Mitologia redistributiva: Maninchedda propone la patrimoniale, ma i tempi di Einaudi sono finiti
Nell’ultimo articolo dell’assessore regionale ai lavori pubblici Paolo Maninchedda, dal titolo “C’è puzza”, il sovranista ha rilanciato l’idea di una patrimoniale come strumento per la riduzione del debito pubblico italiano. Se nel discorso si possono condividere i principi di contrasto ad un governo centrale che vede nello Stato e non nelle Regioni una condivisa responsabilità per la soluzione dei problemi, altrettanto non si può dire per la proposta di una mini-patrimoniale.
Sono stati numerosi nel tempo i sostenitori di questa soluzione, nelle cui radici si annoverano nomi come David Ricardo e Luigi Einaudi. Per il primo si trattava di una misura di opposizione all’emissione del debito pubblico, per il secondo uno strumento che avrebbe consentito di frenare la tendenza al rialzo della complessiva imposizione fiscale. La tipologia di patrimoniale che ci interessa in questa sede riguarda una patrimoniale straordinaria, cioè una tantum, o comunque un prelievo forzoso che i cittadini dovrebbero subire nel miraggio di ridurre (o dimezzare?) gli attuali 2.168,4 miliardi di debito pubblico dell’Italia (stando alla stima annuale offerta da Bankitalia). Tale riduzione del debito pubblico “consentirebbe” poi alla politica di liberare risorse per il welfare e lo sviluppo. Tuttavia questa teologia interventista non tiene conto di altre argomentazioni, rendendo ingenua l’idea che possa produrre risultati concreti. Ne offro una sintesi:
Oggi sappiamo che in Italia ad ogni incremento della pressione fiscale non è mai corrisposta una riduzione del debito pubblico (si vedano le pubblicazioni dell’economista Vito Tanzi e dell’Istituto Bruno Leoni). Difficilmente nel presente un liberale come Einaudi avrebbe dato il suo assenso ad un nuovo prelievo dalle tasche dei cittadini in presenza di un fiscalismo che si aggira, punto più, punto meno, attorno al 70% dei redditi e dei ricavi dei privati.
Traduco per chi non frequenta la finanza pubblica: più i politici hanno incamerato tasse, più le hanno sperperate. Infatti, come ha sostenuto anche l’economista Alberto Alesina, una patrimoniale si configurerebbe solo come un temporaneo palliativo, e fin dal giorno successivo il debito pubblico ripartirebbe nella sua scalata verso l’alto.
Dobbiamo inoltre considerare che una nuova sottrazione di denaro a carico dei contribuenti comporterebbe una ulteriore flessione dei consumi, il cui rilancio invece sarebbe vitale rispetto ad una economia di assistenza come quella italiana, dove il settore pubblico consuma più ricchezza di quella prodotta dal privato.
Altra argomentazione: è mai esistita in Italia una programmazione per lo sviluppo seguita all’applicazione delle patrimoniali? E si intende anche la patrimoniale sostenuta da Giuliano Amato nei primi anni Novanta. La risposta è no. L’idea che lo Stato sappia poi liberare risorse per lo sviluppo (senza sapere dove e come programmare) è una mitologia keynesista. Forse buona solo per alimentare gli animi di quanti credono che lo Stato possa trasferire con profitto i soldi di chi se li è guadagnati verso le fasce più indigenti della popolazione. Ma queste ultime non vanno assistite, né “educate” o guidate da una mano paternalistica. Vanno semplicemente messe nelle condizioni fiscali, burocratiche e culturali per potersi sviluppare autonomamente.
E se non vi bastassero le argomentazioni politiche ed economiche ci sono anche quelle morali: in base a quale diritto un privato od una azienda dovrebbe farsi prelevare del denaro? Forse per sanare i misfatti e i privilegi della classe politica e del ceto impiegatizio? L’assessorato regionale ai lavori pubblici ha già versato milioni di euro dei cittadini nelle casse di Abbanoa, un ente dove a Sassari gli impiegati vanno a spasso dopo aver timbrato il cartellino.
Che fare dunque? Niente patrimoniali ma revisione del sistema fiscale. Bisogna ridurre le tasse e la burocrazia. E naturalmente bisogna ridurre la spesa tagliando enti e partecipate inutili. Bene Maninchedda ogni qual volta sostiene l’opportunità di razionalizzare e ottimizzare la spesa sanitaria.
Mi rendo conto che per un sovranista sarebbe più semplice fare il liberale d’opposizione che di governo, perché tagliare realmente la spesa pubblica significa perdere consensi elettorali. Ma se il Partito dei Sardi intende lasciare un’impronta positiva in questa grigia legislatura, dovrà iniziare a rendersi antipatico nei confronti di qualcuno.
Un consiglio sulla riscrittura dello Statuto Autonomo: si torni a parlare di Costituente e di coinvolgimento popolare. La sola Giunta Pigliaru non ha lo spessore politico per intraprendere una simile riforma.
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U.R.N. Sardinnya ONLINE
Se spessore poteva avere questa giunta, è stato appena rullato dal confronto col governo italiano.