Ma cale italianu faeddant is Sardos? – Di Roberto Bolognesi
Tocat a beru a b’abarrare atentos nende ca “is Sardos feddant s’italianu” e ca “s’italianu immoe est una de is limbas de Sardinnia”.
De ita semus faeddende?
E siguros semus ca immoe b’at un’iddiliu tra Sardos e s’italianu?
L’Italiano regionale di Sardegna.
In Sardegna si parla una varietà dell’italiano che mostra differenze notevoli rispetto all’italiano standard. Loi Corvetto (1983:10) fornisce la seguente definizione generale di italiano regionale: «L’italiano regionale si configura quindi [...] come quel sistema linguistico che, per il concorso di più fattori, è caratterizzato da costanti generalizzate presso i parlanti della comunità ma, nello stesso tempo, specifiche rispetto a quelle dell’italiano parlato in altre aree geografiche».
Diversamente dal cosiddetto Italiano Popolare (parlato dai dialettofoni incolti), l’italiano regionale si presenta come un sistema stabile nel tempo e nello spazio geografico e sociale (della Sardegna) al punto che ormai per i sardi di tutte le classi sociali (almeno per quanto riguarda i registri bassi e lo stile informale), l’italiano regionale costituisce l’italiano tout court: quello che effettivamente si parla. Per di più, i sardi sono generalmente convinti di parlare un ottimo italiano (Angioni, Lavinio & Löronczi Angioni, 1983). Questo luogo comune è in effetti molto lontano dalla realtà, ma ha come effetto quello di mantenere stabili le strutture dell’italiano regionale, in quanto le si ritiene coincidenti con l’italiano standard.
Il paradosso di questa situazione consiste nel fatto che se, dal punto di vista del lessico (delle parole usate), l’italiano regionale si può definire con buona approssimazione come una varietà dell’italiano, dal punto di vista delle strutture grammaticali (sintassi, morfologia, fonologia) esso è abbondantemente influenzato dalla grammatica del sardo, e le strutture grammaticali del sardo sono spesso molto diverse da quelle dell’italiano standard. Come dimostrazione valga il noto esempio televisivo del «capittomi hai?». Questa struttura sintattica “anomala” è il risultato di una regola ben precisa della grammatica del sardo, la quale prevede che qualsiasi elemento che modifichi il significato di una frase dichiarativa neutra (per es. ‘mi hai capito?’) sia situato nella prima posizione della frase. Nel caso di una domanda diretta, nella prima posizione della frase viene inserito l’argomento della domanda (per es.: carne mangi?; verdi sono le foglie?; ecc. Per un’analisi generale si vedano Jones 1993 e Bolognesi 1999a). Oltre ad essere regolare (sistematico), il fenomeno è generale: un sardo di qualunque estrazione sociale formula le frasi interrogative dirette in questo modo, almeno in una situazione informale. L’Italiano Regionale di Sardegna è cioè ancora in gran parte “sardo”.
Gli esempi di costruzioni morfo-sintattiche anomale rispetto all’italiano standard (appartenenti al sardo) si possono facilmente moltiplicare. Lavinio (1991), per esempio, riporta frasi come «c’era una vecchia cucendo», oppure «[…] un tappeto per non raffreddarsi i piedi», normalissime per un sardo, ma non grammaticali in italiano standard.
In proposito va aggiunto che, da un punto di vista scolastico (prescrittivo), l’italiano regionale costituisce un esempio di italiano scorretto, sgrammaticato, da stigmatizzare: cosa che a scuola avviene regolarmente. In proposito risultano molto significative le parole di Cristina Lavinio (1991): «Ma la scuola non si preoccupa molto neppure di intervenire accuratamente e con un metodo adeguato sulle forme più evidenti e meno accettabili di incrocio (o interferenza) tra i due diversi sistemi linguistici, che infarciscono le produzioni linguistiche degli alunni. Si limita a bollarle come errori, a rifiutarle drasticamente: ne addebita la responsabilità, all’ingrosso, al dialetto (così immediatamente indicato in una luce negativa) e non interviene in modo avveduto e rispettoso della necessità di non condannare in quanto “inferiori” le parlate locali (che, almeno linguisticamente, non ha senso considerare inferiori) e della necessità, insieme, di realizzare un obiettivo democratico fondamentale: consentire a tutti di padroneggiare nel modo migliore anche l’italiano».
Evitando di dare giudizi moralistici sull’operato degli insegnanti, è chiaro che all’origine di questo atteggiamento punitivo c’è una fondamentale mancanza di educazione linguistica. Manca negli insegnanti la coscienza dell’esistenza di una concezione della linguistica che è agli antipodi rispetto alla loro tradizionale formazione prescrittivista.
Particolarmente significative al riguardo sono le seguenti parole di Maria Teresa Pinna Catte (1992:60-61): «È purtroppo diffuso tra gli insegnanti l’errore di dare per scontate certe abilità nella lingua dell’alfabetizzazione, sia con i bambini italofoni provenienti da ambienti sociali svantaggiati, sia soprattutto con i bambini sardofoni o imperfettamente bilingui, che vengono avviati alla lettura e alla scrittura nella L2 senza che abbiano interiorizzato gli strumenti linguistici e concettuali di questa lingua. La scuola spesso non si preoccupa nemmeno di sviluppare competenza, ne dà per scontato il possesso».
Quali sono i risultati di questa situazione in cui l’esistenza di una questione linguistica in Sardegna continua a essere negata?
Non esistono studi specifici sul rapporto tra lingua effettivamente usata dai ragazzi delle scuole medie e rendimento scolastico. Esistono però i dati impressionanti sull’abbandono degli studi prima del conseguimento di un diploma da parte dei ragazzi sardi. Nel 2010, la segretaria regionale della CISL, Oriana Putzolu, affermava: “In particolare gli indicatori sui livelli di istruzione evidenziano che la Sardegna occupa una posizione di retroguardia all’interno dell’Italia, e ancor di più nei confronti dell’Europa e dei paesi Ocse. Tra questi ultimi il 66% della popolazione di 25/64 anni possiede almeno un diploma di scuola secondaria superiore contro il 44% dell’Italia (anno 2003, Education at a glance 2005, Ocse) e circa il 38% della Sardegna. I giovani che abbandonano prematuramente gli studi rappresentano per la Sardegna un record assoluto in Italia. Il dato relativo alla popolazione di 18/24 anni, con titolo di studio inferiore al diploma di scuola secondaria superiore, che non partecipa ad ulteriore istruzione o formazione, infatti, è pari al 32,6% in Sardegna contro il 22,1% dell’Italia e il 15,2% della UE. Tali dati evidenziano quindi che la Sardegna si ritrova ancora oggi con una percentuale di abbandono scolastico doppia rispetto alla media europea, e addirittura tripla rispetto a quella stabilita come obiettivo negli accordi di Lisbona. L’indicatore percentuale di studenti con scarse capacità di comprensione della lettura, riferito all’aggregato “Isole”, evidenzia che il 36% circa degli studenti isolani non risulta in grado di comprendere nemmeno testi che presentano un livello di difficoltà molto basso. È una percentuale estremamente elevata. Nel Nord-Est del Paese questa percentuale scende al 10,9%, nel Centro si attesta al 20% circa, mentre il dato medio europeo scende di poco sotto il 20% (l’enfasi è mia).”
(http://notizie.alguer.it/n?id=32920)
Per i dati ufficiali del Ministero della Pubblica Istruzione, rispetto agli anni 2006-2007, pubblicati nel 2008 e apparentemente gli ultimi disponibili, si veda: http://archivio.pubblica.istruzione.it/mpi/pubblicazioni/2008/allegati/dispersione_2007.pdf
La questione linguistica della Sardegna si ripropone per i giovani non più tanto come conflitto tra sardo e italiano, ma come conflitto tra italiano di Sardegna e l’italiano standard che la scuola pretende sia già conosciuto dagli studenti delle medie superiori.
19-04-12, da: http://bolognesu.wordpress.com/2012/04/19/ma-cale-italianu-faeddant-is-sardos/
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Redazione SANATZIONE.EU