‘Il sonno della Regione’: Storia e letteratura siciliana entrano a scuola, e in Sardegna?

“Siamo fieri della nostra cultura e delle nostre tradizioni. Per questo sono orgoglioso di questa legge che preserva il nostro immenso patrimonio storico e letterario e pone le premesse per renderlo parte integrante dei processi formativi delle nuove generazioni” (La Gazzetta del Sud, 19-05-11).

Parole chiarissime e degne di un politico territoriale. Chi le ha pronunciate?
Cappellacci? No, alcuni suoi colleghi ridacchiano quando si parla di sardità. Silvio Lai del PD? Neppure, alcuni suoi colleghi di partito han definito “nostalgica e tradizionalista” questa iniziativa. La sinistra di Massimo Zedda? Macché, occupata a sognare Vendola in Sardegna. L’IDV Sardo? Occupato a capire cosa farà quando finirà il berlusconismo. L’UDC? Non pervenuto, timori di “leghismo”. Giacomo Sanna o Paolo Maninchedda del PSD’AZ? Magari. Silenzio stampa sulla vicenda. Claudia Zuncheddu, ex rossomora? Ancora meno, full immersion nell’opposizione al centrodestra italiano. Gli altri indipendentisti? Troppo occupati a non farsi eleggere per pensarci.
Quelle parole le ha pronunciate Raffaele Lombardo, governatore della Regione Autonoma Siciliana, a commento della legge approvata lo scorso 18 maggio.

Nei fatti la Sicilia ha dimostrato di aver compreso 2 cose:

1) Storia e tradizioni sono il valore aggiunto di un territorio che consentono anche lo sviluppo turistico-economico determinato dalla valorizzazione del proprio patrimonio nel mondo e della propria attività imprenditoriale, unitariamente ai poli universitari.
2) Si formano pertanto le nuove generazioni alla comprensione delle dinamiche della propria realtà sociale, senza miti o imposizioni esterne. Una caratteristica in grado di fornire agli individui la capacità di uscire da uno stato di subordinazione culturale e sociale in cui viene marginalizzato il proprio territorio.

In Sardegna alcuni nuraghi vengono utilizzati come bagni pubblici, mentre i nostri giovani non hanno la più pallida idea di cosa fosse la civiltà Giudicale e non hanno la minima idea di chi fosse Carlo V e neppure Giovanni Maria Angioy. Dopotutto, persino quando si studia la rivoluzione francese, non la si pone mai in relazione con quanto accaduto in Sardegna a fine ’700. Una formazione lacunosa determinata dal centralismo didattico ministeriale in materia di Istruzione.
La classe politica regionale Sarda, di maggioranza e opposizione, è dunque palesemente inquinata dal centralismo culturale e politico italiano al punto da non avere i minimi strumenti cognitivi per rendersi conto del lassismo sul nostro valore aggiunto. Si tratta della stessa classe politica che ha affondato il progetto del Betile, un museo internazionale per la cultura nuragica da far conoscere al mondo. La medesima classe politica che permette i ritardi nel pagamento dello stipendio a Maria Grazia Porcu, addetta al sito archeologico di Su Tempiesu ad Orune (La Nuova, 09-05-11), ma anche la stessa classe politica che ha indotto il gruppo folk di Gavoi, rappresentato da Antonio Marchi, ad annunciare la propria assenza alla scorsa Cavalcata Sarda di Sassari, in quanto i costi economici non permettono più la prosecuzione di tali manifestazioni culturali: i costumi della tradizione e la loro manutenzione costano, così come gli strumenti musicali. Marchi ha affermato: “Il nostro gruppo, e tanti altri, non vengono finanziati da nessuno nonostante il consiglio regionale sia stato sollecitato a istituire un album dei gruppi tradizionali autentici, certificati da antropologi, storici, etnologi e studiosi delle tradizioni popolari, perché vengano riconosciuti come patrimonio culturale indisponibile della “Natzione Sarda” e così per gli strumenti musicali. Da alcuni anni in Sardegna si sprecano soldi per spettacoli che si possono definire osceni e si tagliano i fondi per la cultura. […] stanno penalizzando le manifestazioni tradizionali che poi sono quelle che ci fanno conoscere nel mondo” (La Nuova, 07-05-11).
Ed è la stessa classe politica ad ignorare l’ingente patrimonio letterario nostrano, anche in lingua Sarda, che continua a rimanere pressoché anonimo al circuito della Pubblica Istruzione.

Il testo della legge siciliana, presentata grazie al consigliere dell’MPA Nicola d’Agostino, oltre ad occuparsi della storia, include anche la letteratura e la lingua territoriale. Nei primi 2 articoli infatti recita:

Art. 1.
1. La Regione promuove la valorizzazione e l’insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole di ogni ordine e grado. 2. Al raggiungimento dell’obiettivo di cui al comma 1 sono destinati appositi moduli didattici, all’interno dei piani obbligatori di studio definiti dalla normativa nazionale, nell’ambito della quota regionale riservata dalla legge e nel rispetto dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche.
Art. 2.
1. L’assessore regionale per l’istruzione e la formazione professionale, con la collaborazione delle Università siciliane e dei Centri studi siciliani specializzati nella ricerca filologica e linguistica, con proprio decreto, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere della competente commissione legislativa dell’Assemblea regionale siciliana, stabilisce gli indirizzi di attuazione degli interventi didattici aventi ad oggetto la storia, la letteratura e il patrimonio linguistico siciliano, dall’età antica sino ad oggi, con particolare riferimento agli approfondimenti critici e ai confronti fra le varie epoche e civiltà, agli orientamenti storiografici più significativi, dall’Unità d’Italia fino alla fine del XX secolo ed all’evoluzione dell’Istituzione regionale anche attraverso lo studio dello Statuto della Regione.

La Sicilia insomma inizierà a spiegare ai propri giovani persino la realtà esistente dietro il mito risorgimentale, quell’unità d’Italia fatta di invasioni garibaldine, deportazioni e massacri, spacciata per guerra “patriottica” dal nazionalismo italiano culturalmente presente in vari testi storici.
Ma c’è anche un aspetto giuridico che emerge dal testo della legge: la Regione, per quanto “autonoma”, non ha il potere per imporre obbligatoriamente ed unilateralmente la propria storia nelle sue scuole. Si giunge dunque ad un problema analogo esistente anche in Sardegna e che dovrà essere trattato in fase di riscrittura del nostro Statuto Autonomo: l’insegnamento della storia territoriale dovrebbe essere obbligatorio e sistematico e non semplicemente integrativo e facoltativo rispetto ai moduli didattici ministeriali.

I partiti Sardi si facciano sentire, perché stavolta il “sonno della ragione” è diventato il “sonno della Regione”.

Di Corda M. e Bomboi A.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    5 Commenti

    • Utile sarebbe prima di affrontare le questioni andare a vedere le differenze fra gli Statuti Sardo e Siciliano. Infatti a differenza di quello sardo, lo Statuto speciale siciliano all’art. 14 prevede la LEGISLAZIONE ESCLUSIVA per..la scuola elementare, musei, biblioteche ed accademie.. In aggiunta, la competenza legislativa concorrente, cioè nel quadro delle competenze primarie dello Stato, prevede all’Art.17 che la Regione Sicilia …emana leggi.. riguardo ..all’istruzione media e universitaria. Come si vede è un abisso rispetto allo Statuto sardo che non prevede competenze esclusive nel campo della scuola e fumose possibilità concorrenti. Però dato che la lingua sarda è riconosciuta e tutelata dalla legge costituzionale 482 e dalla regionale 26 comprensiva delle alloglotte, come dalla Convenzione europea, che considera i sardi minoranza nazionale, la nostra situazione è diversa e senz’altro migliore..almeno sulla carta. Si tratta quindi di volontà politica e coraggio e determinazione che da noi mancano assieme agli stanziamenti adeguati. Ma se così si comportano i partiti italiani, peggio si comportano i cosiddetti neoindipendentisti che ignorano la questione o si dilettano di fare a pezzi le conquiste di generazioni sulla lingua arrivando a teorizzare anche due nazioni sarde. Anche il PSdAz che è al governo è inefficace e in questo campo non riscuote risultati dalla sua alleanza “programmatica”. La lingua sarda è fondamentale per una politica di autodecisione, per progettare uno Stato sardo e anche per progettare tappe intermedie come sarebbe quella di scrivere e lottare per un Nuovo Statuto di Autonomia nazionale sarda. Solo i contenuti di un nuovo Statuto o Costituzione o Carta de Logu della Sardegna può chiarire le volontà politiche e le differenze d’impostazione fra le varie forze politiche..e la lingua è la cartina di tornasole per ogni valutazione..intanto i nostri figli e nipoti vengono dissardizzati e portati a sventolare bandierine tricolori..

    • Per favore si può indicare la fonte del testo legislativo? Per essere ufficiale deve essere pubblicata nella Gazzetta… e in ogni caso, se il testo è questo fa ridere…non è niente di più della nostra legge 26/97. Il Piano Triennale della Regione Sarda è molto più avanzato, peccato che non sia finanziato. Cominciamo a smontare fanfare e tromboni: si parla di “patrimonio Linguistico” non di lingua. Quindi niente insegnamento della lingua veicolare e curricolare…ma solo filologia, glottologia e quant’altro- Per la gioia degli accdemici che prenderanno i soldi di Lombardo per spiegare ai siciliani che la loro lingua è un dialetto, anzi tanti dialetti. Vi ricorda qualcosa? In quanto alla storia e alla cultura, niente di nuovo. Tutto previsto anche dalla legge regionale sarda, ma sempre disatteso. Quante parole a vanvera…quanta approssimazione in Sardegna…mamma…A quando un po’ di competenza che supporti la giusta passione?

      Efisio Loni

    • la Sicilia introdurrà 2 ore di siciliano (nelle varianti locali) alla settimana
      e poi si vedrà, noi stiamo ancora a disquisire di limba sarda comuna o di insegnare le materie in sardo: stupidaggini! si potrà fare ma non prima di 20 anni! Giuanne

    • Giuanne sei recidivo e non leggi. Il solito masochista della lingua sarda

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