Banca mondiale sbugiarda Piketty: 1 miliardo di poveri in meno. E i Sardi?

Di Adriano Bomboi.

Chi si ricorda il prodigioso testo di Bernard de Mandeville? Nella prima metà del Settecento venne data alle stampe la “Favola delle api”, si trattava di un poemetto satirico incentrato sulle virtù celate nei vizi della nostra società. L’Inghilterra si avviava verso la rivoluzione industriale e Mandeville si scagliò contro l’ipocrisia dilagante dell’umiltà, quella che oggi prende il nome di “decrescita felice”. Perché in realtà – parafrasando l’autore – i vizi rappresentavano il motore del nascente capitalismo moderno. Poiché il soddisfacimento dei bisogni individuali, inclusi quelli delle classi alte, generavano il lavoro che occupava le classi basse (e la futura possibilità per queste ultime di elevarsi verso il ceto medio). Non a caso, come notò anche l’insospettabile Gramsci, sarà solo grazie al fordismo che masse immense di lavoratori verranno strappate alla stagnazione del pauperismo ed alle suggestioni del socialismo rivoluzionario per approdare agli agi della civiltà dei consumi.

Lo scorso ottobre la Banca mondiale ha pubblicato l’ultimo report sui livelli di povertà del pianeta. 244 pagine di analisi e stime, invero poco allettanti ma promettenti: abbiamo ancora un miliardo di poveri, ma un altro miliardo di poveri non c’è più. Per essere precisi, le condizioni di povertà estrema (con un reddito inferiore a 1,25 dollari al giorno) sono passate dal 36,4% del 1990 al 14,5% del 2011. Una cifra imponente che ha seguito di pari passo – non le varie programmazioni governative per lo sviluppo – ma l’espansione della globalizzazione, cioè del libero mercato. E non è tutto. Come ha ricordato Luciano Capone, in base ad uno studio della Columbia University gestito da Sala-i-Martìn, fra il 1970 e il 2006, il coefficiente di Gini e l’indice di Atkinson hanno mostrato una riduzione della disuguaglianza a livello globale, minando alle fondamenta le tesi del testo di Thomas Piketty, nuovo beniamino degli intellettuali al chilo, quelli sempre pronti ad attaccare il liberismo per essersi alzati col piede sbagliato. Un approccio meno ideologico suggerisce maggior cautela e consolida il trend storico avviato dall’umanità: il capitalismo ha dei limiti ma è perfezionabile, e soprattutto funziona.
Il premio Nobel per l’economia, Ronald Coase, in collaborazione con Ning Wang, ha saputo argomentare i perché di questa riscossa contro la povertà registratasi più in Asia che in Africa: vale a dire il superamento cinese dell’economia pianificata in favore del capitalismo, a cui l’India post-anglosassone ha saputo offrire un grande contributo. Se nel lungo periodo la dittatura di Pechino potrebbe danneggiare lo spirito dell’iniziativa privata, il capitalismo cinese ha già trascinato fuori dalla polvere della storia delle masse incredibili di lavoratori (i cui diritti rimangono ancora negati), dando ossigeno ad un nuovo ceto medio-alto, i cui consumi e le prospettive di emancipazione individuale potranno sicuramente offrire un contributo per il futuro abbattimento del regime (e le recenti rivendicazioni di maggiore autonomia da parte di Hong Kong ne sarebbero un primo sintomo).

Più complesso invece il problema della povertà nell’Africa subsahariana, dove ad una scarsa formazione del capitale umano vanno sommate la peste dell’assistenzialismo occidentale e la petulanza statalista delle classi dirigenti locali. A loro volta foriere di paternalismo, corruzione e compressione dell’iniziativa privata. Da anni l’economista Dambisa Moyo, come altri colleghi liberali, ha posto in evidenza quanto gli unici spazi di crescita dell’Africa contemporanea siano determinati dagli investimenti privati (come quelli cinesi), che hanno soppiantato gli aiuti politici occidentali. Mentre l’unico Paese africano che nel Novecento non ha seguito le ricette decolonizzatrici dell’ex URSS, il Botswana, ha saputo ridurre gli aiuti internazionali tramutandoli in investimenti esteri per lo sviluppo.

E in Sardegna? Mentre i nostri politicanti si affannano a chiedere soldi pubblici allo Stato per tamponare questa o quella vertenza senza ridurre tasse, burocrazia e rispettare la cultura locale, i nostri giovani emigrano solamente verso quei Paesi che hanno liberalizzato di più, come Germania, Svizzera e Inghilterra. Qualcosa vorrà pur dire.

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- Anche su Sardegna Soprattutto.

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    2 Commenti

    • Troppo liberista :) E’ pericoloso far vedere solo una faccia della medaglia. Troppo liberismo significa anche mancata tutela dell’ambiente e di tutte le parti deboli in generale. Una buona classe dirigente, onesta e sobria, cerca equilibrio mantenendo l’ordine.

    • Beh, ogni filone di pensiero ha i suoi aspetti negativi ed anche i suoi limiti. Certamente il capitalismo però ha un’alta capacità di rigenerazione. Su Sardegna Soprattutto ad esempio facevo l’esempio dell’invenzione tecnologica dei supporti ottici. Strumenti come la pennetta USB hanno consentito al pianeta di risparmiare intere foreste che altrimenti sarebbero state eradicate per trasformarle in carta. Ecco perché innovazione tecnologica ma anche tutela dell’ambiente nel capitalismo possono andare di pari passo. :)

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