Ma chi sono i gretti nazionalisti? Replica all’artista Gianluca Floris
“Meglio assumere un sottosegretario che una responsabilità”. Così commentava Leo Longanesi quella tipica tendenza italica di rimandare ai posteri la soluzione di un problema sostituendola con l’accomodamento. E l’accomodamento cosa ha prodotto? Una società di “furbi”, dove evitare un problema pare diventato più “dignitoso” che risolverlo. Naturalmente c’è sempre qualcuno che ci rimette, il cittadino onesto. Sergio Ricossa ha scritto persino un manuale per difenderlo, ne è venuto fuori un ironico percorso per distinguere i tratti tipici in cui, dall’economia alla cultura, dalla politica all’istruzione, è facile distinguere l’Italia che sprofonda nel vizio, nel qualunquismo, nel populismo e persino nella mistificazione. In Sardegna non siamo da meno.
Chissà perché, ogni tanto da queste parti salta fuori la sedicente esistenza di un indipendentismo che sarebbe “chiuso e intollerante”… A questo sedicente indipendentismo viene quasi sempre contrapposta la visione di una Sardegna aperta e inclusiva. Come da manuale, stavolta l’intero pacchetto ci è stato offerto da Gianluca Floris (artista lirico Sardo). Floris dichiara con autorevole certezza: “Vorrei una Sardegna diversa da quella grettamente chiusa, reazionaria e nazionalista, arretrata culturalmente e economicamente inutile come molti invece prospettano e addirittura programmaticamente propugnano”. Forse Ricossa non inserirebbe questo pensiero nel girone della furbizia ma in quello dell’ingenuità. Da dove nasce questa posizione? Essenzialmente da una serie di equivoci, in questo caso prodotti tanto dall’autore del pensiero, cioè Floris, quanto da terzi soggetti che in passato possono aver contribuito in lui all’emergere di tale orientamento.
Partiamo da un dato di fatto, in Sardegna non esiste un indipendentismo isolazionista. Fra i circa 13 movimenti autonomisti e indipendentisti Sardi nessuno ha mai posto in cima al proprio programma politico l’autarchia economica dell’isola o il pieno isolamento della stessa dall’Europa e dal consesso internazionale (al massimo una revisione dei rapporti sovraistituzionali al fine di potenziare diritti ed eguaglianza delle minoranze oggi escluse da qualsiasi riconoscimento formale). In secondo luogo Floris confonde il reale significato politologico della terminologia nazionalista con il provincialismo ideologico italico, dove il nazionalismo è erroneamente qualcosa di isolazionista, prevaricatore e intollerante. In una parola, Floris confonde il nazionalismo (semplice e neutro sentimento di appartenenza ad una nazione) con lo sciovinismo. Ecco perché un dizionario fa sempre comodo, ma soprattutto farebbe comodo sapere che proprio il nazionalismo risorgimentale (prima) e fascista (dopo) ha generato il centralismo repubblicano italiano, quello che impedisce a Floris di guardare il mondo a colori. Al contrario, il “nazionalismo autarchico Sardo” da cui Floris vorrebbe fuggire rischia di spingerlo unicamente a idolatrare il colbertismo all’italiana, quello dove la politique italienne decide persino la nostra politica dei Trasporti creando le condizioni per ingessarne lo sviluppo, sia nei cieli che nei mari.
Personalmente ho girato e conosco persone da mezzo mondo, sono un liberalnazionalista e rispetto tutte le minoranze, a patto che queste facciano lo stesso con la mia. Per essere precisi, il mio essere liberale non ha nulla a che vedere con la confusionaria visione di Luciano Marrocu, che pur di non mostrarsi insensibile ad altre culture è pronto a fare carne di porco della propria. Pronto ad annullarsi, come se la lingua Sarda meriti di uscire dal palcoscenico della storia. Ma speriamo che il Quirinale non arrivi mai ad ordinare ai nostri intellettuali di lanciarsi dalla finestra in nome della Costituzione “più bella del mondo”, o lo prenderebbero sul serio.
Almeno abbiamo anche intellettuali sensibili alla dimensione dei problemi locali.
Altro elemento che irrobustisce l’equivoco di Floris a parer mio è proprio quello che purtroppo (e sottolineo purtroppo) arriva dallo stesso ambiente indipendentista. Alcuni indipendentisti infatti non hanno affatto una ideologia che sconfina nello sciovinismo, ma a limite un problema di comunicazione, nel quale troppo spesso si tende ad attaccare l’interlocutore piuttosto che confrontarsi civilmente con esso. Conosco bene il problema perché anni fa venni attaccato verbalmente io stesso per la “colpa” di aver esposto una linea indipendentista liberale rispetto ad un indipendentismo allora prevalentemente post-marxista ed a tratti fortemente euroscettico. Tutt’ora alcuni seguaci dell’autoritarismo socialista faticano a digerire posizioni indipendentiste diverse. Nella loro ideologia l’uniformità dell’imperialismo al capitalismo teorizzata da Lenin è inviolabile, e guai loro a ricordare che l’URSS invase popoli vicini per farne Stati satelliti di Mosca. Ma figuratevi se i Sardi del 2013 hanno tempo per stare dietro a queste fregnacce.
Io invece sono così liberale che mi sento di poter integrare l’articolo di Floris sulla deriva della produzione culturale in Sardegna con la seguente domanda: ma perché la cultura deve essere sempre e solo sostenuta con soldi pubblici? E se invece ragionassimo su forme di defiscalizzazione per chi produce cultura? Anche perché, se ci pensiamo bene, forse la deriva culturale di cui parla Floris si è generata non tanto per l’assenza di un sostegno pubblico, ma perché magari quel sostegno pubblico, per quanto frastagliato, ha sostenuto opere conformi al potere dominante, eterodirette, e capaci di mettere in ombra tutti i liberi intellettuali che invece il cervello non lo hanno mai messo sotto vetro in un museo. Ad esempio, osservando alcuni noti festival letterari Sardi…vi risulta una consolidata presenza della letteratura in lingua Sarda? La risposta la sapete. Al massimo abbiamo valenti scrittori italofoni come Marcello Fois, che nella loro “prosa stilistica” quando devono scrivere “al di là” scrivono “aldilà”, ma l’unico oltretomba a cui ci tocca assistere non è quello della lingua italiana ma quello degli scrittori sardofoni, che pur essendo in carne ed ossa vengono condannati all’oblio da un circuito politico, “culturale”, editoriale e dunque di pubblico che li snobba, che non conosce le loro opere e che ovviamente non le recensisce neppure. Ed è proprio così che si crea il ghetto, la visione arcaica e museale della cultura Sarda, perché oggi i primi ad ignorarla sono i nostri gallonati “intellettuali”. Intellettuali il cui unico prestigio consiste nell’offrire la loro miseranda opera di intermediazione con la cultura dominante, giudicata “superiore”.
Già, a quanto pare lo spirito della “Rinascita” non ha mai veramente abbandonato la Sardegna, abbiamo sempre bisogno che il “progresso italico” illumini la nostra “inadeguata arcaicità”. Che dire? Non dubito della serietà e dell’apertura di Floris, ma se in Sardegna esistono gretti sciovinisti, forse non dovrebbe cercarli nell’indipendentismo ma in ambienti molto vicini al suo.
Adriano Bomboi.
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