Quando la Corte Costituzionale discriminò il Popolo Sardo, e Cossiga…
Ne parlammo nel 2009. Vi ricordate gli anni della Giunta Soru? Fra gli aspetti positivi di quella maggioranza vi fu il tentativo di riscrivere lo Statuto Autonomo Sardo, attraverso la Consulta statutaria, poi nel 2007 prontamente bocciata dalla Corte Costituzionale, perché la legge che la istituiva introduceva nel preambolo la dicitura di “Popolo Sardo sovrano”. Secondo i giudici costituzionali non vi erano i presupposti giuridici per poter parlare di un popolo Sardo sovrano, in quanto, in base all’art. 1, comma 2, della Costituzione, ci sarebbe solo un popolo sovrano, evidentemente quello italiano. E non sarebbe quindi possibile sovrapporre l’Autonomia regionale a quella dello Stato, unico detentore di una sovranità diffusa. Eppure nel diritto italiano il Popolo Sardo esiste, si trova all’art. 28 dello Statuto Autonomo Sardo, cioè la legge costituzionale n. 3/48.
Che cosa è accaduto? Sotto un profilo etico e politico, delle istituzioni centrali hanno impedito ad una amministrazione democraticamente eletta di riformare le proprie istituzioni in senso sovranitario. Si potrà obiettare che tale amministrazione si era spinta oltre l’autorità conferitagli dalla natura del proprio mandato. Ma in base a quale diritto lo Stato pose il suo veto? Nessuno, solo in base ad una carta Costituzionale promulgata nel 1948 da individui morti e sepolti. Sapete, fra otto e novecento il giurista inglese James Bryce introdusse i concetti di “costituzione rigida e flessibile”, ricordando che solo la seconda tipologia corrispondeva al vero spirito del costituzionalismo, nato su base contrattualistica, in quanto i popoli che si avvalgono di una Costituzione devono poterla adattare in ogni momento agli inevitabili mutamenti storici, sociali ed economici eventualmente sopravvenuti rispetto alla data della sua prima stesura. Circostanza che risulta più difficoltosa in presenza di una Costituzione rigida, il cui obiettivo di fondo è quello della conservazione, rendendo intangibili i propri enunciati. In oltre mezzo secolo l’Italia ha revisionato varie volte la sua Carta fondamentale, senza tuttavia mettere mai in discussione l’architettura centralista dello Stato-nazione ideologicamente sorto durante il risorgimento. Sotto il profilo del Diritto Costituzionale sappiamo che la sovranità non è imputabile alla solita unità delle istituzioni centrali distinte dagli enti locali, in quanto lo Stato repubblicano suddivide la sovranità su base gerarchica fra i vari enti, centrali e periferici, che lo compongono.
Commentando il caso Sardo, l’allora Ministro per gli Affari Regionali Lanzillotta disse che “non si può rinunciare al principio dell’unità del popolo, titolare della sovranità”, e proseguiva: “Altra cosa è l’esercizio della sovranità, affidato alle diverse istituzioni. Accettare l’idea che il popolo sovrano possa essere spezzettato sarebbe un precedente carico di conseguenze pesanti […] Non c’è un Popolo Sardo”.
Con ogni probabilità il giornalista che intervistò Lanzillotta non conosceva lo Statuto, poiché avrebbe potuto ricordare al Ministro il testo dell’art. 28, oppure evitò semplicemente la domanda ignorando il problema. Oppure ancora lo stesso Ministro non conosceva lo Statuto Sardo. Per analoghe dichiarazioni, nell’Irlanda del nord degli anni settanta un Ministro del genere sarebbe stato linciato dalla folla.
Riflettiamo sulle conseguenze etiche e politiche delle affermazioni di Lanzillotta: si dice che in Italia esiste solo un popolo e non ne esistono altri. E’ falso, perché, al di là delle varie minoranze linguistiche formalmente riconosciute, la suddetta terza legge costituzionale del 1948 dice ben altro. Inoltre, se il popolo sovrano è solo quello italiano e non è divisibile, allora il popolo Sardo sarebbe distinto o integrato a quello italiano? Mistero. Secondo altri commentatori dell’epoca, l’espressione “Popolo Sardo” citata nello Statuto regionale sarebbe una semplice manifestazione culturale dell’autonomia regionale, ma non un soggetto politico sovrano. Niente di più falso, non sarà sovrano ma l’art. 28 attribuisce chiaramente al popolo Sardo l’iniziativa delle leggi. Ne consegue che giuridicamente esiste un soggetto politico e non un corredo da museo.
In Sardegna neppure i sardisti obiettarono su questo basilare dettaglio. Ciò nonostante, sulla base della gerarchia delle fonti, tale popolo Sardo rimane inevitabilmente subordinato a quello italiano menzionato nel primo articolo della Costituzione. Una prima soluzione a questo classico pasticcio all’italiana (che cela l’ipocrisia e l’illiberalismo centralista dello Stato-nazione) venne offerta tempo prima, nel 2006, da Francesco Cossiga. L’ex Presidente della Repubblica presentò in Senato il testo del D.D.L. n. 352 per potenziare la sovranità dell’isola, e dove si introduceva la formula della “nazione nella nazione”, rimanendo tuttavia inascoltato.
Naturalmente le riforme istituzionali rimangono l’unica strada per risolvere questa palese discriminazione operata nel 2007 a carico del Popolo Sardo. La Corte Costituzionale andrebbe smantellata, in considerazione della sua azione di indirizzo politico piuttosto che tecnico, o in alternativa i suoi giudici dovrebbero essere di nomina regionale e non statale. Dunque nell’ambito di una complessiva revisione federale dello Stato. Un efficace metodo per alimentare questo percorso sarebbe quello di valorizzare, anche sotto il profilo statutario, la minoranza linguistica Sarda.
Pensiamoci.
Adriano Bomboi.
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