Nei cantieri Baccasara di Arbatax il simbolo dell’ignoranza politica regionale sulla zona franca
Se mai ce ne fosse stato bisogno, la crisi dell’industria Sarda ha definitivamente dimostrato che i pagliacci non operano più solo nelle attività circensi ma anche nei palazzi della politica. In quale altro modo si può definire una politica che abbandona la CNO di Arbatax al suo destino?
Per chi non lo sapesse, la CNO, Costruzioni Nautiche Ogliastra, è un’azienda dall’alta professionalità nel settore della cantieristica nautica, impegnata a realizzare commesse per la Azimut, uno dei più prestigiosi marchi di yacht di lusso del mondo.
Ebbene, un cantiere che ha capacità produttive di alto profilo con una proiezione nel mercato internazionale, non dispone ancora di alcun allaccio alla rete elettrica della zona industriale “Baccasara” di Tortolì-Arbatax. Avete capito benissimo, nel 2012, un’impresa le cui maestranze coinvolgono un indotto di artigiani del legno, delle tappezzerie, degli allestimenti mobiliari e tanto altro, non dispone di elettricità. E, bisogna ripeterlo, si sta parlando di una “zona industriale”. La CNO lavora grazie a gruppi elettrogeni propri.
Pensate, risale al 1998 il provvedimento legislativo di attuazione delle zone franche (art. 12, Statuto R.A.S.) nei principali porti industriali della Sardegna (fra cui Portovesme, Cagliari e Arbatax), ma ancora oggi la classe politica regionale di destra e sinistra non ha delimitato le aree entro le quali dovrebbero partire le agevolazioni che potrebbero attirare nuovi capitali per incrementare il volume della produttività del nostro tessuto economico.
Ignoranza, ideologia e calcolo politico si sono sommati a dei ritardi che hanno generato danni incalcolabili allo sviluppo del territorio. Secondo alcuni politici inetti, le zone franche potrebbero creare attorno a loro il deserto economico, in quanto “le aziende tenderebbero a spostarsi tutte dentro la zona franca”. Nella realtà, ogni punto franco non presenta agevolazioni fiscali e burocratiche indistinte per tutti ma è stabilito sulla base di precisi criteri che variano da settore a settore e regrediscono progressivamente nel corso del tempo. La misura della zona franca permette dunque sia lo sviluppo delle vecchie imprese e sia il consolidamento di nuove imprese, senza danneggiare la tipologia di aziende site nei pressi del punto franco. Altri politici inetti invece temono di perdere il bacino elettorale di cui dispongono nel rispettivo territorio di elezione, in quanto lo sviluppo autonomo di un nuovo tessuto aziendale annullerebbe di fatto le pratiche clientelari dentro le quali una economia ingessata e fallimentare si è legata a doppio filo a precise personalità politiche.
Per farvi comprendere la dimensione del potenziale di questa misura economica, vi basti sapere che una delle maggiori zone franche al mondo, quella di Ras al-Khaima (UAE), nel primo semestre 2010 ha conquistato 875 nuove registrazioni d’impresa, con ben 106 nazionalità rappresentate.
All’ombra di tutto questo, mentre le nostre aziende operano con difficoltà, con un’altissima pressione fiscale, alti costi energetici, trasporti da terzo mondo, infiniti rivoli burocratici e persino gravi deficienze strutturali – come la mancanza di energia elettrica di rete della CNO Ogliastrina – che ne minano la competitività e mettono a rischio l’occupazione, i nostri politici e sindacalisti si trovano impegnati nei classici viaggi della speranza verso Roma, la “nuova Lourdes”, come l’ha definita il musicista Sardo Alisàndru Quilio, nella vana ricerca di ulteriore assistenzialismo condito da sperpero di denaro pubblico destinato a improponibili e inquinanti progetti industriali. Qualche volta raschiando anche il fondo del barile: pensate che alcuni esponenti del PDL hanno proposto lo sperpero di 600 milioni di euro per il Sulcis, mentre alcuni esponenti del PD hanno persino rilanciato il tema della gassificazione del carbone sulcitano, un programma della giunta sardista di Mario Melis degli anni ’80, affondato dalle forze politiche italiane di destra e sinistra che oggi hanno addirittura il coraggio di irridere l’indipendentismo (ma copiandone programmi che lo stesso indipendentismo ha rivisitato e persino superato).
A Cagliari non hanno di meglio da fare, e piuttosto che occuparsi dei punti franchi dei porti industriali e del finanziamento della cultura Sarda, sono occupati a dibattere sulla gestione del teatro lirico, che non è in cima ai pensieri dei Sardi.
- Per conoscere la storia della zona franca in Sardegna, visita l’articolo su Sa Natzione di Mario Carboni (Fondazione “Sardegna Zona Franca”).
- Per conoscere il portale internazionale della maggiori zone economiche speciali del mondo, con tutte le news al riguardo, visita la World Economic Processing Zones Association.
- Per conoscere il costo dei carburanti in Sardegna rispetto ad alcune repubbliche indipendenti, vedi manifesto IRS: Clicca per vedere JPG.
- Per conoscere la nuova zona franca de L’Aquila in Abruzzo: Leggi.
Di Adriano Bomboi.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi
La questione della Fondazione del teatro lirico di Cagliari è invece nodale per comprendere la politica culturale in Sardegna e come si buttino dalla finestra i soldi pubblici a beneficio di ristretti circoli clientelari.
Premesso che ritengo il teatro lirico e la cultura che esprime importantissimo per la Sardegna, contesto però la gestione e gli sprechi che hanno portato, complici destra e siniostra italioani e il silenzio sardista, al dissesto finanziario e allo stato di caos attuale.
Con debiti per oltre 30 miliooni di euro, dovuti alle gestioni Meli ( mia valutazione ) ancora il sindaco di Cagliari che è Presidente della Fondazione non è riuscito a far nominare il sovrintendete.
Intanto il Consiglio regionale ha deliberato circa 19 milioni di euro di finanziamenti per l’anno 2012. Avete capito bene 19 milioni a fronte dei 100.000 euro per il sardo nelle scuole ed i tagli generali alla cultura.
Naturalmente questo andazzo si ripercuote sulla cultura tipica della Fondazione, suigli artisti e sull’insieme del patrimonio culturale che uno dei circa 20 teatri lirici della Repubblica esprime e può esprimere. E’ un’istituzione che moltissimi paesi nel momdo ci invidiano, ridotta a un pollaio di clientelismo e spreco di denaro pubblico.
A mio parere andrebbe commissariato immediatamente.
Il Commissario dovrebbe far realizzare da una società internazionale la cerificazione di bilanci degli ultimi 20 anni pèer individuare il vero deficit di bilancio e le eventuali responsabilità da girare all’autorità giudiziaria ed alla corte di conti per un giudizio di responsabilità degli amministratori che si sono succeduti nel tempo e dei sovrintendenti.
Il teatro lirico dovrebbe essere regionalizzato, pardon “nazionalizzato” con un intervento legislativo simile a quello esercitato per il Teatro dell’Opera di Roma ( e per la Scala in altre maniere ) togliendolo dalle grinfie ministeriali e dei compradores sardi…
Sarebbe allora una ricchezza da utilizzare al meglio moralizzandone la gestione tagliando alla radice le complicità sindacali e massimizzando il lavoro e la professionalità degli asrtisti ed un ruolo internazionale del Teatro lirico da trasformare da Cagliaritano in Teatro lirico nazionale sardo.