Vittoria indipendentista: Il Belgio chiede lo Stato federale. E i Paesi Baschi rafforzano il nazionalismo

C’è un nuovo fenomeno politico nel mondo, in particolare in Europa: dopo la vittoria in Québec, in Scozia e in Catalogna, anche nelle Fiandre del Belgio gli indipendentisti conquistano il Governo. Il nuovo indipendentismo non è lo spauracchio solitamente agitato dai partiti centralisti abituati a conservare i propri privilegi, perché non è isolazionista. Al contrario, è un indipendentismo federale, che nella piena sovranità territoriale immagina una nuova Europa delle nazioni e trova le ragioni della buona amministrazione economica e culturale contro gli sprechi degli Stati centrali e contro le loro politiche di austerity fatte sulle spalle dei cittadini. Quelli che per primi subiscono una compressione dei loro diritti civili in nome della conservazione di falsi miti unitaristici, i cui sperperi non possono essere addebitati alle nuove generazioni.

Alle elezioni del 14 ottobre scorso, dopo 80 anni di amministrazioni socialiste, ad Anversa è giunta la vittoria dei liberalnazionalisti fiamminghi del movimento N-VA (New Flemish Alliance) con il 36,3% di voti contro il 26,6% del sindaco socialista uscente Patrick Janssens. Per contro, nel Belgio della Vallonia e di Bruxelles il partito socialista è forte del suo 29,12% di consensi. La vittoria della Nuova Alleanza Fiamminga è un grande risultato storico, destinato a mettere in discussione la politica di austerity del Governo Belga che sta preparando una difficile manovra finanziaria per il 2013, ma è anche un risultato che arriva dal cuore dell’Europa, in grado quindi di ridimensionare gli equilibri di un intero continente. Una politica in chiara sintonia con i progressi già avviati nel corso delle elezioni politiche del 2010 (Sa Natzione, 01-07-10).
L’ascesa della N-VA è stata rapidissima, senza polverizzare la propria offerta politica in varie sigle, a pochi anni dalla sua fondazione è riuscita a passare dal 3% al 28 % di consensi fino alle elezioni nazionali, sapendosi rinnovare e prendendo da subito le distanze dal partito autonomista di estrema destra del Vlaams Belang.
Il primo obbiettivo del nuovo sindaco Bart De Wever, leader indipendentista Fiammingo, è quello di negoziare con il Governo centrale e con il primo ministro Belga, Elio di Rupo, per l’istituzione di una riforma confederale, primo passo per una eventuale indipendenza, e che garantisca una maggiore sovranità di poteri per ambedue le parti. I fiamminghi devono poter gestire le Fiandre con una propria sovranità, come potrebbero farlo i valloni nel proprio territorio. A sostenerlo è il leader De Wever, che auspica quindi una più ampia riforma confederale destinata a creare un equilibrio solidale e armonico verso la risoluzione della crisi economica e politica del Belgio, Stato che già si fonda su una complessa struttura confederale, rafforzata dagli emendamenti costituzionali del 1993.

Quella del Belgio è l’ottava economia dell’Unione Europea per prodotto interno lordo, dopo il vicino Stato dei Paesi Bassi. Nel passato è stata la prima grande potenza industriale Europea, che dopo una lenta crisi iniziata dagli anni ’70 in Vallonia, vide decrescere il proprio potere, con il fallimento dell’industria pesante su cui si basava la sua economia, tanto da assistere ad un sorpasso economico compiuto da Bruxelles e dalle Fiandre (Belgio settentrionale), in particolare l’area del Brabante, e di Anversa, rispetto alla regione della Vallonia.
A cavallo fra gli anni ’70 e ’80, una serie di provvedimenti, come la svalutazione dell’8,5% del Franco Belga a favore del rilancio dell’economia, e l’adesione al Sistema Monetario Europeo (SME), portarono alla crescita del prodotto interno lordo e all’ulteriore crescita delle Fiandre, sopratutto nel campo chimico, dei mercati dell’alta tecnologia, con grande partecipazione di un consistente flusso di investimenti esteri.
Vi è una notevole disparità fra le tre regioni più importanti dello Stato Belga, che sono, l’area di Bruxelles, le Fiandre a nord e la Vallonia a sud. A Bruxelles abbiamo un settore terziario molto sviluppato, grazie al ruolo fondamentale della capitale del Belgio, nonché principale città Europea, sede istituzionale di relazioni internazionali e città privilegiata per investimenti esteri, assicurazioni, società finanziarie, enti e organizzazioni sovranazionali, laboratori di ricerca e istituzioni universitarie. Anche nelle Fiandre il settore terziario è sviluppato, con i servizi legati alle attività portuali e di import/export. Il commercio estero è incentrato sui mercati degli Stati confinanti di Paesi Bassi, Germania e Francia, e vale circa il 120% del Pil. Le esportazioni sono concentrate nei settori dei macchinari, della chimica, dei diamanti lavorati, dei prodotti metallici e dell’alimentare, mentre fra le importazioni spiccano quelle di materie prime, petrolio, diamanti grezzi, ma anche prodotti chimici, macchinari, prodotti farmaceutici e alimentari. Nella regione francofona vallone invece vi è una economia di dipendenza, determinata dalla debolezza del sistema industriale e dalla subordinazione dai centri decisionali finanziari e politici localizzati nella capitale, che hanno ostacolato lo sviluppo di un terziario moderno, sostituito con i servizi del pubblico impiego, che penalizza il prodotto interno lordo di tutta la regione (l’indice di PIL più basso di tutto il Belgio). Una curiosa analogia con il caso Sardo, dove il pubblico impiego è spesso il maggior deterrente all’avvio di una robusta attività economica privata nel territorio.

Dal Belgio, primo Stato membro fondatore dell’Unione Europea, da dove partì con il Benelux la prima cooperazione economica nel vecchio continente, si assiste dunque all’ennesima ventata di nazionalismo indipendentista, portata dai fiamminghi, con i buoni propositi di superare la crisi del proprio territorio, imponendo le proprie regole come ricetta efficace per combattere gli sprechi e garantendo maggiori servizi con la gestione autonoma della fiscalità regionale (l’esatto contrario della Sardegna, fedele senza discussioni alle disposizioni centraliste del Governo Monti, peraltro insediatosi senza mandato elettorale e in netta controtendenza rispetto alla rinascita del federalismo a livello europeo).

Ma non è tutto: pochi giorni dopo le amministrative del Belgio, nella giornata del 21 ottobre si è votato in altre due regioni autonome della Spagna, la Galicia (Galizia) e i Paesi Baschi.
In Galicia, seppur da sempre il popolo sia affezionato ai grandi partiti centralisti di destra e di sinistra, si sta lentamente mutando assetto di potere rispetto ad altre regioni Spagnole. Il primo partito resta sempre il Partido Popular di Mariano Rajoy, che vince le elezioni malgrado avesse preso 135.493 voti in meno rispetto al 2009 (46% di voti e 38 seggi ottenuti a dispetto del 45% di voti e 41 seggi delle ultime elezioni). Al secondo posto si sono piazzati i socialisti del PSdeG con il 31% di voti e 25 seggi, ed è importante evidenziare anche in questo caso la differenza del 14% in meno di consensi rispetto al 2009 (31% di voti e 25 seggi). Il PSOE di Alfredo Perez Rubalcaba, storico rivale del PP ottiene solo 18 seggi. Gli elettori della regione autonoma della Galicia non hanno tuttavia mostrato tanta fiducia nel BNG (Blocco Nazionalista Gallego) che ottiene il 10% di voti e 7 seggi (nel 2009 ottennero il 16% di voti e 12 seggi). Ma la nuova formazione politica AGE (Alternativa Galega de Esquerda) è un partito indipendentista che al suo esordio ha ottenuto l’incoraggiante risultato del 14% dei voti, pari a 9 seggi.
Un esito delle elezioni che mette in risalto la crisi di ideali nella regione galiziana, con un ridimensionamento del bipolarismo orbitante sui tradizionali PP – PSOE.
Alla base di questo risultato politico c’è una struttura economica caratterizzata da grandi contrasti attorno alla regione autonoma galiziana: la costa occidentale è caratterizzata da grandi centri urbani, sono sviluppate le industrie della pesca e delle manifatture, mentre la zona periferica è caratterizzata da zone povere, con una popolazione mediamente vecchia, non specializzata e caratterizzata nel settore primario da piccoli appezzamenti di terra inviolabili, chiamati minifundios. Contrasti economici che il popolo galiziano vorrebbe recuperare, cercando una alternativa ai principali partiti centralisti.

Ben più consistente invece la vittoria dei nazionalisti nei Paesi Baschi, dove ha vinto il PNV (Partito Nazionalista Basco) con il 34% di voti (27 seggi), e il Bildu (Reunir Euskal Herria) con il 25% di voti, pari a 21 seggi.
Bildu è un insieme di quattro partiti indipendentisti Baschi guidati dalla candidata Laura Mintegi, secondo la quale “bisogna smettere di prendere ordini da Madrid, affinché si avvii un nuovo cammino per i Paesi Baschi, che non si fermerà fino a quando non ci sarà una nazione libera e solidale in Europa”.
Il Bildu, sotto il quale si muove anche ciò che resta del Batasuna (il partito bandito nel 2003 poiché considerato dalla magistratura spagnola come il braccio politico della formazione paramilitare ETA), ottiene quindi 21 seggi, superando il partito socialista e il partito popolare, mentre nel parlamento regionale conservano il primato i nazionalisti del PNV.
Insieme PNV e Bildu ottengono 48 seggi su 75, e il leader del PNV Inigo Urkullu è adesso il nuovo governatore dei Paesi Baschi. I tradizionali partiti centralisti, tra i quali i socialisti del PSE (19% di voti e 16 seggi) e il PP (11% di voti e 10 seggi) registrano invece una storica sconfitta.
Il risultato delle elezioni nei Paesi Baschi sono un ulteriore conferma di come, di fronte a una cieca politica di austerity e di forzato risanamento finanziario dei governi europei, i popoli vorrebbero anteporre la propria sovranità, anche a dispetto delle smanie di grandezza delle capitali economiche europee, spesso arricchitesi con la propria pletora elitaria, devolvendo ben poco alle regioni.

E’ un processo di portata storica, che i media, ma anche gli analisti più faziosi, non potranno più ignorare.

Di Roberto Melis.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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