Le proposte del Movimento Pastori Sardi – Intervista a Felice Floris

Di Francesco Giorgioni.

L’assemblea dei rappresentanti dei comitati di zona dei pastori, convocata a Tramatza, ha stabilito l’inizio di una nuova fase di mobilitazione e ha indetto una manifestazione dei pastori sardi a Cagliari, prevista per il 23 settembre 2014.

Il malessere delle campagne in quest’ultimo anno si è acuito a causa di due elementi.
Il primo è la conferma che le denunce del Movimento contro l’uso indiscriminato dei vaccini contro la “Lingua Blu” avevano un fondamento. Queste denunce, benché solitarie, hanno condotto finalmente all’interessamento della Magistratura e hanno scosso alla radice la fiducia dei pastori nell’apparato tecnico e amministrativo.

Il secondo elemento riguarda la capacità della politica sarda e dei rappresentanti sardi dei sindacati agricoli nazionali di difendere gli interessi economici della Sardegna. Sotto questo punto di vista, il Movimento dei pastori aveva nel corso degli anni recenti riposto grandi speranza nella riforma della Politica agricola comunitaria voluta dal Commissario europeo all’agricoltura Dacian Ciolos.

La giunta Cappellacci ha fallito la sua missione, non avendo partecipato ai tavoli dove si decidevano i piani nazionali e non accorgendosi nemmeno che il comparto ovi-caprino non era presente nei programmi che dovevano tradurre la politica agricola comunitaria nel quadro nazionale italiano.
Ci troviamo dentro una nuova fase politica e dunque è interessante capire quali sono le radici del malcontento dei pastori e le loro richieste. Per comprendere queste ragioni, abbiamo intervistato il leader del Movimento dei Pastori Sardi Felice Floris.

Cosa è cambiato con la nuova politica agricola comunitaria?

“La nuova Pac avrebbe dovuto fare piazza pulita di 14 anni di politiche agricole comunitarie totalmente disastrosi. Dopo il 2000, infatti, si impone la politica del disaccoppiamento degli aiuti che premia non la produzione ma la rendita. Cosicché il premio comunitario finisce per andare a chi possiede la terra, in base a “titoli storici”, e non a chi la lavora. È dunque una modifica di natura parassitaria che penalizza la produzione.
L’agricoltura riceve aiuti senza coltivare le terre. E questo come vedremo danneggia i pastori stessi i quali invece hanno continuato a produrre”.

Il pastore non può fare come l’agricoltore, cioè ritirarsi i premi e stare tranquillo?

“Assolutamente no! Per i pastori è diverso, devono tenere in vita gli animali e sono obbligati a lavorare. Con Ciolos si intendeva portare un po’ di giustizia. L’indirizzo era quello di investire nei beni pubblici, aree agricole, aree demaniali, aree forestali. Soprattutto a vantaggio delle produzioni locali che hanno tenuto in piedi un certo tipo di cultura e tradizione”.

Quindi voi auspicate una Pac che smetta di privilegiare la produzione intensiva e incominci a guardare alla qualità del lavoro e dell’ambiente? Tutti i cittadini oggi si aspettano una svolta di questo tipo: chi sono dunque i nemici?

“Già dalle prime battute si era creata una barriera, perché nella vecchia Pac chi aveva le terre buone, come nel Nord Italia, si beccava molti soldi mentre le regioni mediterranee, come la Sardegna, finivano per essere gravemente penalizzate. In sostanza, la maggior parte dei soldi dell’Europa agricola finiscono nelle tasche della grande industria alimentare del Nord.
Questa riforma avrebbe dovuto portare molti soldi alla Sardegna, ci aspettavamo il dovuto riequilibrio a livello nazionale”.

E invece?

“Fatto sta che le agricolture forti, attraverso le strutture sindacali nazionali (Confagricoltura, Cia, Coldiretti, ecc.) sono riuscite a difendere i propri interessi. Questo perché, i sindacati agricoli hanno la loro base soprattutto nelle regioni del Nord Italia, e sono dunque dominati da gruppi che hanno interessi legati all’agricoltura industriale delle aree forti. I sindacati nazionali non hanno rappresentato gli interessi delle aree deboli. Agli incontri Stato-regioni la Sardegna e altre regioni più deboli non sono neanche andate al tavolo. I rappresentanti del governo regionale senza stimoli delle organizzazioni agricole non hanno difeso gli interessi della Sardegna. Morale, nel 2014 chi prendeva molto prima continua a prendere molto anche adesso e chi prendeva poco continuerà a prendere poco, almeno come aiuti diretti.

Quindi l’Italia si è dimenticata della Sardegna?

“La cosa più terribile è che la pastorizia non è stata inserita nel quadro zoo-tecnico nazionale. Nel dibattito nazionale è stato tralasciato il comparto dell’ovi-caprino, marginale altrove ma determinante in Sardegna”.

Si sono dimenticati delle capre e delle pecore…

“Esatto. Invece avrebbero dovuto finanziare quel territorio dove si fa pascolo e si difende l’ambiente. Il territorio della Sardegna è ad alta vocazione pastorale e quindi un politico serio avrebbe dovuto ricordare che da noi tutto il territorio viene utilizzato per produzione. C’è un’economia che gira intorno alla pastorizia e invece fanno passare il messaggio che i pastori vogliono un sostegno parassitario. Ma non è così. Al contrario, noi vogliamo che il sostegno vada solo a chi lavora veramente. Oggi invece, purtroppo, va a chi ha le terre a prescindere che le lavori o meno.

Quindi non siamo ancora usciti dalla rendita parassitaria in Sardegna?

“No. Questi meccanismi ne permettono la riproduzione. E noi siamo i primi a scontarla”.

Ad esempio?

“Quello che prendono con gli aiuti – poco o tanto – è sempre superiore agli affitti che i proprietari prenderebbero affittandole, quindi tolgono terre alla produzione e impediscono ai pastori di lavorarle. Questo l’abbiamo denunciato. Tutti sapevano e tutti sono stati zitti. Questi hanno fatto i furbi, dicono che i pastori guadagnano qualcosa. In realtà la Sardegna non guadagnerà ma perderà”.

Si spieghi meglio.

“Con la riforma di Ciolos, un paese come Desulo avrebbe preso il premio sui terreni di Castagno, sui lecceti, sulla macchia, perché sono un semipascolo e c’è una manutenzione. E avrebbe dato una boccata di ossigeno alle zone interne e marginali. La Sardegna avrebbe preso un contributo complessivamente maggiore. Il livellamento dei 300 euro avrebbe funzionato per tutta la Sardegna e non solo per alcune zone produttive. Ma non c’era nessuno al tavolo delle trattative.
Le organizzazioni agricole hanno preferito far calare il sipario, privilegiando le zone produttive del nord. Hanno fatto passare come rendita parassitaria la nostra forma di produzione”.

Ma perché scendete in piazza quando al governo della Regione c’è un nuovo governo che non ha responsabilità sotto questo punto di vista?

“Il nuovo governo regionale ha avuto tempo per cambiare questa distribuzione delle carte. Ancora questa primavera c’era la possibilità di cambiamento. Tenga conto che esiste una responsabilità dell’amministrazione regionale nel suo complesso. I funzionari della Regione c’erano anche prima. Che allora paghino loro. Per questa trascuratezza abbiamo perso circa 200 milioni l’anno per sette anni, 200 milioni di premi aggiuntivi. Soldi che il contribuente ha pagato ma sono andati ad altri”.

Floris, qual è il suo obiettivo?

“Secondo me se i pastori in Sardegna si mobilitano in maniera continuata è possibile riaprire un discorso a livello nazionale. Bruxelles ha dato i soldi dicendo: adesso gestitevi voi la divisione. Ma se i pastori denunciano il tradimento della riforma forse possiamo riaprire la partita. Ed è nell’interesse di tutta l’Isola e anche di chi la governa.
Noi vogliamo spingere l’attuale Giunta Regionale e l’assessore Falchi a riaprire i giochi a livello nazionale. Dobbiamo dare una scossa anche a tutti i sardi che vivono nelle zone rurali. E’ in gioco il futuro della Sardegna rurale. Senza cadere nel discorso del finanziamento per non produrre. Noi vogliamo sostenere la produzione. E quindi i soldi li vogliamo anche sui boschi di lecci e i castagneti. Perché nei castagneti e nei lecceti gli animali mangiano castagne e ghiande. È pascolo! Così come danno i soldi per le terre dove vi sono le produzioni del Nord, così devono darli a noi”.

Dunque secondo lei c’è una responsabilità anche di questa giunta?

“La Sardegna con il nuovo Piano di sviluppo non ha recuperato neanche il 3% dell’inflazione rispetto al 2007. Inoltre, poiché la Sardegna non era presente agli incontri dovrà mettere 200 milioni in più di co-finanziamento, questi soldi dovranno essere tolti da altre politiche di sviluppo.
Per spendere questi soldi la Sardegna deve aggiungere risorse proprie, che non ci sono”.

Ma il governo regionale attuale cosa c’entra?

“C’entra. In primo luogo da marzo a oggi aveva tutto il tempo per agire su questo fronte. In secondo luogo, oggi si apre la questione di come saranno spesi i soldi e su come verrà programmata l’attività del settore agro-pastorale per i prossimi sei anni. E occorre cercare di vedere gli interessi in campo. I pastori rischiano di perdere ancora una volta”.

Quali sono gli interessi in campo?

“Si sa, i progettisti tireranno a costruire. E in un momento dove i singoli produttori non hanno risorse per fare, lasceranno campo libero all’agro-industriale. Noi vogliamo spenderli per lo sviluppo del nostro settore.

Quali sono le vostre principali richieste sotto il profilo del Piano di Sviluppo Regionale?

“La questione dell’elettrificazione. Migliaia di aziende non hanno l’elettricità. L’Enel non spende un soldo in campagna dagli anni sessanta. A quel punto si possono realizzare forme di produzione che realizzino l’autosufficienza energetica attraverso i pannelli solari, piccole torri e quant’altro. Noi non vogliamo le grandi torri di produzione ma la micro-produzione per il fabbisogno aziendale, così da combattere la speculazione e favorire la produzione. Per noi è essenziale. Il pastore risparmierebbe sei o sette centesimi per litro di latte. E la Regione intascherebbe il necessario per pagare il costo dell’impianto e le spese istituzionali e, in più resterebbero soldi per fare altre opere. Soldi che ogni anno vengono regalati agli speculatori. Stiamo parlando di strutture. Cose che restano e aiutano il comparto a essere competitivo. E darebbe modo di impiegare centinaia e centinaia di operai nel territorio e distribuirne la ricchezza. Stiamo parlando di una montagna di soldi. Tutti i montatori in Sardegna sarebbero in stato di arruolamento. Per fare questo bisogna che la politica buona sostenga questo progetto mettendo all’angolo gli speculatori”.

Altre proposte?

“Portare le strade agli ovili. Abbiamo visto che ritirare il latte costa da 5 a 8 centesimi per litro di latte. E portare anche l’acqua potabile. Le norme europee dicono che per produrre il latte ci vuole l’acqua potabile ma non hanno dato possibilità. Non hanno neanche mai preso in considerazione la necessità di portarla, eppure è fondamentale per la nostra produzione. Oggi ti arrangi, magari portando l’acqua con le cisterne. Volendo ti mettono in crisi. Allora bisogna fare investimenti per portare l’acqua potabile. Sono investimenti strutturali che restano”.

Il problema oggi non è più quello del prezzo del latte?

“Il prezzo del latte come quello della carne e di tutti gli altri prodotti restano fondamentali e sono un aspetto della crisi. Dobbiamo far tornare i giovani in campagna. Le nuove generazioni, per continuare devono partire da questa base, altrimenti non ci sarà inserimento di giovani. E’ un momento storico per dare dignità al contadino. Riportarlo a seminare le terre. Come? Dandogli incentivi, l’acqua gratis o a un prezzo simbolico. In funzione di una produzione legata all’allevamento che in Sardegna è notevole. Animali che hanno bisogno sopratutto di proteine. Bisogna dare grandi incentivi e strutture per creare tutto il fabbisogno alimentare. Il Medio Campidano ha iniziato dando gli incentivi per le fave. E ha funzionato. Bisogna insistere su quella strada. Importiamo migliaia di tonnellate di materie prime e mangimi da fuori. Possiamo produrle noi”.

Ma la Sardegna è flagellata da malattie? Com’è possibile? Molti danno la colpa all’allevamento allo stato brado.

“È una follia. Noi incominciamo a sospettare che le malattie le diffondano a bell’apposta. C’è tanta gente che ci mangia”.

Come uscirne?

“Nelle nostre proposte per il nuovo Piano di sviluppo regionale rientra la questione della quarantena. Guardi la Lingua Blu: sono 14 anni che insistono con metodi di intervento che rendono il problema endemico. Non abbiamo nulla contro il vaccino in sé, ma nel caso della blue tongue si può combattere diversamente.
Dal momento che possiamo combattere l’insetto vettore non è necessario caricare gli animali di ulteriori vaccini. Non è necessario eliminare del tutto l’insetto, serve anche quello nell’equilibrio ecologico, ma va ridotto il numero. Vale anche per la febbre del Nilo ed altre epizoozie. Azioni a tappeto.
Poi bisogna istituire nei porti e aeroporti delle zone di quarantena per tutti gli animali che arrivano. Si fanno le analisi e – se tutto è okay – entrano, altrimenti via! Il mare è un cordone sanitario naturale. La Sardegna potrebbe essere un’isola felice. Negli Stati Uniti neanche ti fanno entrare se porti gli scarponi con i quali hai camminato in un allevamento europeo. La Regione dice che ci vogliono soldi, ma per rimediare ai danni spendiamo 10 volte di più”.

Prima ha parlato del ricambio generazionale. Il finanziamento di 35 mila euro della misura del “Primo insediamento” va in questa direzione.

“Purtroppo in questi concorsi vincono sempre le persone che in campagna non ci vanno. Vincono i figli dei funzionari. Per lavorare in campagna sembra che contino i titoli di studio. Per i figli dei pastori non rimane molto spazio. C’è gente che ha ottenuto il finanziamento, ma è iscritta all’università. Già dal momento in cui pigliano i soldi, in campagna non vanno più. Perché sono dei figuranti. Sarebbe diverso se i soldi venissero dati a giovani che stanno in agricoltura. A prescindere che siano già iscritti o meno in una posizione assicurativa. Anzi questa sarebbe una garanzia perché già stanno in campagna. E, dando un incentivo, partirebbero con una marcia in più, creando il ricambio tanto atteso. Anzi, raddoppierei l’importo portandolo da 35 a 70 mila € e il vincolo di permanenza in campagna da cinque a dieci anni”.

Voi volete dunque sedervi al tavolo di discussione del Psr?

“Noi abbiamo delle proposte e l’intenzione di difendere gli interessi reali del settore ovi-caprino. A noi interessa che le nostre proposte diventino parte integrante del Piano di sviluppo rurale”.

Perché il movimento dei pastori non viene convocato?

“Perché c’è la pressione dei rappresentanti sardi dei sindacati agricoli nazionali e ci manca la sponda politica: dicono che non siamo un sindacato istituzionale. Giocano a non darci il riconoscimento politico che ci spetta”.

Vi negano la legittimità politica a sedervi a un tavolo di discussione?

“Sembra proprio di sì. Ma è un’assurdità. Il movimento pastori esiste da 25 anni. Tra i partiti che siedono oggi in Consiglio Regionale solo il PSd’Az ha una storia più lunga della nostra! Inoltre, ci siamo già seduti ai tavoli istituzionali in Sardegna, a Roma e a Bruxelles. Abbiamo incontrato assessori regionali, governatori e ministri di Roma. Siamo stati ricevuti dallo stesso Ciolos. È assurdo ritenere che non abbiamo legittimità politica. Questa legittimità ce la siamo conquistata sul campo difendendo gli interessi legittimi dei pastori”.

Ma qual è l’obiettivo della manifestazione del 23?

“Dare coraggio alla Sardegna intera. Si può lottare e si deve lottare per difendere i nostri interessi nazionali (della Sardegna Nda.). Pungolare il governo regionale per fare di più e meglio. La politica sarda finora è stata debole e i sindacati agricoli sardi succubi delle segreterie romane. Gli interessi delle regioni del Nord hanno trionfato con la complicità o l’insipienza di funzionari e politici sardi. Questa giunta può riuscire a riaprire la partita. Ma per farlo ha bisogno di noi. Se ascoltano i sindacati agricoli sardi, si tratta solo di amministrare l’elemosina romana. Ma con la nostra spinta possono ritornare a Roma e a Bruxelles. Con la nostra forza possono riuscire a riaprire una partita che sembra persa e riportare a casa le risorse che sono state perse. Per quanto riguarda il PSR, Pigliaru non sarà insensibile alle nostre parole. Noi vogliamo che si sostenga la produzione e vogliamo combattere il parassitismo. Deve decidersi e liberarsi delle zavorre. Di chi è legato alle logiche di potere clientelare. Noi siamo pronti a discutere con chi si pone su questo piano!”

Da SardegnaBlogger, 17-09-14.

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Redazione SANATZIONE.EU

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