Vittoria SVP a Bolzano, ma cosa manca ai partiti Sardi per le Regionali 2014?

Grande vittoria della minoranza linguistica a Bolzano alle elezioni per il rinnovo del consiglio provinciale. Il maggior partito autonomista del Sudtirolo ha raccolto il 45,7% dei consensi. Nonostante una leggera flessione rispetto alle scorse elezioni, 131.236 votanti hanno rinnovato la propria fiducia al Südtiroler Volkspartei. Buona performance al secondo posto dei Die Freiheitlichen (51.504 voti, pari al 17,9% della torta elettorale). Nel complesso, il dato decisivo è che anche stavolta i partiti italiani continuano a rappresentare una realtà contenuta dell’autonomia altoatesina (così denominata dall’Italia), attestandosi, fra destra e sinistra, al 26,5% circa dei voti, a conferma dell’enorme potere conferito al territorio dall’esercizio di una propria autonomia fiscale e dall’uso della propria lingua. Confidiamo in una prossima crescita dell’indipendentismo.

E in Sardegna? Mentre i dipendenti ALCOA continuano a protestare a Roma e le famiglie dei disoccupati faticano a far quadrare i conti, c’è una nuova moda che si aggira per la Sardegna. No, non è quella di candidare potenziali delinquenti per peculato, per i partiti italiani è la prassi. La nuova moda l’hanno lanciata i vari indipendentisti, sovranisti e sardisti vari per risollevare l’economia e la cultura isolana. Pare che consista nel fare uno Stato! L’aspetto straordinario è che vogliono farlo senza riformare lo Statuto Autonomo Sardo. Proprio così. Nei vari e disomogenei punti programmatici esposti finora dai candidati indipendentisti spicca l’assenza della riforma dell’Autonomia regionale, caposaldo per l’avvio della sovranità dell’isola. Mentre il tema linguistico pare essersi ridotto a puro corredo propagandistico di scarsa importanza.
Bei tempi quelli in cui l’indipendentismo contestava la classe politica regionale chiedendo riforme, almeno gli indipendentisti facevano gli indipendentisti, oggi vogliono governare senza mettere in discussione l’attuale assetto istituzionale. Che da indipendentisti Sardi si siano trasformati in autonomisti italiani? Magari dovremmo potenziare il tono delle critiche, o contribuiremo ad allevare riformatori senza riforme.
Nei programmi elettorali di tutte le forze autonomiste e indipendentiste occidentali è sempre contemplato un avanzamento istituzionale della sovranità, la Sardegna invece si è ridotta a parlare prevalentemente di “agenzia Sarda delle entrate”. Tutt’al più a voler applicare le parti mai attuate dello Statuto, perché, così dicono loro, “riformare lo Statuto richiede tempo”. Come se non lo sapessimo. Ma allora a cosa servirebbe un indipendentismo che non stimola le grandi riforme? Certo, la piena applicazione statutaria unita ad un avanzamento legislativo è una linea comunque importante e assolutamente da portare avanti, ma che da sola, senza un complessivo ragionamento di revisione dell’assetto regionale, non basterà sicuramente per risollevare le sorti del Popolo Sardo. Questo problema ha pesanti riflessi anche in termini comunicativi. Da un recente dialogo con Marco Zurru, docente di sociologia all’università di Cagliari, è emersa con chiarezza questa lacuna del nazionalismo Sardo, poiché, stando alle osservazioni del mio interlocutore, è parso quasi che l’indipendentismo abbia come unico compito quello di dimostrare la possibilità dell’indipendenza sulla base del contesto socio-economico attuale. In questi termini Zurru ha probabilmente assorbito una visione tristemente offerta da anni dal nostro indipendentismo di testimonianza, “rivoluzionario” a parole, in cui non si è manifestata una valida tendenza riformistica (maturata invece da popoli quali quello scozzese o catalano, che arrivano a prospettare l’indipendenza solo a seguito di importanti riforme istituzionali). In un vecchio articolo del gruppo RCS, a fronte di una finanziaria regionale annuale di circa 7 miliardi di euro, si era stimato in circa 11 miliardi di euro il fabbisogno di una ipotetica Sardegna indipendente (incluso quindi anche il settore della giustizia e dell’ordine pubblico). Stando a tale studio, è chiaro che mancherebbe denaro in saccoccia. Ebbene, l’indipendentismo non deve necessariamente collocarsi su questo piano dialettico, ma deve animare una stagione riformistica che abbia come obiettivo quello di migliorare il capitale umano, e la qualità del nostro capitale sociale, operando anche attraverso il quadro istituzionale (storicamente, fu l’indipendenza irlandese del 1922 a dimostrare quanto un popolo, economicamente dipendente da un terzo, avrebbe potuto risollevare autonomamente la proprio economia, coprendo le falle del nuovo fabbisogno statuale). Abbiamo la necessità di operare affinché si agisca sempre in prospettiva, piuttosto che nella difesa dello status quo. La domanda in questa fase non è: “Possiamo pagarci uno Stato?”, la domanda deve essere: “Quanto possiamo crescere in termini economici e culturali qualora avessimo maggiore sovranità amministrativa?”. Solo a posteriori di tale processo potremmo tirare le somme. Prima di ciò, anche i detrattori dell’indipendentismo non potranno esprimere valutazioni perentorie circa l’effettiva chance di crescita, altrimenti sarebbero unicamente “valutazioni lombrosiane” sulle capacità di sviluppo del Popolo Sardo.

Eppure, se i contenuti programmatici non brillano, quelli tattici non migliorano la situazione. Personalmente non credo al polo progressista unitario di cui parla Vito Biolchini, né credo che il suo auspicio sortirà alcun effetto o che l’indipendentismo svanisca. Tutte le sigle territoriali sono responsabili di scissioni e di protagonismi che non hanno premiato alcuna tattica o programma elettorale, indebolendo il nazionalismo Sardo. Ma indebolirsi non significa sparire. Concordo con Franco Branca quando sostiene che questa particolare congiuntura politico-economica di crisi avrebbe potuto premiare una coalizione sovranista. Opinione condivisa anche dal Polo Identitario Sardo di discussione animato da Paolo Biancu. Ciò di cui non si tiene conto è che la mediocrità della nostra dirigenza indipendentista ha la capacità di sopravvivere ai frangenti elettorali, proprio perché non ha fra i suoi obiettivi fondamentali il perseguimento di un processo riformistico, rendendosi così immune da ogni negativo responso delle urne e dei suoi sbarramenti percentuali. Infatti, per un qualsiasi partito italiano un particolare crollo dei consensi può essere fonte di disgregazione, mentre per i piccoli movimenti indipendentisti, privi di qualsiasi autocritica del proprio operato, continua a pesare la logica della testimonianza, dietro cui le solite facce da anni non ritengono di riformarsi verso un progetto aperto al rinnovamento e capace di premiare i risultati. Ancora oggi la nostra proposta di utilizzare le primarie come strumento di razionalizzazione dell’ambiente indipendentista è rimasta lettera morta. Se da una parte non è ancora chiaro cosa faranno Sardigna Natzione ed IRS (quest’ultima ancora sulla riva del fiume ad osservare il Movimento 5 Stelle), dall’altra abbiamo il Fronte Unidu Indipendentista (formato essenzialmente da AMPI, Manca Democratica e Sis-ma), dove l’aspetto positivo è che si è cercato di creare una partecipazione democratica per la scelta dei candidati territoriali, ma su cui pesa la scarsità di consensi ed una chiusura ideologica a soggetti politici che hanno scelto di abbandonare i partiti italiani a favore dell’indipendentismo. Da un altra parte abbiamo il ProgReS, guidato, assieme a liste minoritarie, da Michela Murgia (che rispetto al FIU ha capacità di riscuotere consensi); ed il polo sovranista di Paolo Maninchedda e Franciscu Sedda (PDS), cui si è recentemente avvicinato il movimento RossoMori di Gesuino Muledda e Salvatore Melis. Dobbiamo poi considerare l’apparentamento di Fortza Paris con Unidos di Mauro Pili. Inclusi Andrea Prato e Doddore Meloni, oscillanti in area sardista fra Pili e Sanna. Infine proprio il Partito Sardo d’Azione, che dopo aver liquidato Maninchedda come suo miglior candidato, ha sposato l’infelice scelta di sostenere l’indagata Francesca Barracciu del PD, in un centrosinistra su cui per adesso gravita anche Sardigna Libera di Claudia Zuncheddu. Pensate, c’è chi crede di raggiungere la presidenza. Il polo sovranista appare così frazionato in circa sei potenziali liste elettorali, di cui solo tre, per esagerare, riscuoteranno validi consensi elettorali (spero che coloro i quali ci chiedono spesso un impegno pubblico diretto si rendano conto di quale situazione abbiamo di fronte). C’è da sperare che il dialogo Muledda-Maninchedda con Michela Murgia porti ad un qualche accordo elettorale.

Ci sono aspetti positivi in questo contesto? Fortunatamente si. Come già avvenuto in altre minoranze nazionali, anche in Sardegna i partiti centralisti stanno affrontando un processo di disarticolazione interna e di progressivo adeguamento alle tematiche dei movimenti territoriali (ciò non significa che l’indipendentismo Sardo abbia ben operato per arrivare solo nel 2013 a questo risultato). E’ prematuro poter prevedere quali esiti avrà il fenomeno e quale ruolo giocheranno proprio le forze indipendentiste, incapaci di capitalizzare in termini riformistici il malessere diffuso. Non bisogna quindi leggere negativamente la scelta dell’On. Mauro Pili di rendere autonomo il movimento Unidos dal PDL. Ciò che deve preoccupare maggiormente i nostri sforzi è quello di rivitalizzare la spinta riformistica dei movimenti, storicamente abbandonata dal sardismo, e recuperare quindi il senso dell’azione politica indipendentista, che evidentemente non si occupa di ordinaria amministrazione. Se le sigle sovraniste non matureranno questa consapevolezza, il rischio sarà sempre e solo quello di creare amministrazioni sorrette da compromessi al ribasso, dove ogni eventuale alleanza elettorale con partiti italiani non sarà funzionale ad una crescita collettiva nella qualità della governance regionale, e dove i movimenti Sardi si ridurranno ad essere semplici appendici di supporto al centralismo italiano. E ciò non sarebbe una novità.

Adriano Bomboi.

- Articolo correlato: “PNS – Una Costituente per il Partito Nazionale Sardo” (Sa Natzione, 01-03-13).

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