Tra oriente e occidente: La nuova politica estera della Turchia
Con l’attuale posizione di instabilità del mondo arabo e la ricerca globale di risorse energetiche nel Mediterraneo orientale, la strategia diplomatica turca di estensione della propria influenza politica ed economica continua la sua ascesa. Una strategia che determina tensioni e dure relazioni diplomatiche con Israele, in un progressivo deterioramento di quella che è stata per lungo tempo una solida alleanza regionalistica di interessi convergenti: da un lato quelli israeliani, tendenti a ricreare costantemente uno spazio di sopravvivenza in un area politica a maggioranza musulmana, variegatamente ostile alla tolleranza verso lo Stato ebraico. Dall’altro, la Turchia, fin dalla guerra fredda divisa dalla necessaria equidistanza dall’ex Patto di Varsavia e testa di ponte nella regione nel mitigare con le sue istituzioni laiche la presenza dell’integralismo islamico. Una condizione che ha portato Ankara a trovare con Tel Aviv una spontanea convergenza di interessi.
La “primavera araba” in corso in diversi Stati mediorientali ha condotto dunque Ankara a scollegarsi progressivamente da una linea filo-occidentale per accreditarsi maggiormente nell’opinione pubblica musulmana, soprattutto a seguito del crollo di Mubarak in Egitto. Il Cairo infatti rappresentava il primo alleato degli USA nella regione e il primo paese nel formalizzare una dimensione diplomatica regolare con Israele.
Sono diversi i punti di contrasto sorti tra Ankara e Tel Aviv nell’ultimo anno, a partire dall’assalto preventivo di Israele alla Freedom Flotilla (che portava aiuti alla popolazione civile) mentre questa tentava di forzare il blocco di Gaza imposto dallo Stato ebraico ai palestinesi di Hamas; fino alla contrarietà turca al partenariato dell’area greca di Cipro con Israele sul versante della ricerca di gas e petrolio. L’isola di Cipro risulta essere infatti uno dei nodi principali su cui si giocherà il futuro della Turchia. Se la parte greca aderisce dal 2004 all’Unione Europea e dal 2007 all’euro, la parte turca viene riconosciuta solo da Ankara, occupata con uno stato fantoccio proclamato nel 1975.
Il governo della parte greca, a sud dell’isola, ha dato il via alle operazioni di trivellamento marino, scortate tuttavia da mezzi militari turchi con la giustificazione della difesa dei siti di trivellazione di proprietà turca. Le trivellazioni risultano essere una provocazione per il primo ministro turco Erdogan, che insiste per un accordo internazionale preventivo rimarcando il diritto dei turchi di ricercare le risorse petrolifere nel proprio territorio.
Il governo turco aveva preannunciato all’Unione Europea di voler congelare i negoziati con Bruxelles e con Cipro, quando quest’ultima avrà la presidenza di turno. Una linea definita “neo-ottomanista” e che l’ha portata ad avvicinarsi ulteriormente all’Iran. Erdogan, mostrando di voler dare un segnale di supporto al cambiamento avvenuto nei paesi arabi rispetto all’attendismo israeliano, ha sostenuto convintamente la vertenza palestinese per ottenere dall’ONU il riconoscimento di Stato membro per la Palestina, un processo ancora in corso e nel quale l’equilibrismo di Ankara dovrà trovare ampi consensi.
Ma le dispute procedono a intervalli regolari: il 2 settembre scorso la Turchia ha espulso l’ambasciatore israeliano ad Ankara accusandolo di non essersi ancora scusato per l’uccisione di 9 cittadini turchi durante il raid subito dal traghetto turco Mavi Marmara sul quale vi erano attivisti filo-palestinesi.
Sempre nei giorni scorsi, il governo Erdogan ha firmato al Cairo una storica alleanza militare ed economica con l’Egitto, contestando inoltre la politica israeliana in merito alla costruzione di nuovi insediamenti nei territori palestinesi.
Nonostante tutto questo, l’equilibrismo di Ankara non è mai venuto meno ed è dimostrato anche dalle rigide posizioni espresse verso la situazione politica siriana, che hanno indotto il governo Erdogan a criticare Damasco per l’uso eccessivo della forza verso i manifestanti scesi in piazza a favore della democrazia. La mossa turca è stata a sua volta criticata da Teheran che guarda con sospetto al doppiopesismo di Ankara.
Secondo alcuni osservatori il governo turco rischierebbe frizioni con le potenti gerarchie militari del suo stesso Paese, tradizionalmente vicine al blocco occidentale piuttosto che a quello dei Paesi arabi. Una circostanza evidentemente sfruttata anche nel tentativo di scongelare la tensione tra turchi ed israeliani da parte del presidente USA Obama, che lo scorso 21 settembre a New York ha incontrato il premier Erdogan a margine dei lavori delle Nazioni Unite.
Noi ci auguriamo che un’Europa divisa possa trovare una voce unitaria per sollecitare maggiormente il cammino verso l’Unione Europea che la Turchia ha intrapreso nel 2005. E’ l’unica strada possibile per sottrarre Ankara da contrapposizioni che rischiano di alimentare nuove pericolose tensioni nel mondo arabo e che non sono necessariamente utili al difficile consolidamento della democrazia in Medio Oriente.
Di Roberto Melis.
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