Ma quale indipendentismo vogliamo? E perché non essere italiani?
Cari Lettori, mi è stato chiesto di riassumere alcuni capisaldi concettuali della nostra visione indipendentista. Si tratta di tematiche che molti di voi hanno già trovato nelle nostre righe, ma non potendo elencare la vastità dei temi trattati mi limiterò ad esporre alcune riflessioni partendo da un breve profilo storico, e che spero possano essere utili ai tanti ultimi arrivati – Adriano Bomboi.
Esaurita l’energia che la rivoluzione francese aveva diffuso in tutta Europa, iniziano a farsi strada nuove interpretazioni nella lettura del rapporto fra il potere e l’individuo. In particolar modo fra il potere dello Stato e il popolo, che ormai aveva assunto una dimensione nazionale, destinata a proiettarsi, da allora in avanti, verso la costituzione degli Stati-nazionali. Pensatori illustri come Benjamin Constant si resero conto che il tema della mancata libertà dell’individuo non era necessariamente connesso all’assenza di leggi ma, proprio con la progressiva affermazione dello Stato, quest’ultimo, con le sue leggi, era ormai pienamente capace di comprimere la libertà degli individui. La fase del Terrore giacobino e l’imperialismo napoleonico avevano dimostrato che la sovranità popolare diretta poteva tradursi nella piena contraddizione dei principi rivoluzionari stessi. Si uccideva perché in nome del popolo si decideva chi era “nemico” del nuovo ordine che aveva spazzato via l’ancien régime. La forza metafisica del Leviatano che un tempo veniva esercitata dai sovrani per “diritto divino” veniva adesso adottata dalla figura impersonale dello Stato: una forza collettiva la cui ideologia era arrivata al punto di voler educare l’individuo stesso a dare forza al nuovo sistema. Diversi storici ravviseranno in questa “pedagogia statale” i germi dei totalitarismi di destra e sinistra che insanguineranno l’Europa del XX° secolo.
Durante l’illuminismo Immanuel Kant mise in guardia i propri lettori da quei governi che avessero abusato del proprio potere per porsi in un ottica paternalista, trattando da incapaci tutti quegli individui finiti sotto la sua sfera di influenza. Creare grandi Stati significava inevitabilmente sacrificare delle minoranze sull’altare della pretesa verticalizzazione amministrativa, sia sul piano culturale che su quello economico.
Se ancora nel XXI° secolo il nuovo dispotismo pubblico si traduce nella forza della maggioranza a danno delle minoranze, le formazioni indipendentiste rappresentano le nuove forze del progresso nei confronti della conservazione. Tuttavia, a differenza dell’opinione espressa dal sociologo Nicolò Migheli, non interpreto in un orizzonte ideologico di sinistra la prospettiva nella quale alimentare nuove speranze di riscatto ed eguaglianza sociale. Il futuro dell’indipendentismo si giocherà nell’accoglimento del pluralismo dei principi come base per superare etichette ideologiche, di destra e sinistra, non più adeguate a rappresentare una realtà complessa. Perché proprio la novecentesca e composita ideologia di sinistra ha contribuito a rallentare sia l’operato riformistico dei movimenti di autodeterminazione, sia ad espandere il verticalismo statale a danno delle minoranze.
- Sugli Stati:
Tale verticalismo si è manifestato in vari modi, nei regimi del ’900, oltre all’assimilazionismo linguistico e culturale, sorretto da una ampia burocrazia, si è determinato attraverso la pianificazione economica. Mentre nelle democrazie occidentali, oltre ad analoghe forme di assimilazionismo culturale, soprattutto a partire dal New Deal in poi, l’interventismo statale in economia di matrice keynesiana è diventato parte integrante tanto delle socialdemocrazie quanto di governi ad orientamento conservatore. Si tratta dello stesso modello che oggi esercita una feroce pressione fiscale a danno di cittadini e imprese, per coprire imponenti debiti pubblici, ed in cui all’alto livello di tassazione, soprattutto in Italia, non corrisponde una adeguata qualità dei servizi erogati. Inoltre, la precarizzazione del lavoro di cui parla Migheli non è riconducibile ad un presunto e astratto neo-liberismo identificato come la causa di tutti i mali, ma piuttosto alla compressione della libera iniziativa determinata dallo statalismo. Poiché al posto di ridare ossigeno all’economia riducendo il carico fiscale si è fatto l’opposto, aumentandolo, e la politica ha posto così le basi della precarizzazione del lavoro dipendente in cui si sono rifugiati piccoli e grandi imprenditori per contenere tutti gli ostacoli e la sottrazione di risorse effettuata dallo Stato.
- Sui movimenti indipendentistici:
Per contro, in antitesi ai centralismi di Stato, i maggiori movimenti indipendentistici occidentali sorti nell’epoca della guerra fredda, in sintonia con nozioni ideologiche terzomondiste in voga all’epoca della decolonizzazione, hanno adottato in vari casi una dialettica di derivazione marxista-leninista, a tratti para-militare. Soprattutto dalla seconda metà degli anni ’60 in poi. Questa corrente di pensiero ha rallentato l’operato delle forze liberali e moderate, anch’esse sensibili alle tematiche dell’autogoverno, nonché maggiormente attente alla difesa della proprietà privata e dei diritti individuali prima che di quelli collettivi. Esempi pratici? Tutti gli indipendentismi che in Europa hanno imbracciato le armi non hanno ottenuto serie conquiste in termini di sovranità a favore delle proprie minoranze nazionali. Mentre nella maggior parte dei casi la sinistra indipendentista moderata si è ritagliata il solo ruolo dell’intransigenza ideologica rispetto ad un sano pragmatismo amministrativo capace di effettuare delle riforme. E’ un retaggio ideologico derivante dal marxismo, in quanto il cambiamento dei rapporti di forza sociali, istituzionali ed economici non veniva inquadrato su base riformista ma solo su base rivoluzionaria. Da qui l’impossibilità per vari indipendentisti di matrice socialista (compresi tantissimi Sardi) di immaginare un percorso graduale e progressivo di conquista della sovranità attraverso proposte riformistiche. Gli esempi della Catalogna e della Scozia sono emblematici: nel primo caso il vasto nazionalismo moderato del CiU ha consentito un serio risultato, e cioè l’ormai consolidata riforma dello Statuto della Comunità Autonoma Catalana, mentre la minoritaria sinistra indipendentista radicale di ERC si oppose (senza successo) alla riforma (in quanto non voleva uno Statuto Autonomo con maggiori poteri ma l’indipendenza tout court). Solo successivamente la sinistra radicale si accorse dei benefici sovranitari ottenuti da una riforma che aveva avversato, trovando utile un percorso graduale di riforma delle istituzioni come elemento di propedeuticità all’indipendenza.
In Scozia, i socialdemocratici nazionalisti dell’SNP svilupparono un serio consenso solo a seguito dell’apertura verso tematiche fino ad allora considerate di esclusivo appannaggio della destra. La scoperta del petrolio (e l’accoglimento di una politica energetica ed ambientalista non più radicale ma diversificata); lo sviluppo del tema della Pubblica Sicurezza (strappato nel voto a distretti storicamente in mano a partiti centralisti laburisti e conservatori che avevano abbandonato il territorio) e lo sviluppo del tema delle liberalizzazioni, hanno spalancato le porte ad un voto di massa che ha portato il nazionalista Alex Salmond al governo di Edimburgo.
E in Sardegna? Eccetto U.R.N. Sardinnya, tanto i partiti centralisti quanto quelli indipendentisti sono digiuni di liberalismo. I Riformatori Sardi, presunti “liberaldemocratici”, in compagnia della destra e della sinistra italiana, paiono a favore della ricapitalizzazione di Abbanoa, cioè di mettere nuovi soldi pubblici nella voragine di bilancio creata dagli stessi partiti che amministrano l’ente idrico, falsamente privatizzato. Il Partito Sardo d’Azione invece propose una “flotta Sarda” pagata dai contribuenti per risolvere il problema dei trasporti, e, a differenza della Catalogna, nessuno ha pensato che forse quello dei trasporti (come dell’energia) non era e non è un problema di operatori ma di regole che dovrebbero contraddistinguere gli operatori del mercato (da qui il senso di una Authority capace di combattere i Trust). Il ritardo ideologico del nostro corpo politico è evidente, e non c’è da stupirsi che nessuno si sia indignato di vivere in uno Stato dove la burocrazia, le tasse sul lavoro e sul patrimonio non hanno eguali in rapporto agli scarsi servizi ricevuti rispetto alla media dei Paesi OCSE. Ma c’è di peggio! Quando mezzo milione di Sardi hanno votato a favore dell’abrogazione delle Province, IRS, ProgReS e vari settori sardisti si sono opposti alla volontà popolare. Gli stessi movimenti che, nonostante i proclami sulla lingua Sarda, non sono riusciti a difendere neppure quella. E tutt’ora non hanno una proposta di riforma dello Statuto Sardo, in particolar modo SNI, IRS, AMPI e ProgReS, che a loro volta contestano al PSD’AZ la storica assenza di risultati pratici.
Riassumendo: abbiamo piccoli movimenti Sardi statalisti, perché non concepiscono seriamente il ruolo dei privati nella gestione di beni e servizi (e dunque, in assenza di pluralismo, viene anche meno l’inutile frammentazione che li contraddistingue); abbiamo movimenti Sardi conservatori, perché non vogliono o non sanno immaginare una riforma delle istituzioni diversa da quelle disegnate dall’attuale assetto costituzionale italiano, magari dando maggiori poteri ai Comuni, e quindi agiscono anche contro il voto referendario del proprio popolo. Abbiamo movimenti che non tutelano seriamente la nostra lingua nazionale, e dunque non si capisce in base a quali parametri dovremmo distinguerci – anche istituzionalmente – rispetto agli altri cittadini della Repubblica sparsi nella penisola.
Vi chiederete perché voglio essere Sardo ed Europeo? Per lo stesso motivo per cui penso che un indipendentismo così strutturato, influenzato dalle ideologie del ’900 e dalla politica italiana, non ha alcun futuro se non innova la propria proposta politica, in quanto non è alternativo ma organico allo status quo.
Non voglio vivere sotto ad istituzioni che impediranno a mio figlio di parlare la propria lingua e di studiare la propria storia. Non voglio vivere in uno Stato che parla di sussidiarietà ma scarica nella mia isola spazzatura e rifiuti speciali provenienti da altre Regioni. Non voglio vivere in uno Stato dove i soldi delle mie tasse servono a pagare enti in perdita ed istituzioni provinciali spesso lontane dalle esigenze delle singole comunità locali. Seppur etero, da liberale, non voglio vivere in uno Stato in cui due cittadini omosessuali non possono godere degli stessi diritti degli altri. Non voglio vivere in uno Stato dove i soldi delle tasse di tanti servono a foraggiare i privilegi di pochi. Non voglio vivere in uno Stato in cui un ex Presidente del Consiglio pluri-indagato continua a determinare il destino di un governo. Non voglio uno Stato che fa entrare la Sardegna in Europa dalla porta di servizio. Non voglio vivere in uno Stato dove una legislazione ed una Magistratura politicizzata riescono a scarcerare dopo pochi giorni trafficanti, criminali e banditi di ogni risma in ogni angolo del Paese, passando più tempo nei giornali che nelle aule di tribunale. Non voglio vivere in uno Stato dove esistono i Senatori a vita, né in uno Stato dove una Agenzia delle Entrate, dietro tutta la retorica sul welfare, ha il potere di sbattere sulla strada delle persone indigenti. Non voglio vivere in uno Stato dove una sinistra collusa con le banche accusa la destra di “neo-liberismo” e dove la destra di liberale non ha proprio nulla. Non voglio vivere sotto ad una Costituzione che nega la nazionalità e la sovranità del mio popolo. Non voglio vivere in uno Stato debole coi forti e forte con i deboli; né in uno Stato dove esiste il bollo auto, la tassa di successione e di donazione. E potrei continuare per ore.
Se l’indipendentismo Sardo non contesterà questo dispotismo statalista e nazionalista italiano non avrà il mio voto. E in quel caso sarebbe meglio emigrare.
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- Sul tema: “Le ragioni di economisti e intellettuali a sostegno dell’indipendentismo contemporaneo” (Sa Natzione, 01-05-13).
U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos
[...] Tutti meno uno, ma Adriano Bomboi non è esattamente un politico: https://www.sanatzione.eu/2013/08/ma-quale-indipendentismo-vogliamo-e-perche-non-essere-italiani/ [...]
Come sempre le Tue analisi sono lucide e, a larghi tratti pure condivisibili. Sull’obiettivo della Repubblica di Sardegna facente parte dell’Unione Europea, nutro forti perplessità. Pur essendomi in passato innamorato dell’idea di un’Europa dei popoli che sarebbero vissuti in un clima di solidarietà e cooperazione, devo prendere atto che oggi viviamo in una Europa dove trionfano la finanza usuraia e speculativa ed i commissari nominati e non eletti, che sovrintendono al governo della U.E., con grandi poteri e godendo di immunità totale, primi responsabili del disastro della nostre economie e della nostra società.
La strada dell’Indipendenza della Sardegna allora non può e non deve, a parer mio, passare dall’Europa, della quale facciamo parte e faremo parte in quanto cittadini italiani. Verosimilmene, il percorso peraltro già tracciato, è quello della riforma in senso federale della Repubblica Italiana, in cui la Sardegna sarebbe uno degli stati indipendente e federato.
Riflessioni interessanti. Che ne dice di parlarne in pubblico, anche in una riunione organizzata dal suo “nemico” Psd’Az? Al sottoscritto non dispiacerebbe se accettasse l’invito. Un cordiale saluto. Gian Cristian Melis segretario provinciale del Psd’Az coordinamento di Nuoro.
Per Pietro Murru, condivido la critica sull’Europa, che ho espresso in altri termini in questo articolo di qualche tempo fa: https://www.sanatzione.eu/2013/06/ma-quale-europa-vogliamo/
Per Gian Cristian Melis: Mai stato nemico del sardismo, critico sicuramente. E certamente avremo occasioni di dialogo.
s’analisi chi asa fatu in limba furistera mi piaghede, ma deo non so andadu in iscola italiana, l’apo imparadu in sa carrera cussa limba e apo fatu fadiga a ti legere, TUE chi ti narasa SARDU e pro sa SARDIGNA DIGNITOSA, proite non lu narasa in limba nostra sos cumentoso narami ? Bi suni medas SARDOSO emigradoso chi s’italianu non lu ischini legere , ma su sardu si, ca in sas domoso de sos sardoso de fora si faedada ancora su sardu e fora da sas domoso faedana sa limba de su paese in ue vivini
Si su sardu fudi faedadu piusu in sardigna forsi s’identidade nostra fudi piusu rissentida dai totu su populu.
La ringrazio della disponibilità anzitututto. In seconda istanza sono dell’idea che le voci critiche sono le benvenute, sopratutto in un partito che sta iniziando un determinato percorso, riflettendo sul perchè delle mancate conquiste, sugli errori fatti e sul futuro, che ha come approdo ad una necessaria indipendenza. Che, ahimè, a causa dei classici “mali di Sardegna” dobbiamo raggiungere prima mentalmente che amministrativamente. Si vedano le questioni linguistiche, fiscali, demaniali, ambientati e quanto altro. Quanto alle occasioni di dialogo la invito sin d’ora alla partecipazione agli incontri che avremo. Magari anche per i primi di settembre all’incontro sulla questione TARES. Se mi fornisce gentilmente una mail provvederò a contattarla.
p.s. Le devo confessare che conoscevo poco questo sito e i suoi contenuti e le dirò che ne diverrò frequentatore.
Ci trova su urn.mediterraneo@gmail.com
A presto!
[...] storia come strumento di preservazione (piuttosto che di rivendicazione) della propria identità (e non solo). Giusto o sbagliato che sia, ogni organizzazione politica nazionalista che ritiene di dover [...]
Solo un messaggio:
Mi sembra di constatare un’ampia possibilità di convergenza.
Un invito a leggere la mia dichiarazione inserita nella prima pagina del mio sito web – a favore di un “FEDERALISMO DEMO-DIRETTO A SOVRANITA’ INTRASFERIBILE” – e farmi avere una vostra valutazione.
http://www.koonylabss.eu
Cordiali saluti.
Francesco Introzzi
3, via Cacciatori delle Alpi
12100 Cuneo CN
[...] e aveva arginato la mediocrità della maggioranza a danno delle singole sensibilità locali. Constant ebbe analogo intendimento, il potere assoluto che Rousseau attribuiva alla volontà generale non [...]