La proposta: Dal referendum a Oristano capitale – Di Piero Atzori

Aristanis – La nostra vera capitale.

Abolite le Province, si rende necessario garantire autonomia ai vari territori e curare il male storico del cagliaricentrismo.
Il 6 maggio, nelle schede dei referendum, i Sardi hanno barrato 10 volte SI. Hanno ritenuto prioritario ridurre il peso di una classe politica inadeguata alle esigenze, dissipatrice di risorse, nominata dai partiti, funzionale alla gerontocrazia, selezionata più per le buone capacità di arrampicata, che non per meriti e competenze.

Doverose alcune critiche ai miei compatrioti indipendentisti. A distanza di tre settimane non mi spiego ancora la fredda accoglienza dei referendum da parte di diverse organizzazioni di indipendentisti. A parte Sardigna Natzione, che è apparsa quasi costretta ad indicare nove SI e un NO, non si può riferire che di rifiuti (AMpI), o di atteggianti snob. Ad esempio, il PSD’AZ era d’accordo sul quesito n. 6, quello pro Assemblea Costituente, ma ha scelto di non usare il megafono. Risulta evidente la preoccupazione di non avvantaggiare i Riformatori o di tenere buoni nuovi potenziali alleati. Non hanno tenuto presente, i sardisti, quanto piccina fosse una simile motivazione per i Sardi. Al contrario, gli indipendentisti avrebbero dovuto promuoverli loro per primi, entusiasticamente, i 10 referendum, se è vero che ambiscono destrutturare l’attuale assetto per ristrutturarlo in modo del tutto diverso. L’unico NO di Sardigna Natzione, dettato per cercare di mantenere alto il numero dei consiglieri regionali, può apparire a molti come una speranza di raggiungere una misera poltroncina regionale che nulla, proprio nulla, darebbe alla Sardegna.

A questo punto mi auguro che tutti gli indipendentisti si sveglino per promuoverne altri dieci di referendum popolari, giacché la strada migliore da intraprendere sarà quella che verrà fuori da rinnovate consultazioni popolari, considerata la penosa condizione attuale dei vari partiti. Partiti che, perso ogni slancio ideale, sono dediti a minuti interessi di bottega e perseguono sirene italiche.
Almeno l’idea, soffocata per sei secoli, di rieleggere Oristano, meglio Aristanis, come capitale dell’isola, gli indipendentisti potrebbero/dovrebbero adesso rispolverarla, che diamine! I tempi sono più che maturi per questo sano esercizio di sovranità popolare.

Riassumiamo la situazione. I Sardi, in considerazione della poco trasparente gestione dei soldi pubblici, con denari che si disperdono in società in house o comunque controllate dalle Province, le quali per esistere come apparati succhiano oltre la metà di quanto ricevono, hanno abolito tutte e otto le Province e anche azzerato le indennità dei consiglieri regionali.
I Sardi non possono più tollerare il parassitismo politico. Le espressioni sassaresi, galluresi, logudoresi: “magna chi setti cani”, “magna come lu colbu”, “cane mandigadore”, l’espressione del Mannu “caddu de istalla” in tempi di vacche magre come questi non sono più da prendere sottogamba. La politica deve assolutamente avvicinarsi alle persone e riprendere atteggiamenti sobri, ma non è affatto una cosa semplice, occorre molto impegno da parte di tutti.

Come volevasi dimostrare, il 24 maggio scorso, l’attuale classe dirigente regionale ha sterilizzato fino a marzo 2013 l’abolizione referendaria delle otto Province, con la riserva mentale di un probabile prossimo pronunciamento di illegittimità e/o incostituzionalità da parte dei giudici. Sembra che la Costituzione, in un momento di quasi collasso economico come questo, la si voglia utilizzare contro il popolo. Cappellacci, da parte sua, nel firmare i decreti relativi ai referendum (25 maggio 2012), ricorda giustamente che la domanda di cambiamento “… abbraccia l’intero assetto della politica e della pubblica amministrazione”. Egli sostiene anche che va data “centralità ai Comuni”.

Io qui propongo il primo dei quesiti referendari tra i prossimi dieci che mi aspetterei soprattutto dagli indipendentisti ai quali idealmente mi associo. Si tratta di una terapia d’urto contro il cagliaricentrismo, ossia lo spostamento del capoluogo da Cagliari a Oristano.
Il quesito da proporre, molto semplice, di carattere consultivo, secondo me è:

Saresti favorevole a spostare il capoluogo Sardo da Cagliari a Oristano?

Mi rendo conto che si tratta di una battaglia non facile, ma penso che le necessità urgenti dettate dalla crisi economica in atto possano facilitarla.
Ecco alcune considerazioni logistiche, geografiche e di buon senso a favore dello spostamento del capoluogo da Cagliari a Oristano/Aristanis, che stendo affinché chi vuole le critichi e le integri:

1. I galluresi, molti logudoresi e nuoresi si trovano meno distanti dalla penisola, per via aerea, che da Cagliari in auto. Da Olbia, ad esempio, partono 40 voli settimanali per Roma, che dista circa un’ora di volo più i tempi di trasferimento e di attesa in aeroporto. Per recarsi a Cagliari in auto un olbiese impiega mediamente oltre 3 ore. Da Alghero a Cagliari 3 ore e 22 minuti. Un sassarese impiega per Cagliari 3 ore e 7 minuti, per Roma, con volo da Alghero impiega di meno.

2. Nella Repubblica Italiana, non c’è altro capoluogo di regione periferico come Cagliari. Un motivo ci sarà e a me pare che sia questo: Cagliari è il miglior riferimento per la Sardegna-colonia dall’antichità. Cagliari è sempre stata funzionale ad interessi non coincidenti con quelli dell’intera isola.
Il vero baricentro storico, morale e spirituale dell’isola è Oristano anche se molti sembrano averlo dimenticato. Occorre solo migliorare la viabilità, ad esempio dall’Ogliastra, ma anche dalla S.S. 131 verso Oristano.

3. Qualunque partito, o sindacato, o associazione tra Sardi sceglie di incontrarsi a metà strada, a Tramatza, a Paulilatino, a Ghilarza, ad Abbasanta. Come mai il Parlamento dei Sardi si deve riunire in via Roma a Cagliari? Se gli antichi Stamenti si riunivano a Cagliari era perché dopo la disfatta di Sanluri (1409) eravamo sotto il controllo iberico.
Quali sono i motivi per cui si ritiene normale, dal punto di vista democratico, che il capoluogo sardo sia posto al capo estremo dell’isola?

4. Riporto un’osservazione di un amico sassarese, neppure troppo ironica: “Il cagliaricentrismo esiste ed è un problema. Si potrebbe mettere in vendita il palazzo del consiglio regionale a privati che in cambio realizzerebbero a Tramatza la nuova sede con tutti gli assessorati. Tutto in prefabbricato e cartongesso cosi si fa in fretta e i soldi che avanzano si usano per la crescita. A Cagliari lasciamo solo l’esecutivo: la Giunta e il presidente con i capi di gabinetto. Abbanoa ed Equitalia le trasferiamo ad ottobre a Perdasdefogu una volta liberate dalle servitù il resto piano piano ……”.

5. Mi viene il forte sospetto che giochino in qualche misura i denari delle trasferte. Non è che esistono consiglieri galluresi, o sassaresi, o nuoresi, o logudoresi che stando a Cagliari in qualche seconda casa usufruiscono di trasferte perché risiedono fuori sede? Se cosi fosse azzeriamo le trasferte, se cosi non fosse, allora si consideri che oltre quaranta degli attuali 80 consiglieri regionali rappresentano quella Sardegna che non ha ragioni plausibili di volere che a Cagliari sia accentrato tutto il potere. Con qualche incertezza, potrebbero essere i seguenti: AGUS, AMADU, BARDANZELLU, BARRACCIU, BIANCAREDDU, BRUNO, CAMPUS, CAPELLI, CHERCHI, COCCO, CONTU Felice, CORDA, CUCCA, CUCCUREDDU, DEDONI , DIANA Mario, FOIS , GALLUS, GRECO, LAI, LOTTO, LUNESU, MANCA, MANINCHEDDA, MARIANI, MELONI Valerio, MILIA, MULA, MULAS, OBINU, PERU, PIRAS, PITTALIS, PLANETTA, RASSU, SABATINI, SALIS, SANNA Giacomo, SANNA Gian Valerio, SANNA Matteo, SECHI, SOLINAS Antonio, STOCHINO.

6. Da cittadino estraneo al Palazzo, mi pare di aver capito che un referendum come quello suesposto si giocherebbe tutto nel cosiddetto Medio Campidano e in Ogliastra. Saranno i Sardi di queste due aree geografiche l’ago della bilancia, ossia decideranno loro se un referendum come quello che qui propongo potrà avere esito positivo o negativo. Sarebbero certamente d’accordo i cittadini che abitano l’oristanese, le Giare, la Marmilla, la media valle del Tirso, il Guilcier, il Barigadu, il Montiferru, la Planargia, il Logudoro, il Meilogu, le Baronie, il Monteacuto, il Goceano, la Gallura, la Bassa valle del Coghinas, il nuorese, il Mandrolisai, le Barbagie, il sassarese, l’algherese, la Romangia, la Flumenargia, ma potrebbero non bastare senza ogliastrini, guspinesi, arburesi.

7. Mario Sensini riporta sul Corsera del 28 maggio, a pag. 10, che “in Italia spendiamo il 18,5% del Pil per mantenere le pubbliche amministrazioni: sei punti in più della Germania, lo Stato regionalista per eccellenza”.
Noi Sardi se vogliamo davvero metterci in un ottica di indipendenza dobbiamo diventare più bravi dei tedeschi e spendere meglio i nostri soldi. Per riuscirci dobbiamo rifondare tutto. Per adesso la nostra classe politica regionale italiota e spendacciona sembra arroccarsi e far leva su una Costituzione largamente superata, alquanto illiberale, che può diventare strumento per continuare a mantenere la Sardegna e i Sardi nello status quo della rinuncia e della rassegnazione.

Di Piero Atzori, docente sassarese.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    3 Commenti

    • Per Marco: grazie per l’integrazione su Catanzaro, la segnaliamo all’autore.

    • [...] [...]

    • Ho letto su Wikipedia alla voce “Catanzaro” quanto segue, molto istruttivo e utile per i sardi che vogliono imparare:

      I moti di Reggio e il ruolo di capoluogo della Calabria

      « Sono lieto di essere qui in Calabria e di trovarmi ora in questa città di Catanzaro, città dinamica che, per la centralità della sua posizione geografica e per le mansioni amministrative che le competono, è chiamata a svolgere un importante ruolo di servizio a favore di tutta la Calabria. »
      (Papa Giovanni Paolo II, Catanzaro, 6 ottobre 1984)

      “La tragica vicenda della rivolta di Reggio Calabria per la scelta del capoluogo della regione venne vissuta in maniera meno drammatica a Catanzaro. Dopo le elezioni regionali del 1970, era previsto che la prima riunione del nuovo consiglio regionale si tenesse nelle città sede di Corte d’Appello, quindi, per la Calabria, a Catanzaro. Ma rimaneva e rimase impregiudicato per mesi quale sarebbe stata la scelta della città capoluogo, che spettava comunque al consiglio regionale. Alle manifestazioni reggine c’era il timore che si reagisse con manifestazioni catanzaresi e qualche avvisaglia la si ebbe con l’attentato che, durante una manifestazione antifascista, costò la vita all’operaio Malacaria. La città e la sua classe dirigente dimostrarono nell’occasione maturità civile e democratica. La scelta di suddividere tra Catanzaro e Reggio le nuove istituzioni regionali, concentrando nella prima, nominata capoluogo della Calabria, la giunta e gli assessorati, e nella seconda il consiglio regionale, fu accettata dai catanzaresi come politicamente equa.”

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