Cinema indipendente: Calvary, la Chiesa nel terzo millennio
Trailer “Calvary” – Fox Searchlight Pictures 2014 (Wmv).
Di Adriano Bomboi.
“Diffidente sulla reale possibilità di elaborare criteri etici di distribuzione di risorse scarse, al liberale scettico viene in mente che quando Gesù si trovò a dover dividere beni scarsi preferì fare il miracolo di moltiplicarli”.
Così Raimondo Cubeddu in una riflessione di alcuni anni fa esemplificava i complessi rapporti della dottrina sociale della Chiesa con la filosofia della libertà e del mercato. Ma al di là della facoltà di combinare le istanze della giustizia sociale alla dinamica del capitalismo, o delle disquisizioni metafisiche di Jean-Luc Marion in rapporto alla teologia della Chiesa, oggi il clero si trova attraversato da altri grandi dilemmi, più pratici che teorici. E cioè la sfida imposta da una società sempre più secolarizzata e progressista, ma anche con la necessità di contrastare preoccupanti fenomeni sommersi, come la corruzione morale e la pedofilia. Un efficace ritratto di questi ultimi problemi è stato esposto dal cinema indipendente di John Micheal McDonagh, che nel 2014 ha diretto il film “Calvary”, con Brendan Gleeson nei panni di padre James.
Siamo sullo sfondo di una piccola Chiesa irlandese di frontiera, dove si muove un popolo di atei, di viziosi e di corrotti, e dove padre James non si occupa di imporre la propria fede a chi ha idee diverse dalle sue, ma proprio in ragione della sua fede si attiva per offrire un aiuto o indicare una strada concreta a quanti possono aver smarrito la fiducia nel futuro. Contrastando così un ripiegamento sociale verso il nichilismo più assoluto. Ancor più interessante è osservare chi aiuta padre James a maturare questa posizione: non un corrotto, non un vizioso, ma una vittima. Una vittima di pedofilia che da giovane pagò il silenzio della Chiesa che lo aveva abusato, e che oggi decide di vendicarsi proprio su padre James, considerato come l’ultimo sincero baluardo di un clero messo alle strette da un mondo che non tollera più tradizionali guide morali. Bisogna ricordarlo, l’opera di McDonagh è una commedia nera, ma lo straordinario equilibrio della sceneggiatura alterna le fasi di una autentica opera drammatica alla leggera quotidianità dei suoi personaggi. Lo spettatore non può ridere ma neppure piangere, forse può solo riflettere. E può interrogarsi sulle scelte della vittima: perché chi non può essere più amato forse vuole essere solo ammirato, magari temuto. E se non temuto almeno odiato e disprezzato, ma pur sempre al centro di una realtà in decadenza, a cui la Chiesa cerca di rimanere aggrappata, fino al sacrificio finale. Un sacrificio che ha l’obiettivo di scuotere le coscienze, contro una vergogna nascosta agli occhi del grande pubblico per tanti lunghi anni.
Ecco perché in “Calvary” vittime e carnefici accettano di venirsi incontro scambiandosi i ruoli.
La figura di padre James richiama inevitabilmente alla memoria il protagonista dell’opera di Georges Bernanos, “Diario di un curato di campagna”, del 1936, dove la fede trovava giustificazione sopra ogni male, e dove, tutto sommato, il sacrificio del protagonista, in pieno spirito cristiano, gettava le basi della sua rinascita spirituale.
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