Bersani inciampa all’entrata del Quirinale: quale Sardegna dopo il PD?
La storia d’Italia, con la sua mediocre classe dirigente, è una costante: ogni qualvolta i conservatori cercano di perpetuare il proprio potere nonostante la crisi che investe la popolazione, il populismo radicale ha la meglio, sia che si tratti di autoritarismo o di democrazia. Stavolta la candidatura al Quirinale di Rodotà proposta dal Movimento 5 Stelle è riuscita a dividere il PD, partito di maggioranza relativa alle ultime elezioni politiche italiane. E che altro poteva succedere se un partito di maggioranza relativa propone a Capo di Stato nomi quali Marini, Prodi, Amato o D’Alema? Il pudore e la responsabilità di comprendere gli umori del Paese sembrano dunque aver abbandonato da tempo questi signori.
Ma in un Paese normale una “grande coalizione”, in questo caso di PD e PDL (che noi in quanto indipendentisti non avremmo condiviso lo stesso), sarebbe stata “comprensibile”, nel tentativo di salvare lo Stato del privilegio e della burocrazia dal deficit in cui si è cacciato a spese dei cittadini. In Italia invece il populismo ha avuto la meglio sul parassitismo, e per la verità, fra questi due nuovi grandi “partiti” di massa, non si sa cosa sia meglio. Ma non si potrà neppure accusare l’M5S di incoerenza, dopotutto, è forse falso che PD e PDL abbiano cercato di ripresentare al comando gli stessi volti che hanno rovinato l’Italia?
Sul piano politico, tanto nella penisola quanto in Sardegna, le vittime rimangono i riformisti. Coloro i quali vengono tenuti ai margini dell’amministrazione proprio dal quel potere che teme di contribuire seriamente allo sviluppo sociale e che stavolta si è scavato la fossa con le proprie mani. Un declino iniziato con le primarie di apparato, che nell’isola sono state un vero fiasco (solo 75.000 presenze), nelle quali i nostri esponenti regionali non hanno saputo cogliere i segnali.
Fin da allora consigliammo al PD regionale di parlare più di Autonomia e meno di Roma (Sa Natzione, 27-11-12).
Sono stati puniti in questo senso anche quei politici regionali del centrosinistra che proprio in Bersani avevano cercato un sicuro rifugio alla loro posizione: è il momento di redimersi e di guardare in faccia la realtà. O il PD regionale recide senza tentennamenti il cordone ombelicale che lo lega ad un centralismo avviato verso il suicidio, magari formando un serio PD federale Sardo (che sia concreto piuttosto che nominale), oppure si contribuisca direttamente alla nascita di un Partito Nazionale Sardo, aperto anche a quelle componenti di centrodestra che non si riconosco nella mirabile strategia di recupero del PDL, e che guardano con serio interesse solo alle sorti dell’isola. Perché comunque vada, PD o meno, il PNS sarà l’ultimo e più naturale punto di approdo di una Sardegna che ha bisogno di un progetto politico territoriale fondato sui propri interessi e non su quelli della penisola. E chi non l’ha ancora compreso rimanga pure a suonare il piffero con la barca che affonda.
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Adriano Bomboi.
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