Quel tabù chiamato Costituzione
L’intesa Berlusconi-Renzi sulle grandi riforme istituzionali ha portato a galla alcuni timori della sinistra italiana attorno all’integrità della Carta Costituzionale, mentre in Sardegna la sinistra locale ha dovuto confrontarsi con l’indipendentismo, timorosa di veder incrinati i valori sorti dalla resistenza, e che hanno dato vita alla nostra Repubblica. Valori che sono stati portati avanti anche dalla cultura cattolica, da quella azionista e, purtroppo, in modo contenuto, da quella liberale. Naturalmente l’indipendentismo non ha dimenticato il sacrificio di quanti si sono battuti per la libertà contro il regime nazifascista, ma nel 2014 è tempo di ragionare su un modello di sovranità al passo con i tempi per la tutela della libertà individuale, culturale ed economica. Il dibattito sullo sviluppo della nostra democrazia non potrà più basarsi sulla conservazione di una Carta le cui radici ideologiche affondano nel mito dell’ideologia risorgimentale. Oggi ben tre quarti dell’Europa si sono avviati verso una formula istituzionale federale, ed in particolare, nel cuore del vecchio continente, dal 2003 il Principato del Liechtenstein ha riformato una delle Costituzioni più avanzate del pianeta, in cui all’art. 4 si è stabilito il diritto di secessione. Si tratta di un istituto giuridico liberale che per la prima volta demolisce il dogma dell’indivisibilità di uno Stato all’interno dei classici principi costituzionali odierni, desacralizzando la staticità del governo centrale come principale detentore della sovranità. In tempi in cui le Regioni sono attraversate da scandali sull’uso illecito del denaro pubblico, sarebbe opportuno distinguere le responsabilità politiche da quelle istituzionali, adoperandoci per sviluppare la nostra autonomia fiscale rispetto a quella dello Stato, assieme al nostro fondamentale patrimonio storico e linguistico. Perché partecipare al futuro dell’Europa significa tornare allo spirito originario del contrattualismo, quando le Costituzioni dovevano servire i cittadini e non il contrario.
Adriano Bomboi.
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