Regno Unito annuncia 21 nuove zone franche, la Regione Sardegna ha l’art.12 e dorme

Il dicastero alle finanze del Regno Unito, nell’annunciare il suo bilancio per il 2011, lancia 21 nuove zone franche, ovvero località in cui verranno assicurati incentivi, defiscalizzazioni e persino agevolazioni sulle nuove tecnologie al fine di incentivare uno sviluppo sostenibile.

L’esempio segue quello di Margaret Thatcher, che nel 1980, istituendo la zona franca dei Royal Docks di Londra est, trasformò una zona desolata in una piccola potenza internazionale.
In Francia, la stessa misura dal 1997 al 2001 ha permesso di raddoppiare il numero delle imprese e triplicare quello degli occupati.

La misura della zona franca, presente in tutto il pianeta secondo diverse forme, ha infatti due caratteristiche essenziali: la prima riguarda ovviamente la capacità di attirare investimenti e creare occupazione, la seconda, conseguente alla prima, permette al territorio interessato dai nuovi investimenti (e quindi dalla nuova permanenza sociale) di incrementare il suo livello demografico. Si tratta pertanto di una misura destinata anche ad evitare lo spopolamento di un territorio onde riqualificarlo.
Osborne, cancelliere alle finanze del governo Cameron, ha inoltre annunciato il finanziamento di 21 nuovi istituti tecnici universitari al fine di arrivare a creare 50.000 posti di tirocinio in più, ma anche un cospicuo finanziamento per altri 4 nuovi centri di eccellenza scientifica. Londra investe nel futuro.

Riassumiamo le 3 linee essenziali descritte e paragoniamole al caso Sardegna:

1) Rilancio delle zone franche come misura (integrativa) al rilancio dell’economia britannica.
2) Possibilità di estensione demografica delle aree interessate del provvedimento (nonostante alcune siano ancora in fase di studio).
3) Finanziamento di nuovi 21 centri di eccellenza tecnica e 4 scientifici al fine di sviluppare formazione, innovazione e capacità operative da investire nel territorio.

In Sardegna abbiamo 3 ritardi:

1) Esistono politici Sardi che non conoscono neppure l’art.12 dello Statuto Autonomo della Regione, il quale prevede la possibilità di istituire dei punti franchi nel nostro territorio. In secondo luogo, a differenza del caso britannico, qui non solo non si “rilancia”, ma non si è neppure lanciato una volta in passato questo tipo di intervento economico e la discussione avviata da amministrazioni regionali di diverso orientamento politico sulla materia non è ancora giunta ad una conclusione.
2) In Sardegna non solo non si finanzia l’istruzione della popolazione (per via dei tagli effettuati sia dalla sinistra che dalla destra), ma si insegue un modello scolastico italiano che non valorizza il nostro territorio in quanto non istruisce i nostri studenti sulle caratteristiche dell’isola, né sul piano ambientale/storico/turistico, né quindi, più in generale, sui criteri della ricezione e della promozione territoriale. E chi non conosce il territorio, per logica conseguenza, è portato a dire “ma qui siamo poveracci, non abbiamo nulla”.
La legge sulla ricerca realizzata in passato, nell’isola non ha avuto l’obiettivo di raccogliere e formare i nostri ricercatori attorno ad un progetto di università Sarda, ma solo quello di regalare seggiole a questo o quell’inetto contiguo alla partitocrazia italiana.
3) Siamo ovviamente sottoposti alla giurisdizione italiana, la quale appone il veto a questa o quella zona in più che la nostra Regione candiderà a divenire zona franca, in relazione alle altre regioni con cui dovremo condividere la misura nel quadro dello Stato Italiano: un aspetto che dovrebbe essere valutato e specificato anche nella fase di riscrittura del prossimo Statuto Sardo, datosi che quello attuale viene disatteso. Fin’ora le autorità italiane sono state piuttosto solerti nel bloccare e depotenziare il livello delle esenzioni previste almeno per le uniche 3 stabilite in Sardegna e che erano state approvate dall’Unione Europea. Circostanza per cui l’UE dovrà vigilare su Roma. Ma in Europa chi ci difende se il nostro collegio di rappresentanza è stato accorpato a quello siciliano?

In sintesi, abbiamo politici Sardi dei partiti italiani poco preparati (chissà che una riforma dell’istruzione non possa servire anche a loro) rispetto ai movimenti autonomisti ed indipendentisti Sardi. Non abbiamo un livello di sovranità che ci consente di contrattare più zone franche con Roma rispetto alle misere 3 accordateci in passato, perché il governo italiano approfitta della nostra subordinazione depotenziando le misure precedentemente approvate dall’UE (pensiamo all’assenza di esenzioni fiscali, che invece sono il cuore delle zone franche urbane). Ed infine, come suddetto, non siamo in grado di sollecitare seriamente Bruxelles affinché Roma rispetti gli impegni assunti sulla materia. E dire che l’Italia stava studiando analoghe misure con la Libia per favorirvi l’approdo delle sue aziende. In Sardegna nel 1975 si oppose alla zona franca il PCI nuorese, definendola “trovata propagandistica”.

I movimenti Sardi, certamente numerosi, eletti e non eletti, si facciano sentire.

Di Corda M. e Bomboi A.

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Fonti:

Business Zone

The Telegraph

Construction Enquirer

Public Finance

UK Reuters

U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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    5 Commenti

    • Bene l’articolo per tenere vivo un argomento cardine di una visione indipendentista o anche autonomista vera.
      Sul tema c’è tanta non conoscenza per non usare ignoranza che a molti suona offesa.
      La possibilità di gestire la leva fiscale e regolamentare in alto o in basso è il cuore della sovranità e della possibilità di modulare le possibilità economiche secondo le necessità e in concorrenza con altre aree permettendo di abattere le diseconomie geografiche e strutturali. E’però pratica liberista cosa che fa accaponare la pelle a tanti in Sardegna di destra come di sinistra come indipendentisti duri e puri ma marxisteggianti ad orecchio. Il PSdAz ha abbandonato questo suo cavallo di battaglia per suggestioni cattocomuniste ed economiciste di basso profilo.
      Non è il caso di riaprire qui la querelle ricominciando da Adamo ed Eva e dai fondamentali della questione zona franca come è oggi e non 100 anni fa.
      Mi sembra però che nell’articolo che fa riferimento alle 3 zone franche approvate dalla UE per la Sardegna si faccia riferimento ale 3 zone franche urbane di Iglesias, Quartu e S.Elia-Cagliari miseramente naufragate assieme alle altre decine pensate dal Governo centrale per il mezzogiorno e qualche area nordista.
      Queste z.f. nulla c’entrano con l’art.12 dello statuto e con le vere zone franche industriali stabilite per Cagliari,Porto Torres, Olbia, PortoVesme, Oristano ed Arbatax dal noto decreto d’attuazione dello Statuto rimasto però lettera morta.
      Se ne può parlare..

    • Sì il riferimento era a quelle 3 per sottolineare la totale inutilità degli interventi statali rispetto invece a quelli britannici, mentre sul piano regionale, con riferimento all’art.12…si dorme appunto…

      Io mi domando a cosa ci servono 10 partiti Sardi…a livello teorico dovrebbero compensare l’assenza di argomenti da parte di quelli italiani….

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