Trentino e Catalogna contro Roma e Madrid su economia e cultura, Sardi senza Lingua e Fisco

Lo scorso 19 luglio, la Regione del Trentino Alto Adige/Sudtirol ha approvato all’unanimità un documento a difesa della propria Autonomia e contro gli ultimi provvedimenti del Governo Monti. Il documento, promosso dai capigruppo di tutte le forze politiche, esprime “la preoccupazione dell’intera comunità trentina a fronte di una manovra complessiva dello Stato che rischia di stravolgere l’impianto fondamentale dello Statuto speciale di autonomia e delle relative norme di attuazione”. Essendo il Sudtirolo già tutelato da accordi in materia di lingua e cultura territoriale, l’assemblea si è orientata nel denunciare le ingerenze dello Stato nei confronti delle proprie competenze. Gli autonomisti dell’SVP hanno annunciato che in Parlamento non voteranno la fiducia al provvedimento del Governo, in quanto – dice il deputato Siegfried Brugger – “si tratta infatti di un termometro del rapporto tra Monti e le minoranze, oltre che con le autonomie speciali”.
I parlamentari Sardi invece che faranno? Continueranno a mortificare l’Autonomia regionale lamentandosi solo in Sardegna ma sostenendo il Governo Monti? Non ci sarebbe da stupirsi di questo indecente paradosso, d’altra parte non rappresentano alcun partito nazionalista Sardo ma solo i partiti italiani di cui sono emanazione, Giunta regionale inclusa.
Il presidente del Trentino Alto Adige Dellai ha dichiarato: “Il Governo può anche portarci via un po dei nostri soldi ma non può portarci via il diritto di fare le nostre scelte”. E ancora: “Dalle alte sfere della burocrazia statale arriva una spinta centralista”.
Sempre a luglio, le comunità autonome del nord Italia hanno auspicato l’inserimento nel decreto legge del Governo sulla spending review della cosiddetta “clausola di salvaguardia”, che sancisce il fatto che le disposizioni del decreto legge si applicano alle “Speciali”, compatibilmente con quanto previsto nei rispettivi Statuti e un emendamento a salvaguardia dei sistemi sanitari regionali e provinciali, nel rispetto delle competenze statutarie. E’ stato inoltre deciso di informare il Capo dello Stato Giorgio Napolitano ed il Governo Austriaco della situazione.

Anche la Catalogna si è trovata nelle condizioni di dover alzare la voce, in periodo di crisi, contro il Governo centrale di Madrid, a causa della mancata restituzione del gettito fiscale maturato da Barcellona ma non ancora entrato nella sua diretta disponibilità. Un problema che si è saldato all’espansione del deficit catalano e che ha spinto la Comunità Autonoma ad avviare una battaglia politica per un nuovo Patto Fiscale con lo Stato spagnolo per conquistare maggiore sovranità (art. Sa Natzione).
La Sardegna si ritrova in un contesto simile a causa del debito multimiliardario dello Stato italiano nei confronti della nostra isola, eppure, né dal Consiglio Regionale, né dai parlamentari Sardi è emerso alcun documento unitario a tutela della nostra specialità, sia economica che culturale. Il problema non sono sicuramente le valutazioni delle agenzie di rating, contro le quali si sono scagliati alcuni politici (e che invece, benché asservite a interessi sovranazionali, manifestano argomentazioni favorevoli alle minoranze nazionali). C’è infatti da considerare un duplice aspetto che ci differenzia dal caso trentino e catalano: tali comunità non stanno tutelando unicamente il loro diritto alla sovranità fiscale e all’esercizio autonomo di determinate competenze, ma hanno da tempo intrapreso una politica di salvaguardia della lingua e della cultura locale, al fine di elevare il potenziale economico dei rispettivi territori.
Infatti, studiare la propria storia nelle scuole, nonché tutelare la propria lingua, è indice di potere politico e di capacità di programmazione economica. I Sardi, dal canto loro, non sono neppure in grado di promuovere il proprio originale patrimonio archeologico nel mondo a causa dell’assenza di formazione sul nostro passato, aspetto su cui la Pubblica Istruzione dovrebbe massicciamente intervenire.
A dare l’ennesimo schiaffo alla nostra specialità ci ha pensato una mediocre e inconsistente sentenza della Cassazione, che ha dichiarato il Sardo “non una lingua ma un dialetto”, sulla base di argomentazioni evidentemente politiche, ignorando sia ogni ragionevole argomentazione scientifica, sia la stessa legislazione italiana, che smentisce ampiamente tale sentenza (come ricordato anche dal prof. Francesco Casula, il Sardo è riconosciuto dalla legge regionale n. 26/97 e dalla legge s. 482/99).
La mediocrità della classe dirigente Sarda si è pertanto manifestata su questo doppio binario, perché non ha compreso che, non l’esposizione del tricolore, ma la tutela della propria specificità linguistica e culturale è sinonimo di potere. E perché non ha compreso che quel potere è uno degli strumenti con cui potenziare la rivendicazione della sovranità fiscale. L’esercizio della propria Autonomia è un diritto, tanto quanto i diritti dei diversamente abili e/o delle coppie di fatto. Subordinare il diritto ai doveri dello Stato centrale, ignorando i propri, significa contribuire alla discriminazione civile ed economica del nostro territorio.

Ma l’aspetto più grave di questa vicenda va ben oltre le mancanze del politicantismo locale, poiché il doppio binario della sovranità fiscale e culturale su cui dovrebbe fondarsi il concetto di Nazione Sarda e di “interessi nazionali” non viene percorso neppure dalla maggior parte dei movimenti politici Sardi, sia autonomisti che indipendentisti. Bisogna essere consapevoli che i diritti, sia nella Repubblica italiana che in Europa, non li raggiungeremo mai se continuiamo a indugiare nel provincialismo italiano. La lingua Sarda deve essere tutelata in quanto unica, rispettandone la sua multipolare natura, ma precisando la discriminazione costantemente subita da quella italiana. L’inglese e il Sardo saranno seriamente studiati allorquando l’italiano limiterà la sua preponderanza in ogni consesso pubblico del nostro territorio. Alla politica spetta il compito di riqualificarne la sua presenza.

Come già auspicato dalla Confederazione Sindacale Sarda (ved. art. Tempus Nostru), invitiamo dunque la Giunta regionale ma anche l’insieme del nazionalismo Sardo a rientrare nei ranghi della serietà: lo sviluppo socio-economico passa per la tutela dei diritti e per la conquista di maggiori competenze amministrative.
Diverse settimane fa mezzo milione di Sardi hanno votato si ad un referendum che ha proposto la Costituente come elemento di riforma dello Statuto regionale, quel voto non può essere ignorato. Ma prima di arrivare alle grandi riforme istituzionali dovremmo domandarci il perché del silenzio della politica locale rispetto alle manovre del Governo Monti e degli attacchi politici alla nostra specificità.

Di Bomboi Adriano.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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