problemi possono essere superati revisionando l’attuale Statuto Speciale Sardo ed esigendo che la storia del territorio divenga non facoltativa ma obbligatoria su ogni ordine e grado dell’istruzione regionale.
Eppure, c’è forse bisogno di riformare lo Statuto per capire che destinare alla promozione internazionale dell’isola una quota annuale del PIL regionale è un’operazione che si dovrebbe considerare ovvia?
Arriviamo quindi al terzo ordine dei problemi, quello accademico.
Esso rappresenta l’apice della spirale in cui si alimenta la conservazione di questi ritardi, passando sotto il profilo istituzionale e politico.
Il mondo accademico Sardo non studia a dovere il nostro passato per diversi motivi. Ne elencheremo in breve alcuni:
1) Perché lo Stato, come suddetto, amministrando direttamente i Beni Culturali, non dedica sufficiente attenzione e finanziamento all’approfondimento storiografico.
2) Perché in alcuni studiosi esiste una presunzione ideologica, magari derivante dal mito risorgimentale dell’unità italiana, per la quale non si studia a sufficienza il territorio e/o costoro entrano in diretta avversione di terzi colleghi propensi a farlo.
3) Perché il mondo accademico internazionale non è, per riflesso, spinto ad investire sul nostro territorio con maggiore premura.
4) Perché in Italia non esiste federalismo politico reale, e quindi non di rado esistono anche docenti e studiosi provenienti da altre regioni dello Stato Italiano che nulla sanno della Sardegna e che, pertanto, visto il limite politico ed istituzionale, non sono incentivati ad addentrarsi su questo sentiero. Come se un tedesco venisse mandato ad insegnare in Francia. Questo si verifica perché l’Italia non è una nazione realmente omogenea come diverse altre del contesto internazionale ma è formata da culture differenti unificate in passato dalla monarchia sabauda.
Si giunge infine ad un dilemma tutt’altro che semplice: quale storia Sarda dovrebbe finire sui manuali scolastici? Quale scuola di pensiero? Che cosa scrivere dall’antichità ad oggi?
A dispetto di ciò che richiedono le buone maniere, vi risponderemo con un’altro quesito:
Il fatto che esistano diverse scuole di pensiero, giustifica l’assenza dello studio della storia di un territorio da parte del suo tessuto sociale?
Non ci sono dubbi sul fatto che la politica dovrebbe ragionare sulla necessità di operare – quantomeno sull’ambito della scuola primaria – al fine di inserire manuali che diano informazioni orientative e descrittive sulle nozioni essenziali inerenti ciò che ad oggi è noto in merito di storia della Sardegna. All’ambito universitario ed accademico spetta il compito di approfondire, effettuare ricerche e, ove possibile, integrare con nuove scoperte quanto già consolidato.
Il primo passo quindi per la risoluzione di questa spirale spetta sempre e comunque alla politica. Si tratta dell’unico strumento possibile per riformare la struttura dei problemi inerenti l’approccio del nostro tessuto sociale al proprio passato.
Ma oggi abbiamo forti e compatti movimenti politici Sardi in grado di scuotere il torpore della partitocrazia italiana?
Di Bomboi Adriano.
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Non fa una piega, io vivo in Catalunya e vedo ogni giorno come la consapevolezza della propria storia, come la forza della propria cultura siano un motore incredibile che muove l’economia, in effetti sono la prima ad ammettere l’ignoranza sulla mia terra.
Anche se il fatto che nelle scuole, specialmente quelle di grado superiore dover il corpo docente è formato da un maggior numero d’insegnati, ve ne siano alcuni provenienti da altre culture, lo vedo di buon grado, aprirsi è arricchirsi, ed anche nell’eventualità di una Sardegna indipendente, credo che sia più che positivo un certo legame e una certa conoscenza dell’italia in generale, anche attraverso la conoscenza che gli stessi insegnanti provenienti da altre regioni possono apportarci.