Il cemento privato e l’amministratore pubblico: diciamo basta
Si dice che dopo le rivoluzioni non cambi granché, se non i nomi delle vie. Ai padri o ai sostenitori del vecchio corso si sostituiscono gli eroi della gestione subentrante. Nella mia terra, la Gallura, questi avvicendamenti hanno effetti leggermente diversi: cambiano i nomi dei progettisti e delle imprese di costruzioni nei più ricchi cantieri della Costa Smeralda, oppure le marche dei condizionatori e degli impianti idraulici in certi prestigiosi alberghi di Porto Cervo. Ovviamente è solo un caso. So bene che, solo per queste prime righe, sarò insultato e additato come professionista della maldicenza, fama che mi sono peraltro già guadagnato da tempo. Suppongo che tra i miei accusatori possano esservi anche alcuni tra coloro che, ormai dieci anni fa, promossero una martellante ed insistita campagna sulle pagine de La Nuova Sardegna. Chiedevano a mezzo stampa, costoro, che due assessori comunali di Arzachena – uno titolare di florida impresa edile, l’altro ingegnere – sciogliessero il loro conflitto di interessi consistente nell’assunzione di appalti e incarichi professionali nel territorio di cui erano amministratori, nodo che li rendeva incompatibili. Una battaglia di principio sacrosanta, interpretata gagliardamente dal direttivo di un partito oggi estinto, Alleanza nazionale. Ricordo queste sconosciute vicende storiche provinciali perché il problema delle commistioni tra incarichi pubblici ed interessi privati è stato ed è, a mio avviso, uno dei principali ostacoli alla conduzione di politiche amministrative davvero libere ed indipendenti in territori fortemente interessati dall’industria del cemento e dal suo indotto. Difficile trovare amministrazioni comunali, nella Gallura costiera, immuni dalla presenza di componenti in qualche modo legati al mercato dei metri cubi e dell’immobiliare: sindaci e assessori sono spesso costruttori, geometri, architetti, impiantisti e altre figure professionali strettamente funzionali all’industria del mattone. Dinamica assolutamente trasversale tra le aree politiche, perché il centrosinistra partecipa attivamente a questa spartizione e, spesso, i destini politici di certi Comuni sono affidati ad un noto ed onnipotente imprenditore iscritto proprio a quella parte politica.
In definitiva, qual è il problema? Il problema è che nessuno potrà mai essere certo che l’esame e le decisioni su certi imponenti o modesti investimenti, in quei territori, avvengano in maniera del tutto disinteressata, almeno fin quando vi saranno amministratori interessati ad appalti ed incarichi per via delle loro attività professionali. Per questo Alleanza Nazionale, dieci anni fa, al mio paese evocava il conflitto di interessi. In generale, il corto circuito nasce tra gli amministratori interessati agli appalti e i privati interessati ad ottenerli rapidamente e senza complicazioni. Il tutto, ovviamente, alterando le regole del libero mercato.
Oggi il problema merita di essere affrontato con nuovo vigore. In vista delle varianti al Piano paesaggistico e dei nuovi ingenti programmi edilizi – vedi il caso stazzi in Costa Smeralda o i progetti a Porto Pozzo – è il caso di pretendere regole chiari per avere, quantomeno, trasparenza. I privati i loro incarichi possono assegnarli a chi credono, ma sarà bene valutare con occhio diverso e minore permissivismo i casi di aziende riconducibili ad amministratori impegnate in cantieri aperti grazie a licenze rilasciate da quegli stessi amministratori. Si potrà obiettare che, in fin dei conti, sui cartelli dei cantieri i nomi la pubblicazione delle ditte esecutrici è obbligatorio, ma sappiamo bene che questa conoscenza resta spesso limitata agli addetti a lavori. No, il problema è culturale e lo si può risolvere solo erigendo una barriera invalicabile tra la sfera d’influenza dell’amministratore e i suoi interessi privati. Non può essere tollerata, a mio avviso, possibilità di comunicazione tra i due ambiti, istituendo e facendo rispettare i casi di incompatibilità e imponendo ai privati la pubblicazione delle ditte appaltatrici.
Per distinguere, almeno in questi contesti, tra la politica del servizio pubblico e quella del servizio a sé stessi.
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