Siamo tutti soci di ALCOA, pretendiamo lavoro pulito e ‘terra limpia’ – Di Enrico Piras

“I Sardi, popolo che vive appartato dal consorzio delle altre genti latine, intrepidi e risoluti”.

Idrisi – “Kitāb Rugiārī” (1154 D.C.).

Tanto per cominciare specifico sin da subito ancora una volta che io sto con gli operai che lottano per il loro posto di lavoro. E questo sempre. Perché da disoccupato quale sono capisco in parte la situazione, anche se non ho famiglia e figli. Per il semplice fatto che ad oggi io e molti miei coetanei una famiglia e dei figli non li possiamo nemmeno immaginare. Meno responsabilità, è vero, ma anche meno sogni ad occhi aperti. La disoccupazione, come la cassa integrazione o la mobilità toglie la possibilità di pianificare un futuro e fa vivere quindi male il presente. Spero sia chiaro sin dalle prime righe che quello che scrivo non è contro chi soffre, ma serve per dare un minimo contributo alla comprensione della vicenda contorta di ALCOA e, di conseguenza, del polo industriale di Portovesme.

Partiamo da un po di storia.

All’inizio degli anni ‘90 la multinazionale ALCOA preleva, dopo una ristrutturazione e la privatizzazione, gli stabilimenti dell’Alumix, produttore italiano statale di alluminio. Gli stabilimenti si trovano uno a Portovesme in Sardegna e uno a Fusina (Veneto). In questa operazione i punti fondamentali sono il D.M. del 19 dicembre 1995, con cui si determinavano le agevolazioni energetiche alla multinazionale e la seguente “decisione Alumix” del 4 Dicembre 1996, cioè la decisione con cui si permetteva all’Enel (allora ancora Ente pubblico) di applicare l’agevolazione senza che questo fosse considerato “aiuto di Stato”. Punto fondamentale poiché l’acquisto degli impianti da parte di ALCOA era subordinato al fatto d’avere tariffe molto più basse, visto l’elevato consumo d’energia per il funzionamento di quegli impianti. Queste agevolazioni furono accordate sino al 2005, dopodiché il trattamento riservato ad ALCOA sarebbe stato uguale a quello degli altri utenti.
Dal 2000 però cambia qualcosa: lo Stato decide di inserire la cosiddetta ”tariffa Alumix” tra gli oneri generali del sistema elettrico, facendo mutare così il metodo di finanziamento dello sconto. ALCOA infatti pagava sì nominalmente il prezzo normale, ma le veniva effettuato lo sconto diretto in bolletta. Questo sconto, e qui arriva il bello, veniva pagato da tutti noi in bolletta, tramite un onere che rientrava nella componente A4 (costi per il finanziamento dei regimi tariffari speciali). Dal 2004 è cambiato il sistema, nel senso che ALCOA pagava il totale dell’energia e veniva poi rimborsata dalla Cassa Conguaglio, a cui Enel versava quanto incassava dalla componente A4, ma sostanzialmente la multinazionale pagava quanto previsto dagli accordi precedenti, sempre a spese nostre. Con un decreto del 2004 poi si prorogarono gli sconti per altri due anni rispetto al primo accordo, quindi fino al 2007.
E così via, sino all’ultima proroga che io chiamo “accordo Lexotan” poiché è un accordo che ha solo rimandato il problema senza risolverlo, e che avrebbe dovuto permettere ad ALCOA di lavorare fino a tutto il 2012. E invece ALCOA va via 6 mesi prima, e questo lo sapevano tutti. E, se non lo sapevano, il tutto è ancora più grave, forse.

Perché è del 2009 l’accordo con la società mineraria saudita Ma’aden per sviluppare i nuovi impianti nella nuova zona industriale di Raz Az Zawr in Arabia Saudita con un investimento di più di 10 miliardi di dollari. La zona permette minori costi di energia pulita, migliori infrastrutture e minori costi di estrazione-trasporto, visto che la bauxite sarà estratta al nord del Paese e trasportata al luogo di lavorazione tramite ferrovia.

Quindi i casi sono due: o la classe politica sapeva ed ha taciuto o la classe politica non sapeva e basta.
In qualsiasi caso si rivelerebbero incapaci: nel primo caso per aver taciuto e non essersi presi l’onere di elaborare un progetto alternativo; nel secondo caso perché con quello che costano devono essere per forza informati su queste vicende e prendere tutti i provvedimenti del caso.

E ALCOA? Non sono la persona più adatta per fare i conti, ma si vocifera che nella sua permanenza qui, con le agevolazioni energetiche, abbia risparmiato circa 2 miliardi di Euro, quindi più di 1/5° del totale investimento che sosterrà in Arabia Saudita. E quei soldi sono stati pagati da noi tutti. Senza considerare che c’è chi dice che, un genitore, per agevolare l’assunzione del figlio, abbia lasciato all’azienda l’intera liquidazione, una volta andato in pensione. Diciamo che ALCOA qualcosa ce la deve, visto che si può dire che “possediamo” più del 20% di quote del nuovo impianto arabo!

A parte il sarcasmo, ALCOA decanta la sua sostenibilità in tutto il mondo. Ma questa sostenibilità non è data dal fatto che non inquina, bensì dal fatto che inquina, ma che pulisce quando va via dai siti. L’ha fatto anche da altre parti. Si legge in un articolo di Lilli Pruna che “Alcoa ha provveduto a bonificare diversi siti in cui erano insediati i suoi impianti. I piani di bonifica sono stati definiti in collaborazione con lo Stato Federale e le municipalità locali, come nel caso dello “sforzo cooperativo di successo”, celebrato pubblicamente nel 2007 da Alcoa, per ripulire e ripristinare il Comfort Point/Lavaca Bay, a metà strada tra Houston e Corpus Christi, in Texas. Questo sito presentava una contaminazione da mercurio rilasciato dallo stabilimento di produzione Point Alcoa Inc.’s Comfort alla fine degli anni ‘60, che ha causato gravi danni ambientali e la chiusura della pesca in una porzione della baia. Alcoa ha speso circa 110 milioni di dollari per una serie di progetti nella baia e intorno ad essa, durati 15 anni, per ripulire e ripristinare le condizioni ambientali. L’impegno del Gruppo Alcoa ad attuare i piani di ripristino è incorporato – si legge nei suoi documenti – in un accordo siglato nel 2005 che riguarda l’assunzione di responsabilità rispetto ai danni arrecati alle risorse naturali di quel sito. In ragione di tale accordo, Alcoa ha pagato anche le spese sostenute da una serie di istituzioni pubbliche (Environmental Protection Agency, National Oceanic and Atmospheric Administration, Texas Commission on Environmental Quality, Texas General Land Office, Texas Parks and Wildlife Department, US Fish & Wildlife Service) per la valutazione dei danni e la definizione delle azioni di recupero ambientale”.

La classe politica e sindacale Sarda e italiana e la classe operaia dovrebbero quindi oggi lottare per pretendere bonifica e riqualificazione del territorio. I tempi di progettazione della bonifica dovrebbero coincidere con la formazione degli operai, che non rimarrebbero così a terra, in cassa integrazione o in mobilità ma sarebbero impegnati e stipendiati regolarmente. Sarebbe per loro un arricchimento professionale importante, utilizzabile anche in altri contesti, oltre che pratico. Ed un giorno, davanti alla terra pulita ed al mare limpido, potranno guardare in faccia i loro figli ed i loro nipoti e dir loro che per riportare la situazione così come la vedono hanno contribuito anche loro, col cuore da operai e con la predisposizione al sacrificio che li sta contraddistinguendo.

Lottiamo per i nostri diritti, lottiamo per la nostra salute, non diamo retta ai politici affamati di voti o ai sindacalisti affamati di tessere. Lottiamo per il lavoro pulito in una Sardegna pulita, perché un altro “Piano di rinascita italico” sarebbe solo l’inizio di una nuova morte.

Da: “Fueddus in Libertade” di Enrico Piras, 08-02-12.

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Redazione SANATZIONE.EU

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