Dopo il G20: La Grecia (e la Sardegna) tra conservazione e commissariamento della sovranità

Sono passate solo alcune settimane in Grecia dalla vittoria dei conservatori pro-Euro di “Nea Dimokratia”, in quelle che sono state definite come le più importanti elezioni dalla fine della dittatura.
Con il premier Samaras, il popolo Greco ha scelto di mantenere gli impegni presi con l’Europa, ma ci sarà tanto da lavorare, il voto non avrà effetti immediati nella risoluzione della crisi che colpisce duramente il Paese e tutta l’Europa.

Per scongiurare l’uscita della Grecia dall’Eurozona, che avrebbe dato un colpo mortale alla divisa unica ed alle economie di svariati Paesi, il capo di Stato francese Hollande e il premier italiano Monti hanno contribuito alla messa a punto di uno scudo anti-spread per difendere gli altri Stati Europei. Nell’eventualità in cui lo spread di uno dei Paesi UE considerati “virtuosi” superi un livello di soglia predefinito, lo scudo consentirebbe di vanificare l’opera degli speculatori, garantendo tramite BCE l’acquisto dei titoli sul mercato secondario. Lo scudo ha ricevuto il benestare dell’ultimo vertice UE tenutosi lo scorso 28 e 29 giugno.

Ma la sfera dei problemi è molto più ampia. La difficoltà del contesto internazionale si presta a favorire derive populistiche nei singoli Paesi attraversati dalla crisi e alle prese con un ricambio della classe dirigente. Atene è diventata quindi un’ottima palestra per la valutazione di questi fenomeni, se da un lato è stato scongiurato il rischio di una deriva massimalista al potere e contraria ai principi dell’integrazione Europea, dall’altro, il potere è stato riconsegnato a quella stessa classe politica clientelare che ha contribuito a produrre la recessione nel corso dell’ultimo decennio.
Fino a pochi anni fa infatti la Grecia è stato il Paese in cui alcune categorie accedevano alla pensione a soli 50 anni, con uno dei più alti tassi di corruzione e spreco delle risorse nella Pubblica Amministrazione e nel welfare di tutto il vecchio continente. Pensiamo che Atene – stando a quanto affermato dal vecchio Ministro della Sanità Loverdos – ha effettuato mediamente oltre 3,5 milioni di tomografie assiali computerizzate all’anno (TAC), il doppio della media di qualsiasi altro Paese UE, a prescindere dal livello demografico. Mentre fino al 2010 si registrava una perdita ed uno spreco annuale di medicinali inutilizzati per un valore di un miliardo di Euro. Ma se per un verso questa dissipazione di risorse pubbliche ha consegnato la Grecia nella crisi, allo stesso tempo la perdita della sovranità monetaria da parte di Atene (così come di tanti altri Paesi aderenti all’Euro) ha determinato l’avvento di una tecnocrazia insensibile alle condizioni dei Popoli e vicina alle esigenze del mercato e delle sue logiche. Vale a dire che non vi è stata quella opportuna opera di mediazione nella conduzione della politica monetaria da parte degli Stati, che hanno finito per delegare completamente ad alcuni organismi internazionali la gestione di questo potere. Pensiamo alla BCE di Francoforte ad esempio.

Ma ecco i risultati del voto greco:
Seppur di poco rispetto ai diretti avversari, i conservatori pro-euro del partito “Nea Dimokratia” si sono aggiudicati il 30% dei consensi. La sinistra di Syriza, euroscettica sulla politica di austerity, si è portata al 27% dei voti. Il socialista Pasok si è attestato al 13% dei voti, mentre la minoranza di estrema destra ha raggiunto il 7% dei consensi.
Il nuovo governo di responsabilità nazionale vedrà uniti conservatori e socialisti democratici con una solida maggioranza di 179 seggi parlamentari su 300.

Appena divulgati i risultati, il primo ministro italiano Mario Monti commentava compiaciuto: “Il voto in Grecia ci consente di avere una visione serena sul futuro dell’Europa e dell’Euro”. Anche Georg Streiter, il portavoce della cancelliera tedesca Angela Merkel, ha descritto il voto come un buon risultato, ma ha ricordato che Atene dovrà impegnarsi maggiormente sull’attuazione delle riforme concordate e ridurre il suo debito pubblico.
Nelle ore successive all’esito delle elezioni i mercati sono calati e si sono registrati attacchi speculativi ai titoli di Stato italiani e spagnoli, con sofferenza delle banche italiane ed Europee, ad eccezione di quelle elleniche.
I rendimenti decennali dei bond governativi spagnoli si sono attestati con tassi pari al 7,12%, quelli Italiani al 6,05%.
Lo spread iberico sui Bund tedeschi si è posizionato sui 584 punti, mentre il Ftse Mib ha perso il 2,64%, frenato dalle banche italiane che sono state sospese per eccesso di ribasso, con Intesa (-2,3%) e Unicredit (-3,4%), Mediobanca (-3,4%), Ubi (-2,7%) e Monte dei Paschi (-2,3%).
I mercati, non pienamente convinti, hanno spinto diversi membri UE a premere sull’unione politica e gli USA ad offrire il loro aiuto qualora le misure europee non risolvessero la crisi. Il petrolio si attestava in rialzo: il greggio a 85,6 dollari al barile mentre il Brent avanzava dello 0,9%, a 98,5 dollari (ANSA).
Secondo quanto previsto da vari analisti, l’Europa monetaria non risolverà con questa tornata elettorale le sue fragilità politiche, hanno tuttavia mostrato ottimismo per gli auspici emersi dal recente G-20 di Los Cabos in Messico. La linea essenziale maturata dal meeting dei ministri delle finanze dei 20 Paesi più industrializzati ha confermato la volontà di adottare ogni misura idonea per salvaguardare l’Euro e la stabilità economica internazionale.
Il presidente della Commissione José Manuel Barroso e il collega al Consiglio Ue Herman Van Rompuy in una nota congiunta hanno infatti precisato come ”I leader del G20 abbiano riconosciuto il valore del progetto e della valuta europea. Hanno accolto con favore le misure adottate in Europa per stabilizzare le nostre economie e il nostro sistema finanziario” (Asca).
Nessun arretramento dunque a difesa dell’Euro. Berlino ha tuttavia rimarcato che l’orientamento futuro non dovrà essere orientato solo alla condivisione del debito fra i Paesi membri ma nel migliorare la policy sui controlli e sulle riforme. Il vertice UE conclusosi pochi giorni dopo il G-20 ha confermato l’ipotesi di affiancare lo scudo anti-spread alle dotazioni del fondo salva-Stati Efsf e del prossimo Esm, necessario per calmierare i mercati. La Tobin tax (sulle transazioni finanziarie) sarà adottata entro l’anno. Le banche in crisi potranno essere ricapitalizzate e ci sarà il via libera al pacchetto da 120 miliardi di euro per la crescita (Reuters, 29-06-12).

Per la Sardegna, racchiusa nel tetto del Patto di Stabilità, la nota dolente consiste nel non godere affatto di una propria sovranità, quella fiscale prima che monetaria, in grado di garantire al territorio uno sviluppo che può essere determinato unicamente dalla piena automazione fiscale dell’isola rispetto al resto della Repubblica. Un elemento già riconosciuto come valido e perseguibile dalle agenzie di rating e che da anni attende persino il varo del concetto di “zona franca”, una misura di politica economica contemplata anche dalla Germania nel suo recente pacchetto di interventi consigliati all’Eurozona per favorirne la ripresa. In sintesi, essere europeisti oggi significa poter essere indipendentisti rispetto all’Italia ma federalisti rispetto ad una seria unione politica Europea.

Di Roberto Melis.

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