Un Assessorato o un Istituto per la Lingua e la Cultura Sarda?

Di Adriano Bomboi.

Alcune settimane fa, quando il linguista Roberto Bolognesi mi ha parlato dell’ipotesi di istituire un Assessorato alla Lingua Sarda, utile anche all’economia dell’isola, la prima cosa che ho pensato di rispondergli è stata: “Immagina che carrozzone clientelare ne verrebbe fuori!”. O qualcosa del genere.
Poi mi è tornata in mente una vecchia provocazione lanciata tempo addietro su Sa Natzione: l’idea di costituire – tramite legge elettorale – un gruppo consiliare per i sardofoni, provocazione presto superata, perché nella realtà una simile ipotesi avrebbe creato un ghetto linguistico, a fronte della necessità di normalizzare una situazione che in Sardegna purtroppo vede egemone solo l’italiano. Si sarebbe ottenuto unicamente lo scopo – non di risollevare il prestigio sociale del Sardo – ma di certificarne l’attuale stato di minorità. Insomma, qualcosa di ben più pericoloso che voler imporre per legge una rappresentanza di genere nei rami legislativi della nostra democrazia, come nel caso delle donne. Talvolta le quote devono poter “educare”, e non tanto i cittadini (perché l’ingegneria sociale da parte delle istituzioni ha sempre un volto sinistro), ma la classe dirigente stessa, arroccata nell’esercizio dei baronati personali di questo o quel politico che ad ogni elezione perpetua e riproduce il suo “ciclo vitale”, spesso parassitario, dentro le istituzioni, a scapito di tutti gli altri, donne incluse. Ma quello della Lingua è un tema più complesso, che non si può prestare a semplificazioni, né condivido l’ipotesi del sardista Paolo Maninchedda che basti una sana programmazione politica nelle scuole per tutelarla. Più che un Assessorato infatti sarebbe utile un Istituto di Lingua e Cultura Sarda, sul modello di quanto già tentato con successo in altre Autonomie europee. Il rischio clientelare non sarebbe comunque risolto, ma delegare semplicemente ad una programmazione scolastica, eterodiretta dall’indirizzo politico, un tema che richiede analisi, studio ed approfondimento, rischia di rendere fragile ed estemporanea proprio la linea di normalizzazione che qualsiasi amministratore dovrebbe auspicare. Basti osservare infatti nel presente agli scarsi finanziamenti devoluti a questo settore, e che spesso finiscono ad alimentare circuiti che la cultura Sarda la veicolano solo in italiano piuttosto che nella nostra lingua madre. E’ altrettanto vero però, come sostiene Maninchedda, che non possiamo perdere tempo nello stabilire come debbano scriversi le singole parole di uno standard linguistico, ma un Istituto per la Lingua e la Cultura Sarda avrebbe anche l’obiettivo di coordinare una comunicazione che deve tendere al ripristino della dignità sociale del Sardo su tutti i livelli della vita pubblica, senza fermarsi alla scuola (anche se questa è il luogo principale di formazione dell’individuo). E dovrebbe altresì promuovere l’indagine in quegli ambiti storici per i quali alcuni ambienti accademici manifestano resistenze di natura esclusivamente ideologica e non scientifica.
Non nascondiamoci neppure il fatto che la Lingua Sarda non è un tema politicamente spendibile, e proprio a causa del pluridecennale intervento dello Stato Italiano nell’assimilazionismo linguistico e culturale del nostro territorio, i ritardi sono evidenti su tutti i fronti. Pensate che in Sardegna, mentre timidamente riteniamo che esista un legame fra l’assenza del Sardo nelle scuole e la dispersione scolastica, l’Alto Adige, tramite l’SVP, dopo decenni di plurilinguismo degnamente riconosciuto sul piano formale, arriva persino a proporre la formula della doppia cittadinanza.
Ma noi che programmazione scolastica e quale promozione sociale vogliamo organizzare se non sappiamo neppure con certezza, data l’assenza di studi regionali, quanto abbia inciso sul piano linguistico la dispersione scolastica del territorio? E quale standard utilizzare, viste e considerate le resistenze alla LSC? E con quale livello insegnare? L1, L2?

In questo quadro di sottovalutazione locale nei confronti della Lingua Sarda, che ha origini strettamente politiche, bisogna quantomeno osservare con favore a quelle iniziative che oggi tendono ad avviare dei dibattiti per diradare la coltre di nebbia che avvolge questo tema. Pensiamo alla proposta di alcuni consiglieri comunali di Cagliari come Enrico Lobina, che hanno sollevato la questione. Mentre sul piano elettorale, forse è tempo di intraprendere iniziative più coraggiose, come la proposta per l’Istituto di cui abbiamo fatto menzione, munito di esperti, anche di rango internazionale, e fornito di almeno 20 milioni di euro di partenza. Denaro che siamo certi vorrà essere sottratto ad altri capitoli di spesa meno urgenti, per i quali l’ultima Giunta regionale non ha mai faticato nel reperirli.

Sul tema vedere anche l’articolo: Economia, lingua e dispersione scolastica? Ministro Trigilia: ‘La politica modella il capitale sociale’ (Sa Natzione, 11-06-13).

&: Autonomie e D.P.R. n. 752-76: La potenza economica della ‘dogana linguistica’ (Sa Natzione, 01-06-13).

Al seguito invece un articolo di Roberto Bolognesi con degli appunti per sviluppare una politica di pianificazione linguistica: PDF.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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